ROMA | MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma | Fino al 31 marzo 2024
di ANTONELLO TOLVE
Una prima ricognizione sull’ampio e straordinario lavoro di Emilio Prini (Stresa, 1943 | Roma, 2016) era, sappiamo, alquanto necessaria: e con …E Prini (al Museo Macro di via Nizza) a Luca Lo Pinto va oggi il merito d’aver finalmente aperto questo dossier meraviglioso che fino al prossimo 31 marzo è posto sotto l’occhio degli addetti ai lavori e del curioso pubblico dell’arte.
A primo acchito chi entra nel grande spazio in cui è allestita «la più ampia mostra mai realizzata su Emilio Prini» si sente un po’ disorientato e vive un piccolo (direi piacevole) disagio, poiché gli viene spalancato un mondo massicciamente intricato (noi siamo un gran disordine che cerca di mettere ordine allertava in tempi non sospetti Eliot), fatto di opere che tolgono la parola fine al finale, di progetti aperti o di forme (formule visive) d’una scrittura che diventa via via strumento plastico, ripensamento teorico, ricalibro corporeo d’un lavoro mai pago, mai chiuso, mai confezionato, mai stereotipato. «Se Prini ha sempre rifiutato di intendere l’opera come un oggetto chiuso e definito, interrogando così anche i codici del dispositivo della mostra, il progetto espositivo intende rispecchiare e rendere esplicita questa posizione», puntualizza Lo Pinto nel testo che accompagna l’esposizione.
Realizzata in stretto dialogo con l’Archivio Emilio Prini di Genova questa mostra è infatti da intendere come una Gesamtkunstwerk, un’opera d’arte totale in cui opere realizzate dal 1966 al 2016 rimodellano lo spazio presentando – in rigoroso ordine cronologico – un mai pago scavo nel sottosuolo dei linguaggi dell’arte (come del resto della società dei consumi), anancasticamente smontati e guardati da un’altezza nuova, con una nuova densità, con slogan enigmatici (d’un’enigmaticità che è al pari d’un Luca Maria Patella o d’un Vincenzo Agnetti) e con terminologie che volgono lo sguardo oltre la parola. «ma / li / du / k / pol / wa (tutto svia e rivela in pari tempo) testo anestetico o anche quando lavori di martello spegnimi il cervello con un modello d’opposizione (al) visivo non trasformato ma vario degli slogan per la memoria (forse proverbi) per il tempo per quando paliamo immagini (di) amo stringiamo mani viaggiamo scendiamo (da qualcosa?) saliamo su (con qualcosa?) (il peso non è la forma) (sei addormentato?) qui c’è la storia del cane mangialuna babà (cosa stai facendo?) di tutta la grilleria (di tutti i grilli) che salta(no) il mondo (con un finale spinale (ato) (spaccacervelli) di chi lima cadendo e di chi cresce (la voce?) morendo (ora vengo!) questo è un disegno verbale (alice nel paese di rembrandt?) un tentativo di pubblicità (negativa?) per magnetofoni (alice finalmente nelle meraviglie?) una lavanderia per conigli (non sempre il coniglio lava l’orecchio in sugo di mela) (ti piace?) prendi quella valigia.
perché
qui comincia l’avventura
della memoria di ferro
e questi sono gli slogan» leggiamo in un testo programmatico pubblicato sulla rivista Pallone (luglio, 1978) della Galleria La Bertesca di Genova. Per Emilio Prini, lo sappiamo, la parola è materia, al pari di altri materiali: è rottura del liofilizzato e spostamento (spaesamento) dello stereotipo verso altri tracciati che invitano ad aprirsi all’apertura del desiderio, ad aprire mediante questa apertura altri mondi, altre vie di fuga, altre riflessioni.
In questa splendida mostra fatta di opere, di documentazione fotografica, di cataloghi, di articoli su cui ritroviamo tutto il potere miocinetico dell’artista che ripensa il pensato senza catalogarlo o fossilizzarlo nello storicizzato, di dispositivi e ambienti, di azioni alternative dell’arte (un esempio è mi sono affacciato alla finestra e c’era il sole, 1968), di straordinarie scrittosculture o se vogliamo anche scultoscritture (è il caso di Cubo africano del 1984 o anche delle quarantaquattro splendide e plumbee Scritte che restano scritte del 1968), di formule dattilocodiche che l’artista chiama nuovi segni (dattiloscritti appunto realizzati nel 1974), di neosegni e neosegnali, si percepisce chiaramente che per Prini l’opera è qualcosa che varca anche la fisicità dell’opera stessa per diventare pensiero interminabile, entretien infini, progetto in cui la riflessione sente l’esigenza di interruzione e discontinuità nell’ambito del codificato, di raggiungere le soglie della domanda più profonda, di giocare con il gioco del pensiero. Il sabotaggio dello stereotipato con tutti i vari interventi sulla standardizzazione o il principio dell’immanenza celebrato alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis nell’ambito della rassegna Il teatro delle mostre (maggio 1968) curata da Maurizio Calvesi, sono soltanto alcune delle strade segnate da questo percorso avvincente e coinvolgente in cui Prini pone domande aperte senza dare mai risposte ma anzi mostrando l’andamento della ricerca che distorce la retorica e l’ideologia, che pone l’accento sulla ripetizione differente, che disfa e ridisfa lo standard, capovolto fino ad essere trasfigurato, ricalibrato nell’unicità (dall’unicità) del gesto e dunque della potenza del pensiero.
«HO FATTO ALLONTANARE IN DIREZIONI OPPOSTE SUL MARE DUE BARCHE UNITE DA UN ROTOLO DI CORDA VERDE HO FATTO ALLONTANARE IN DIREZIONI OPPOSTE SUL MARE DUE BARCHE UNITE DA UN ROTOLO DI CORDA VERDE».
Emilio Prini …E Prini
27 ottobre 2023 – 31 marzo 2024
MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma
Via Nizza 138, Roma
Orari: martedì – venerdì: 12.00 – 19.00; sabato e domenica: 10.00 – 19.00; lunedì chiuso.
Info: +39 06 696271
info@museomacro.it
www.museomacro.it