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MODENA | Palazzo Santa Margherita | 21 maggio – 16 luglio 2017

Intervista a MARCO MARIA ZANIN di Matteo Galbiati 

In occasione della sua personale intitolata Dio è nei frammenti – in corso a Palazzo Santa Margherita di Modena, abbiamo intervistato Marco Maria Zanin (1983) artista che, della contaminazione stilistica e iconografica, ha fatto la propria cifra stilistica e l’emblema della sua poesia per immagini. Fotografie e sculture si alternano nelle sale dello spazio modenese lasciando affiorare richiami ed evocazioni di senso che, attraverso la reinterpretazione di “oggetti di scarto”, permettono un’escursione sul significato del tempo e le storie dell’uomo nel loro perenne ciclo trans-culturale. Il viaggio che Zanin ci propone contamina presente e passato, storia e arte, in un insieme di suggestioni che definiscono, con una concentrazione esatta, un nuovo archetipo universale. Ecco lo scambio di battute che abbiamo avuto con il talentuoso artista:

Marco Maria Zanin, Sintomo XII – V – XII – XIV e XV, 2017, ceramica, dimensioni variabili

Marco Maria Zanin, Sintomo XII – V – XII – XIV e XV, 2017, ceramica, dimensioni variabili

La mostra di Modena ha un titolo suggestivo e quasi provocatorio: Dio è nei frammenti. Cosa vuoi sottolineare con quest’idea dell’essenza divina calata nelle piccole cose? Che idea di spiritualità restituisci?
Collocare al centro il frammento è tentativo di creare uno spostamento del punto di vista verso un punto “vuoto”, qualcosa di svuotato di valore secondo il paradigma oggi dominante, per fare in modo che venga riempito da un profondo gesto umano. Insomma per creare spazio, trovare una breccia in quello che è diventato un dispositivo iper saturo di codici e di norme che regge le nostre società, che abbiamo investito di un valore assoluto.
È un titolo che sintetizza quasi tutto il mio percorso (l’ho scoperto dopo) sin dai primi lavori sulle rovine delle case rurali del Veneto, che poi si è rafforzato attraverso lo studio di autori quali Benjamin, Warburg, Didi-Huberman, Rousseau, Pasolini e altri, che sposano, in estrema sintesi, una concezione non lineare della storia e una visione spirituale del mondo.
Non so se sia un titolo provocatorio, ma probabilmente è un’affermazione che apre a un argomento di cui generalmente si preferisce non parlare fuori dal suo confine prestabilito. Io credo che una rilettura aggiornata, ma profonda del nostro rapporto nella vita quotidiana con la sfera del sacro e con le nostre radici sia essenziale per far fronte alle sfide della contemporaneità e per viverne al meglio le nuove opportunità.
Dire che Dio è nei frammenti significa depotenziare le sovrastrutture, accorgersi che è lì che c’è qualcosa che vibra, che pulsa, da andare a cercare per intraprendere un cammino rinnovato. Ma questo forse in realtà la divinità la colloca proprio in una parte creativa di noi, perché nei frammenti non ci sono né dogmi, né predicatori, né leader, nessun pacchetto preconfezionato, nulla di pronto, ci sono solo indizi, possibilità silenziose che poi sta a noi ricomporre con la nostra forza creativa.

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, veduta della mostra Palazzo Santa Margherita, Modena Francesca Mora

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, veduta della mostra Palazzo Santa Margherita, Modena Francesca Mora

Il contenuto delle tue immagini si concentra quindi sullo “scarto” che diventa strumento di indagine della realtà umana del presente. Come riesci a dare energia espressiva a “cose” deperibili, marginali, scadute, frantumate, eliminate e/o scartate?
Allenando la capacità di sentire un’anima nelle cose e nel mondo. Come fanno i bambini. E provando a pormi delle domande su quali sono le trame, le connessioni che reggono i fenomeni, soprattutto nel corso del tempo.
Georges Didi-Huberman identifica nello scarto, nell’oggetto appartenente al passato, le caratteristiche di un sintomo che rivela la presenza di temporalità sepolte sotto la superficie, ma ancora pulsanti, con tutto un loro orizzonte di significati pronti a riemergere nel presente, se solo riusciamo ad attingervi. Noi che abbiamo sposato una concezione lineare del tempo, però, abbiamo la brutta abitudine di pensare che il passato sia una cosa chiusa, morta, e questo è elevato all’ennesima potenza nella società dei consumi, dove quando un elemento ha svolto la sua funzione poi viene scartato in quanto ha esaurito il suo valore.
Cerco di darmi l’opportunità di relazionarmi con il mondo in maniera abbastanza aperta e attenta da poter percepire queste pulsazioni che sopravvivono sotto la superficie, contando anche su di loro per interpretare il mondo. L’intervento che opero sull’oggetto con il fare artistico è volto ad amplificare queste altre temporalità o mondi che sono presenti all’interno di esso, per farle travasare nel presente.

Marco Maria Zanin, Maggese II, 2016, dittico, stampa fine art su carta cotone, 40x60 cm ciascuno

Marco Maria Zanin, Maggese II, 2016, dittico, stampa fine art su carta cotone, 40×60 cm ciascuno

Inevitabile pensare al binomio passato-presente per identificare il concetto di memoria: cosa esprime e come si definisce in te l’atto mnemonico? Cosa ci fanno “ricordare” le tue opere? Quali storie affermano?
Per quanto riguarda l’atto mnemonico, tra i lavori della mostra ce n’è uno in particolare che forse lo sintetizza di più, un dittico: Maggese. Il maggese era quella pratica contadina in cui si lasciava un mese a riposo la terra affinché si rigenerasse dopo il raccolto precedente. Nelle due immagini si vedono due momenti della luce che transita su della terra che ho disposto nel pavimento del mio studio: un riferimento alla scansione del tempo nella civiltà contadina, agli orologi solari delle popolazioni andine, ma soprattutto a quel momento di “ombra” della memoria in cui, come chi, nel mito greco, beveva dal fiume Lete, dimenticava tutte le cose passate, liberandosi di un peso oppressore, e poi bevendo dalla fonte di Mnemosine tornava a ricordare, alimentandosene come un nuovo humus per il presente.
Credo dunque nella possibilità di una “sana dimenticanza”, ma ritengo che sia essenziale mantenere vivi dei canali attraverso cui poi rievocare (non ripetere) il passato affinché torni a nutrire il presente con una rinnovata forza, attraverso una rinnovata forma.
Eclea Bosi, scrittrice paulistana, nel suo libro Memoria e Sociedade dice che “la memoria è come un diamante grezzo che dev’essere lavorato dallo spirito”. In questo è presente sia una componente affettiva (ricordare, ri-dare al cuore), che una legata a un fare, a una trasformazione. Il passato che io cerco di rievocare è quello che ho profondamente nel cuore a causa dei miei nonni, quello della civiltà contadina delle campagne del Veneto, e gli oggetti con cui cerco di creare questa rievocazione, nello specifico le pialle con cui si lavorava il legno, subiscono tutti una trasformazione per far risuonare altri spazi interiori nel fruitore del nostro tempo.

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, veduta della mostra Palazzo Santa Margherita, Modena Francesca Mora

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, veduta della mostra Palazzo Santa Margherita, Modena Francesca Mora

Come confliggono o si compenetrano memoria e immaginazione? Soprattutto quando si fa riferimento ad una verità che diventa totemica e archetipale?
I lavori della serie Ferite-feritoie, ma anche Zoe e Eudossia, sono realizzati a partire da vecchie pialle. Continuando ad osservarle, ho percepito al loro interno forme simili a quelle dell’iconografia tribale (statuette, ex voto, maschere, etc…), archetipi alla base delle nostre civiltà. Per fare in modo che questi elementi della civiltà rurale vibrassero assieme alla forza dell’archetipo sono intervenuto con dei tagli, delle ferite, che ne hanno aperto le forme. Per riuscire a creare questa “riemersione nel presente” ho poi cercato di generare quella che Benjamin, ma anche Warburg e Didi-Huberman, suo maggiore interprete, hanno chiamato immagine dialettica, ovvero qualcosa che potesse creare un eco nel fruitore attivando al suo interno quegli orizzonti di significato contenuti nel soggetto con cui entra in relazione. Le fotografie in grande scala fanno cortocircuitare l’oggetto modificato e decontestualizzato con una dimensione simbolica e totemica, e, se la cosa funziona, dovrebbero avere la funzione creare un ponte tra il mondo corporeo e quello immaginario. Quest’ultimo si lega alla memoria perché, sia toccando l’archetipo che fuggendo dalla forma, apre lo spazio a un nuovo orizzonte di significati e dunque anche a una possibile risignificazione e rievocazione del passato.

Marco Maria Zanin, Natura Morta IV, 2015, stampa fine art su carta cotone, 60x75 cm

Marco Maria Zanin, Natura Morta IV, 2015, stampa fine art su carta cotone, 60×75 cm

L’orizzonte del tuo sguardo si sposta tra il Veneto, tua terra natale, e il Brasile di San Paolo, dove vivi. Come si confrontano, nel tuo lavoro questi, due ambienti diversi? Come lo influenzano?
Ho deciso di dividere la mia vita tra Padova e San Paolo perché sono due realtà diametralmente opposte, soprattutto il relazione a quello che è centro del mio interesse, ovvero la rilettura nel contemporaneo dell’universo legato alla memoria e alle radici. Fa inoltre parte di una strategia che secondo me funziona bene per trovare possibili vie di uscita da alcune aporie in cui ci troviamo oggi: far cozzare tra di loro mondi tra loro distanti.
Un esempio è la serie Lacuna e Equilibrio, in cui ho fatto cortocircuitare la dinamica di continua demolizione e costruzione di edifici a San Paolo, frutto di un rapporto con il tempo completamente schiacciato sul presente, e la dimensione atemporale e metafisica presente nell’opera di Morandi. Oppure ancora le sculture della serie Restituzione, in cui le macerie di queste demolizioni vengono riprodotte in porcellana come se fossero dei piccoli monumenti, o dei ritratti che potrebbe fare un pittore per la sua amata. Sono tentativi di entrare in relazione con il tempo e il suo effetto sulla materia in modo anacronistico, non chiudendo il significato di questi detriti nel passato, ma mantenendo il processo aperto e in costante divenire. Sono il risultato del cortocircuito tra l’esperienza del tempo in un Paese con una storia millenaria (da cui spesso viene schiacciato), e in un Paese completamente orientato nel futuro (da cui rischia di essere spazzato via); ma che probabilmente costituiscono ciascuno un buon punto di vista per comprendere l’altro.

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, veduta della mostra Palazzo Santa Margherita, Modena Francesca Mora

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, veduta della mostra Palazzo Santa Margherita, Modena Francesca Mora

Ci sono valori importanti da recuperare oggi? Come può farlo l’arte e con che mezzi?
Certamente sì. Anzi, se come comunità umana non risolleviamo lo sguardo da un orizzonte schiacciato sull’immediatezza e sulla funzione delle cose, abbiamo poco futuro o, comunque, un futuro veramente poco interessante. In generale, credo sia molto importante riaprire la discussione e il dibattito sulla trascendenza, sul nostro rapporto quotidiano con la spiritualità, ma anche con le nostre radici. Credo che in questi spazi ci sia molto materiale per ragionare sulla nostra stessa identità, che oggi è posta a sollecitazioni che richiedono nuove risposte.
L’arte è un elemento molto potente, ma sono convinto che non possa far fronte da sola a queste istanze di rinnovamento. Deve uscire dal cubo bianco, entrare in relazione con altre discipline e spendersi in altri ambiti. Riguardo a questo, due anni fa ho fondato assieme a un gruppo interdisciplinare di professionisti, tra cui il curatore Carlo Sala, Humus Interdisciplinary Residence, un programma di residenza artistica con sede a Padova in cui invitiamo artisti soprattutto stranieri a operare una rilettura delle identità di aree rurali periferiche ancora caratterizzate da un forte legame con la terra. Per ora l’esperienza sta funzionando molto bene, generando interessanti ricadute sia nelle esperienze degli artisti che nel modo di vedere il territorio da parte degli attori coinvolti.

Marco Maria Zanin, Restituzione, 2017, ceramica, 30x40x15 cm

Marco Maria Zanin, Restituzione, 2017, ceramica, 30x40x15 cm

La mostra si muove nelle coordinate espressive della fotografia e della scultura. Come regoli questi due linguaggi nella tua ricerca?
La scultura è uno sconfinamento recente di quello che era un linguaggio quasi totalmente fotografico. Volevo sperimentare di più la materia, e la materia nello spazio. La scultura è comunque entrata nel mio lavoro da prima, come soggetto delle fotografie. La variazione dei due linguaggi sostanzialmente funziona nel gioco di dare e togliere il corpo agli elementi: nella fotografia il corpo è assottigliato fino alla dimensione bidimensionale – come direbbe Hegel, fino a un piano spirituale. La scultura, soprattutto quando si relaziona con oggetti riconoscibili, porta un riferimento più al qui ed ora, al momento presente, mentre la fotografia ad una dimensione atemporale e metafisica. Sono due linguaggi che mi aiutano a creare queste sovrapposizioni di temporalità. 

La mostra s’inserisce nel progetto Level 0 che, promosso da ArtVerona, in collaborazione con 14 musei e istituzioni d’arte contemporanea italiani, ha portato la Galleria Civica di Modena a selezionarti per questa esposizione. Cosa ha rappresentato per te quest’occasione?
L’occasione è stata felice sotto diversi punti di vista. Ho saputo di Level 0 vicino alla conclusione di un periodo di due anni focalizzato solo sullo studio e sulla produzione di nuovi lavori. Sapere che l’occasione per mostrarli per la prima volta al pubblico sarebbe stata una personale in Galleria Civica di Modena mi ha dato quella spinta in più per tirare fuori il massimo. Ho poi avuto la fortuna di condividere parte di questo processo con Daniele De Luigi e Serena Goldoni, i curatori della Civica, con i quali si è sviluppata una forte sintonia e un dialogo molto produttivo. È stato un lavoro corale.

Marco Maria Zanin, Zoe, 2016, stampa fine art su carta cotone, 30x37.5 cm

Marco Maria Zanin, Zoe, 2016, stampa fine art su carta cotone, 30×37.5 cm

Credo che Level 0 sia una grande opportunità per noi artisti non solo per la visibilità che può dare un’istituzione, ma anche di maturazione, misurandosi con una responsabilità maggiore e interagendo con un contesto che ha una storia e un’identità forte. La Galleria Civica, dopo aver discusso e valutato il corpus di lavori su cui stavo lavorando, mi ha dato la possibilità di realizzare una personale, che è sempre un momento in cui si vede formalizzato e compiuto un pensiero, che assume un suo corpo anche nel dialogo con lo spazio espositivo e nell’interazione con il pubblico. È quel momento di passaggio tra il compimento e l’inizio di una fase di consapevolezza, in cui percepisci la forza di un lavoro, ma cominci ad accorgerti anche dei punti deboli e dei cammini ancora da percorrere. È un privilegio, il che, come sappiamo, corrisponde sempre a una responsabilità, che, però, sono felice di assumere perché sento che è ora di aumentare l’intensità del dibattito. Spero che sia una mostra che venga visitata e discussa, e che sia l’inizio di un rapporto di confronto sincero con una terra importante per la storia della fotografia italiana.
Rinnovo il profondo ringraziamento ad ArtVerona, ad Andrea Bruciati, ideatore dell’iniziativa, a tutto lo staff della Galleria Civica, e alla Galleria Spazio Nuovo che ha proposto i miei lavori alla fiera e collaborato alla realizzazione della mostra.

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, 2017, libro d’artista, 400 copie numerate

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti, 2017, libro d’artista, 400 copie numerate

Per questa mostra hai preparato anche un libro d’artista, ci illustri i suoi contenuti? Come nasce questo peculiare progetto?
Volevamo fare qualcosa di particolare, che rispecchiasse sia il forte rapporto con la scultura sia il concetto dei frammenti. Il progetto grafico è di Luca Lattuga, di Anonima Impressori, altra felice collaborazione con cui siamo arrivati in grande sintonia a un bel risultato, anche grazie alla versatilità della Tipolitografia FG di Savignano sul Panaro e alla disponibilità del suo staff. È un libro-oggetto che contiene il catalogo delle opere, inserito in un involucro di mdf con al suo interno una nicchia, in cui, in ciascuno dei 400 esemplari numerati, abbiamo collocato, come fosse una reliquia, un frammento degli scarti di lavorazione del legno trovato sotto il banco di lavoro di mio nonno. Quei frammenti dicono molto di me, perché appartengono a una figura centrale nella mia vita, e al suo mondo di origine, quello dei contadini e degli artigiani, che per me ha assunto una valenza sacrale. Provengono da quel garage e da quel banco di lavoro che, quando ero bambino, costituivano uno spazio di profonda serenità. Ho pensato che, per una mostra che parla di memoria, ma anche di spiritualità e di affetto, potesse essere una buona idea mettere nel catalogo quei frammenti, che rappresentano un mio piccolo pezzo di cuore, ma anche dei magneti che segnano una traiettoria.

Marco Maria Zanin. Dio è nei frammenti
a cura di Daniele De Luigi e Serena Goldoni
organizzazione e produzione Galleria Civica di Modena, Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, con il patrocinio di Ambasciata del Brasile in Italia
in collaborazione con Spazio Nuovo Contemporary Art, Roma
catalogo/libro d’artista in 400 edizioni numerate disponibile al bookshop di Palazzo Santa Margherita al costo di €20.00 

21 maggio – 16 luglio 2017

Sale superiori
Palazzo Santa Margherita
Corso Canalgrande 103, Modena 

Orari: da mercoledì a venerdì 10.30-13.00 e 16.00-19.30; sabato, domenica e festivi 10.30-19.30; lunedì e martedì chiuso
Ingresso gratuito 

Info: www.galleriacivicadimodena.it
www.marcomariazanin.com

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