Non sei registrato? Registrati.
VERONA | Giardino Giusti | Fino al 22 novembre 2019

Intervista a JESSICA BIANCHERA e MARTA FERRETTI di Francesca Di Giorgio

To Be Played è il titolo del progetto dedicato al Video, immagine in movimento e videoinstallazione nella generazione ottanta in corso a Verona negli spazi del Giardino Giusti, a cura di Jessica Bianchera e Marta Ferretti. Una mostra che coinvolge dieci artisti internazionali tutti nati, non a caso, negli Anni ’80 e che può essere considerata come input (il titolo – letteralmente “da riprodurre” – è un invito ad attivare e dare principio a qualcosa con diverse modalità), punto di osservazione iniziale da cui partire per costruire un “filone narrativo” attorno al linguaggio del video nell’arte contemporanea.
Se guardiamo alla storia del medium sappiamo che la sua nascita ed evoluzione rientra nella sfera di pratiche incrociate, influenze e contaminazioni espressive che gli storici “padri” della video arte: il coreano Nam June Paik e il tedesco Wolf Vostell, condividono ancora oggi con gli artisti contemporanei che sperimentano questo mezzo.
To Be Played rappresenta, quindi, un’importante occasione di approfondimento sul tema attraverso le differenti ricerche degli artisti invitati a partecipare, supportata dalla collaborazione dello storico archivio Careof di Milano e da un intenso programma educational per tutta la durata del progetto. Ne parliamo con le due curatrici…

Giardino Giusti. Foto: Riccardo Gasperoni

Prima di tutto quando e come nasce l’idea di costruire una mostra attorno al video? Quali le prime considerazioni quando si affronta un territorio specifico ma non esente da contaminazioni tra i linguaggi del contemporaneo?
Jessica Bianchera:
L’idea si è andata formando nel corso degli ultimi due anni: molti artisti con i quali stavo (e sto) lavorando si sono confrontati con il video e l’immagine in movimento. Alcuni utilizzano il video in maniera sistematica, facendone il medium e l’indirizzo principale della loro produzione artistica, altri hanno scelto di esplorarne le potenzialità all’interno di orizzonti di ricerca che includono anche altri linguaggi e media (come la scultura, la fotografia, l’installazione, il suono etc.). Questa varietà e le profonde differenze di linguaggio che dimostrano questi artisti nell’approcciare il video e l’immagine in movimento hanno acceso il desiderio di farne argomento di ricerca e una mostra mi è sembrata una buona occasione, un buon punto di partenza. Di qui, il coinvolgimento di Marta Ferretti che da anni collabora con l’Archivio Video di Careof, risorsa fondamentale per imbastire uno studio sullo stato attuale della ricerca nell’ambito del video e dell’immagine in movimento, trattandosi dell’istituzione più longeva in Italia ad occuparsi di questo argomento.

To Be Played, installation view, Anna Franceschini, Salotto Rosso. Foto: Giulia Costa

Il dato biografico, citato anche nel titolo, è una componente affatto trascurabile per avvicinarsi al vostro progetto. Un dato che si pone come parametro reale, fondamentale per circoscrivere un ambito di ricerca molto vasto e complesso…
J.B.: Esattamente: trattandosi di un ambito di ricerca molto vasto e complesso era necessario trovare uno o più tagli per dare specificità al progetto. Tra questi, la questione generazionale è fondamentale. Io vengo da una formazione da storico dell’arte e sono molto legata a metodologie di studio che in maniera molto elementare aiutano a orientarsi nelle fasi iniziali della ricerca. Due criteri di base da cui partire sono quello geografico e quello generazionale. Se oggi non ha più molto senso parlare di geografie dell’arte e scuole che si differenziano su base geografica, il criterio generazionale è ancora determinante. Ogni generazione condivide un certo clima sociale, culturale, politico, di innovazione scientifica e tecnologica, etc. Valutare come gli artisti che appartengono alla stessa generazione si accostano alla ricerca artistica permette di individuare delle costanti che parlano non solo degli approcci singoli ma anche di generali tendenze e possibili sviluppi. Naturalmente è ancora presto per dire esattamente cosa caratterizza l’arte del nostro tempo ma credo che sia importante interrogarsi continuamente sul lavoro degli artisti di oggi: sono loro che potrebbero fare la storia dell’arte di domani. Abbiamo scelto i nati negli Anni ‘80 per due ragioni: la prima è che si tratta della nostra generazione, anche io e Marta siamo nate negli Anni ‘80 e iniziare la nostra indagine dai nostri coetanei sembrava la cosa più sensata da fare; la seconda riguarda lo stato della ricerca degli artisti di questa generazione, che hanno ormai completato la fase di formazione e hanno ben chiare le direttrici del proprio lavoro trovandosi ora in un momento fondamentale per le loro carriere: già pienamente inseriti nel mondo dell’arte e con all’attivo riconoscimenti importanti ma con ancora molto da dire e molte potenzialità da sviluppare.

To Be Played, installation view, Adelita Husni-Bey, Salone d’Onore. Foto: Giulia Costa

Anche il luogo fa pienamente parte della mostra visto che si tratta dell’Appartamento 900, dimora della famiglia Giusti fino al 1944 e recentemente riaperto al pubblico. Com’è intervenuto lo spazio nella scelta degli artisti da coinvolgere nel vostro progetto e quali relazioni si sono attivate, a priori e a posteriori, tra le opere e l’appartamento?
Marta Ferretti
: Se inizialmente l’impianto espositivo era focalizzato nel Salone d’Onore, durante lo sviluppo del progetto abbiamo deciso di espandere la mostra anche negli spazi dell’attiguo Appartamento ‘900. Per le sue uniche caratteristiche storiche, architettoniche e vegetali, ci sembrava uno spazio privilegiato non solo per approfondire un luogo fondamentale per la città di Verona, ma anche per mettere in scena un dialogo sui valori storici e attuali che guidano narrazioni, sistemi di rappresentazione del potere e tentativi di appropriazione dell’altro.

To Be Played, Installation view, Invernomuto – Salone d’onore. Foto: Giulia Costa

Ci sono opere in particolare che potete citare come esempio di questa inedita interazione?
J.B. e M.F.: Le opere di Anna Franceschini, che ragionano sul tema del decoro sono state significativamente collocate nella Sala Rossa proprio perché si tratta di un ambiente che si caratterizza per un iperdecorativismo molto marcato, così come il lavoro di Nina Fiocco sulla relazione umano/animale è stata collocata nella Sala dei Cavalli dove tutto, mobilio compreso, ci parla di un legame importante dei Conti Giusti con i cavalli, i cani e la caccia. Altri esempi particolarmente significativi di iterazione opera/luogo sono quello di Helen Dowling nella Camera da Letto: la stanza più femminile dell’appartamento per un lavoro che ragiona proprio sugli stereotipi che il mondo mediatico impone alla figura della donna, o ancora quello di Giulio Squillacciotti nella Sala da Pranzo: la tavola apparecchiata ci parla di un’assenza, quella delle persone che vivevano quel luogo, che è la stessa assenza di cui parla l’opera Scala C, Interno 8. Altro macroscopico (in tutti i sensi) esempio è Wax Relax degli Invernomuto, una grotta in cera bianca che campeggia al centro del Salone d’Onore collocandosi esattamente agli antipodi rispetto alla grotta reale in fondo al viale dei Cipressi, uno dei fulcri del giardino cinquecentesco, vera identità del luogo. Entrambe le grotte sono tra l’altro dei fake: Wax Relax è la riproduzione della grotta di Vernasca, che a sua volta è una riproduzione della Grotta di Lourdes mentre la grotta del giardino, allo stesso modo, mima e riproduce una grotta reale in un complesso gioco di finzioni sceniche che prevedono per esempio finte stalattiti e stalagmiti, inserti di conchiglie e specchi per creare suggestivi giochi di luce secondo la tradizione del giardino rinascimentale. Ogni lavoro in mostra cerca un legame con il Palazzo e con il Giardino, con le sue diverse anime e con la stratificazione di tempi, storie e mode che lo caratterizzano. Dopotutto, non potevamo trattare questo luogo come un semplice contenitore, sia per la sua importanza storica, sia perché non trattandosi di ambienti neutri è venuto quasi naturale chiedersi come la contemporaneità potesse instaurare un dialogo che permettesse di porre l’accento anche sulla riapertura al pubblico di questi spazi.

To Be Played, Archivio Careof. Foto: Giulia Costa

Oltre al dato biografico e spaziale quali sono stati gli altri termini di raffronto che vi hanno permesso di arrivare alla selezione finale degli artisti coinvolti in To Be Played?
J.B.: Oltre al dato biografico e alla relazione con gli spazi abbiamo cercato di argomentare la diversità di approccio al video e all’immagine in movimento. Ci interessava presentare una campionatura di approcci possibili che va dal video documentario di Adelita Husni-Bey a esperienze di pura poesia come Dido’s Lament di Jacopo Mazzonelli, dall’approccio registico di Giulio Squillacciotti, evidente nel suo Scala C, Interno 8, a quello antiregistico di Michal Martychoviec, che con Empire sceglie di ridurre il più possibile l’intervento decisionale dell’autore posizionando una telecamera fissa sulla gabbia del suo coniglio Josephine (8 ore di ripresa, come il celebre Empire di Andy Wharol). Poi ci sono lavori che parlano di un’importante relazione con la tecnologia atta a riprodurli, la scelta del bianco e nero sgranato per monitor Hantarex e Sonycube di Pirolisi Solare di Elena Mazzi, per esempio; o ancora opere che puntano l’accento sulla dimensione immersiva e sulla sperimentazione sonora, come è il caso di Physical examination di Luca Trevisani. Infine, la componente installativa di alcuni lavori racconta di una sperimentazione che non ha a che fare solo con l’immagine ma che riguarda anche le modalità di presentazione dell’opera, la fisicità materiale che acquista nello spazio.

To Be Played, Installation view, Luca Trevisani – Sala dell’Aurora. Foto: Giulia Costa

Qual è stato il contributo dell’Archivio Video di Careof nella fase di realizzazione del progetto, prima e nella sua presenza in mostra, poi?
M.F.: Fin dalla sua nascita Careof si è occupato attraverso l’Archivio Video di mappare la scena artistica in particolare italiana. Alcuni degli artisti in mostra hanno collaborato o stanno collaborando con l’associazione alla realizzazione di differenti progetti legati al video: Luca Trevisani ad esempio è stato vincitore con l’opera “Cerchio” del progetto Artevisione promosso da Careof con Skyarte nel 2015; così come Giulio Squillacciotti è il vincitore dell’ultima edizione del progetto. L’archivio inoltre accompagna la mostra con una selezione di video che permette di esplorare le precedenti produzioni degli artisti e approfondire così la loro poetica.

To Be Played, Installation view, Giulio Squillacciotti – Sala da pranzo. Foto: Giulia Costa

La mostra prevede un programma Educational. Ci raccontate di cosa si tratta e come avete pensato i diversi appuntamenti?
J.B. e M.F.
: To be played / Educational è un apparato di appuntamenti ideato per sostenere la formazione, la ricerca e l’integrazione che si svolge durante tutto il periodo di esposizione (dall’11 ottobre al 22 novembre) al fine di rendere la mostra un momento partecipato e partecipativo per la vita della città, un’occasione di approfondimento e studio, un organismo vivo, capace di dialogare con le istituzioni e di aprirsi alla cittadinanza. Si indirizza a diversi pubblici: dagli addetti ai lavori, agli studenti, da chi già frequenta i circuiti dell’arte contemporanea, a chi si avvicina per la prima volta a questo mondo. Oltre a un programma di talk con gli artisti, i curatori ed esperti del settore (09 e 16 novembre alle 11.00), sono previste visite guidate che coinvolgono da un lato gli studenti di Beni Culturali dell’Università degli Studi di Verona come mediatori culturali (tutti i sabati alle 15.00 e alle 17.00) al fine di favorire una maggiore frequentazione da parte dei giovani del mondo dell’arte contemporanea, dall’altro visite in collaborazione con associazioni del territorio che si occupano di accoglienza e integrazione al fine di aprire un dialogo con il quartiere di Veronetta – dove si trova Giardino Giusti – e la popolazione multietnica che lo abita (nei giorni 10, 16 e 17 novembre); un corso di storia della videoarte (tutti i giovedì alle 19.30 da Lino’s & Co.) per approfondire gli aspetti storici e storico-artistici di questo medium; un workshop a conduzione di uno degli artisti in mostra (Giulio Squillacciotti) specificatamente destinato agli studenti dell’Università degli Studi di Verona e dell’Accademia di Belle Arti di Verona e a tutti i giovani interessati ad approfondire il linguaggio del video.

To Be Played, Installation view, Helen Dowling – Stanza da letto

Esiste già nei vostri programmi un secondo capitolo?
J.B.: Sì, l’idea è che la mostra si costituisca come un primo capitolo di indagine, che possa trovare poi ulteriori occasioni e appuntamenti, non solo espositivi ma in primis di ricerca. Con il giusto supporto e ampliando il raggio delle collaborazioni credo sia possibile pensare a un secondo capitolo già l’anno prossimo. Nel frattempo, abbiamo ancora tanto da lavorare e se si verificheranno le condizioni il primo passo da fare ora sarebbe sicuramente quello di una pubblicazione, che non immagino come un catalogo ma piuttosto come un momento di riflessione ex post rispetto non solo alla mostra ma anche rispetto all’apparato educational, in cui crediamo molto.

To Be Played, Installation view, Nina Fiocco – Sala dei Cavalli. Foto: Giulia Costa

TO BE PLAYED
Video, immagine in movimento e videoinstallazione nella generazione ottanta
Artisti:  Helen Dowling, Nina Fiocco, AnnaFranceschini, Adelita HusniBey, Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi aka Invernomuto, Michal Martychowiec, Elena Mazzi Jacopo Mazzonelli, Giulio Squillacciotti, Luca Trevisani

Un progetto di Urbs Picta e Giardino Giusti
In collaborazione con Careof
Nell’ambito di ArtVerona
Con il patrocinio di: Provincia di Verona, Comune di Verona, Accademia di Belle Arti di Verona e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

11 ottobre – 22 novembre 2019

Giardino Giusti
Via Giardino Giusti 2, Verona

Info: www.giardinogiusti.com
Jessica Bianchera – direzione@urbspicta.com

Marta Ferretti – mrtferretti@gmail.com

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •