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CAPALBIO (GR) | GALLERIA IL FRANTOIO | FINO AL 2 OTTOBRE 2022

Intervista a Maria Concetta Monaci, Francesca de’ Medici e Davide Sarchioni di Livia Savorelli

Time will tell alla Galleria il Frantoio di Capalbio è un viaggio in un mondo personale, intimo, a tratti intenso e struggente, in cui si percepisce il dolore dei suoi interpreti Zanele Muholi e Robert Hamblin, due diversi volti del Sudafrica, uno nero e uno bianco, uniti dalla comune vocazione di fotografi ed attivisti.
Nella mostra fortemente voluta da Maria Concetta Monaci, sotto l’impeccabile regia di Francesca de’ Medici e Davide Sarchioni, non si scade mai nella retorica (molto facile quando si toccano temi come le discriminazioni razziali e di genere), si comprende da subito di entrare nell’intimità dei protagonisti che si mettono a nudo rivelando, al contempo, una fragilità divenuta forza, tenacia ed orgoglio, frutto di una lotta per l’affermazione di un sé che da individuale diventa collettivo. Un mostra impegnata, che parla di cambiamento individuale e sociale, come tante dovrebbero essercene, a dimostrazione che la “diversità” è solo nel cieco sguardo di chi non vuole guardare, per tutti gli altri essa appare come unicità.
Vi invito a leggere questo dialogo a quattro voci per entrare nel vivo di Time will tell

Time will tell. Zanele Muholi + Robert Hamblin, exhibition view, Galleria Il Frantoio, Capalbio. Ph Dimitri Angelini

Time Will Tell ospitata alla Galleria Il Frantoio a Capalbio rappresenta una prima assoluta in Italia. Come arriva a Capalbio questa mostra, intensa, sincera e dirompente, che tocca tematiche forti come le discriminazioni sociali e di genere? Quanto ritieni sia importante sensibilizzare attraverso l’arte un pubblico sempre più ampio, soprattutto con mostre come questa e con artisti, come Muholi e Hamblin, che considerano l’espressione artistica come vero e proprio atto politico di sensibilizzazione nelle lotte che entrambi portano avanti da anni?
Maria Concetta Monaci
: L’idea della mostra si è concretizzata sia grazie al lavoro di promozione che Francesca de’ Medici sta conducendo nei confronti di Robert Hamblin, sia alla profonda amicizia che lega Hamblin stesso a Muholi;  il suo arrivo a Capalbio è il frutto di un grande lavoro di squadra compiuto in Italia da parte di professionisti nei vari ambiti.
Muholi e Hamblin sono legati da una forte amicizia e intesa artistica che li ha condotti a concepire un progetto inedito appositamente per Capalbio; per la prima volta insieme in Italia, presentano un programma espositivo condiviso e a due voci, ricco di lavori inediti.
La direzione organizzativa e la curatela che da anni lavorano per portare a Il Frantoio, a Capalbio, progetti culturali che utilizzano l’arte contemporanea per invitare a riflettere su temi di grande attualità, hanno posto l’accento su diritti ancora troppo spesso traditi in molti Paesi e culture.
Sappiamo che per quanto istruiti o sensibili possiamo essere è un atteggiamento ricorrente, un dato di fatto, che si presti l’occhio alla differenza, prima che alla corrispondenza. Qui nasce l’etichetta di diverso; etichetta che poco contempla un dato tangibile e costante: tutti siamo diversi gli uni dagli altri. Siamo unici.
Le storie dei due artisti, uniche perché uniche sono le loro personalità, ma vicine alle storie di troppi nel mondo, sono sature di disagio, dolore, discriminazione che hanno provocato ferite profonde, ma anche generato nuova e forte consapevolezza.
Con questa mostra intendiamo rivolgerci soprattutto ai giovani, ma anche ricordare alle generazioni precedenti quanto siano stati lunghi i percorsi per l’ottenimento di diritti fondamentali e che il principio d’uguaglianza e di non-discriminazione costituisce un elemento fondamentale della protezione dei diritti umani.
Devono essere impressi nel nostro cuore.
Capalbio, per il suo ruolo nel panorama della cultura, è la giusta vetrina, è la cassa di risonanza che amplifica e dà forza a questo importante messaggio.

Time will tell. Zanele Muholi + Robert Hamblin, exhibition view, Robert Hamblin, Galleria Il Frantoio, Capalbio. Ph Dimitri Angelini

Zanele Muholi e Robert Hamblin sono due fotografi e attivisti che operano in Sudafrica. In mostra, oltre che dai lavori più iconici di entrambi gli artisti, siamo accolti da una serie molto intensa realizzata a quattro mani. Scatti che rivelano la doppia faccia del Sudafrica, un bianco e nero che si rafforza nel contrasto del colore della loro pelle. Ci racconti la genesi di questo lavoro, nato durante i lockdown da Covid-19? Possiamo dire che sia proprio da questo progetto condiviso che nasce l’idea di Time Will Tell?
Francesca de’ Medici
: Assolutamente sì. Time Will Tell nasce proprio dalle conversazioni notturne tra Muholi e Hamblin durante il primo lockdown, dai numerosi e quotidiani loadshedding imposti dal governo sudafricano nel tentativo di regolare il consumo energetico, dalla frustrazione di non poter essere liberi di muoversi oltre i confini del proprio domicilio, ad interagire con e a fotografare la comunità queer alla quale sono fortemente legati. Non appena possibile, e a più riprese, i due artisti si sono ritrovati di persona in luoghi per degli shoots di grandissimo effetto. Dalle piscine artificiali ottenute rubando spazio all’oceano, alle camere d’albergo lussuose ma anonime e di enorme effetto e pathos, i due artisti hanno consolidato la loro amicizia quasi ventennale esplorando l’effetto della vicinanza dei loro corpi di colore diverso. Per tanti anni separati dal regime dell’apartheid, ora più che mai sono liberi di documentare la vicinanza e la sovrapposizione fisica di colore e genere – perché non solo di temi di razza tratta il loro lavoro, ma anche e molto decisamente di genere.

Robert Hamblin, To Hear Your Heart, 2021, Hahnemüle Photo Rag, 110×75.3 cm. Edition of 8 + 2 AP. Courtesy of the Artist

Hai giustamente sottolineato le diversità formali dei due artisti, ciascuno dei quali a proprio modo dotato di un linguaggio potente ma poetico allo stesso tempo, pur nel loro diverso approccio espressivo. Puoi spiegare il diverso utilizzo del ritratto nei due artisti, punto di contatto ma anche di separazione netta tra di loro (tenuto conto che per Hamblin si affianca in mostra alla produzione fotografica anche una serie di disegni/autoritratti realizzati con l’utilizzo di inchiostro e candeggina…)?
Davide Sarchioni
: Gli autoritratti di Zanele Muholi e Robert Hamblin, pur nella diversità formale e linguistica che li contraddistingue, nascono da una ricerca autobiografica e affondano le proprie radici nell’attivismo per esplorare i temi dell’identità e della resistenza sociale. Sono immagini emblematiche e potenti dai significati profondi che affiorano lentamente per sovvertire il pensiero comune di chi osserva, legato a retaggi culturali, pregiudizi e consuetudini sull’identità di genere, razza e appartenenza sociale, per educare alla solidarietà e alla diversità e spingere verso il cambiamento mettendo coraggiosamente in gioco anzitutto se stessi in prima persona.

Zanele Muholi, Yikho II, Sheraton Hotel, 2019, silver gelatin print, 60×48 cm Image, 70×58 cm Paper. Edition of 8 + 2 AP. Courtesy of the Artist

Negli autoritratti di Muholi, rigorosamente in bianco e nero, colpisce in particolare lo sguardo fisso, intenso e penetrante degli occhi, diretto verso lo spettatore, in cui la sclera bianca si accende di luce e contrasta con il nero profondo, anzitutto della pelle, veste epidermica di umanità. La violenza razzista, coloniale e patriarcale è da sempre legata al volto, ai suoi tratti somatici e al colore della pelle che Muholi riesce a mostrare senza paura, con orgoglio e fierezza per trasmettere un messaggio di coraggio e fiducia. In molti autoritratti, di grande intensità,  l’artista è acconciat* e vestit* con abiti, accessori e oggetti, che possono sembrare stravaganti, ma che invece derivano dal proprio vissuto con cui costruisce impersonificazioni legate a storie di dolore e di violenza, di discriminazione razziale e di genere. Possono sembrare ironici o sarcastici, glamour o drammatici, ma in ogni caso negli autoritratti di Muholi il volto, il corpo, il colore della pelle sono messi spregiudicatamente in primo piano come atto di forza e di protesta e diventano un efficacissimo e potente dispositivo estetico e comunicativo per catturare lo sguardo di chi osserva spronandolo a riflettere.

Robert Hamblin, Fight or Flight 2, 2022, Hahnemüle Photo Rag, 42 x 29.7 cm. Edition of 8 + 2 AP. Courtesy of the Artist

La ricerca attuale di Hamblin muove dalla sua esperienza di persona trasgender e questo aspetto è sempre presente nei suoi autoritratti che esplorano coraggiosamente il proprio corpo maschile in tutta la sua verità, immortalato in pose e atteggiamenti che travalicano pregiudizi e limiti di genere, rivelando al contempo le cicatrici degli interventi chirurgici quali segni e ferite esistenziali. A differenza di Muholi, la foto costituisce per Hamblin un momento di studio per l’elaborazione dei suoi dipinti, eseguiti a inchiostro su carta con una gestualità impulsiva e a tratti irruente che, seppur meditata, si manifesta quale sfogo del tutto interiore in un’ampia varietà di immagini emotivamente toccanti e coinvolgenti. Si tratta di una ricerca intimamente vissuta che conduce l’artista a corrodere, tanto tecnicamente quanto emblematicamente, sia la superficie cromatica sia il suo mondo interiore alla ricerca di un Io che emerge affermativamente con la sua umanità e nella quale ognuno di noi può riconoscersi, così che la storia personale dell’artista possa veicolare un messaggio di amore educando alla solidarietà e alla diversità, per abbattere i muri dell’intolleranza e dell’indifferenza. Il lavoro di Hamblin trova un ricongiungimento tanto metaforico quanto reale con Muholi nella serie di scatti inediti in bianco e nero realizzati nel 2021 e nel 2022, dove i loro corpi sono associati l’uno all’altro quasi astraendosi dalla realtà e si intrecciano evocando l’intersezione tra due storie individuali differenti, cariche di sofferenze e di ingiustizie condivise, in cui la ricerca autobiografica si spinge fino all’esplorazione dell’identità sudafricana.

Robert Hamblin, Never Forget, 2021, Hahnemüle Photo Rag, 110×75.3 cm. Edition of 8 + 2 AP. Courtesy of the Artist

Di Hamblin vengono presentati soprattutto gli autoritratti, sia quelli fotografici sia quelli realizzati ad inchiostro, strettamente legati ad un’estetica queer di cui l’artista si fa portavoce, rivendicando con orgoglio l’allontanamento da convenzioni e trend ritenuti socialmente accettabili. L’artista ha tra l’altro pubblicato lo scorso anno un libro “Robert: A Queer & Crooked Memoir”. Si tratta di opere molto intime ma anche potenti, puoi approfondire per noi come è stata effettuata la scelta delle opere in mostra e la poetica delle stesse?
Francesca de’ Medici: Robert è persona transgender, attivista, fotografo, artista e scrittore. E, come ama sempre sottolineare, anche babbo. Una persona, un artista a tutto tondo. Un essere umano che vive costantemente a filo della propria umanità, esplorandone gli angoli più reconditi con una curiosità ed un coraggio profondi ed inusuali. I suoi autoritratti riflettono tutto ciò: dalla tenerezza che prova per l’umanità in generale all’esplorazione di ciò che significa oggi l’esser maschile, l’esser uomo. A questo proposito, Robert si interroga spesso su come si è evoluto il sistema del patriarcato e di come è nocivo non solo per le donne, ma anche per gli stessi uomini – ad un bambino non sarebbe concesso facilmente piangere senza magari sentirsi dire che è un “ometto”, e gli uomini non piangono. Negli autoritratti esposti, tutti dipinti ad inchiostro con l’intervento esplorativo e corrosivo della candeggina, Robert osserva il suo corpo e lo espone fino all’ultima cicatrice, sia fisica che emotiva. Ne indaga l’umanità, porta a galla l’amore che ognuno di noi deve nutrire per se stesso per poter sopravvivere in un mondo spesso privo di coscienza e di scrupoli.

Zanele Muholi, Bona III, ISGM, Boston, 2019, silver gelatin print, 80×60.5 cm Image, 90×70.5 cm Paper. Edition of 8 + 2AP. Courtesy of the Artist

Zanele Muholi è fotograf* e attivista LGBTQI+, persona nera queer in un Sudafrica che primeggia per i crimini d’odio basati su genere e sessualità. In ogni suo lavoro, si avverte chiaramente lo spettro della discriminazione razziale e di genere (in mostra un’opera molto intensa ed evocativa Massa + Maids, Hout Bay  del 2009). A partire da questo lavoro, puoi raccontarci delle altre opere presenti in mostra, tra cui il nuovo autoritratto in bronzo…?
Infine, in chiusura, una mia suggestione che vorrei condividere con te. Nel momento in cui si ripercorre la mostra e si osservano con attenzione le opere di Muholi, si è attraversati dal suo sguardo severo ma fragile che ribalta il ruolo di spettatore del pubblico. Cosa rivela secondo te il suo volto statuario, il suo sguardo quasi ipnotico?
Davide Sarchioni:
Tra i lavori di Muholi in mostra è senz’altro emblematica la grande fotografia a stampa in gelatina d’argento Massa + Maids, Hout Bay del 2009, che ritrae tre donne nere in un interno vestite da collaboratrici domestiche (delle quali una è rappresentata dalla stessa Muholi) in posa con un uomo bianco disteso, impersonato proprio da Robert Hamblin. Partendo dalle proprie vicende biografiche, legate anche alla madre Bester che ha lavorato come domestica in un quartiere di bianchi, la mente corre alla tragica storia del Sudafrica, alle violenze e ai soprusi subìti e legati alle discriminazioni di razza, genere e appartenenza sociale.

Zanele Muholi, Massa + Maids, Hout Bay, 2009, silver gelatin print, 116 x 159 cm. Edition of 8 + 2 AP. Courtesy of the Artist. Ph Dimitri Angelini

Oltre ai diversi autoritratti, dalla serie ancora in itinere Somnyama Ngonyama, e agli scatti tratti della serie Faces and Phases, costituita da ritratti di persone queer nere sudafricane, desidero porre l’attenzione su alcuni lavori inediti presentati in questa occasione espositiva, tra i quali Yaya Mavundla & Terra Dick I e Amanzi I, Waterfront, Cape Town, realizzati entrambi nel 2022 in una piscina panoramica in Sudafrica che si staglia su un paesaggio naturale mozzafiato. Nel secondo, in particolare, il corpo statuario e nero di Muholi emerge dall’acqua come una divinità, esprimendo forza e bellezza.

Zanele Muholi, Amanzi I, Waterfront, Cape Town + Yaya Mavundla; Terra Dick I, 2022, print on paper, 118×78 cm each. Courtesy of The Artist. Exhibition view, Galleria Il Frantoio, Capalbio. Ph Dimitri Angelini

Più osservo il lavoro di Muholi e più rimango catturato dalla capacità espressiva dello sguardo e del corpo, come un’immagine potentemente iconica e carismatica che seduce ma al contempo ti costringe inerme con le spalle al muro. È la stessa sensazione che ho provato di fronte alla sua imponente autorappresentazione in bronzo con cappello, braccia conserte, sguardo fisso e penetrante che con fermezza sembra ribaltare il ruolo dello spettatore, quasi come se egli stesso diventasse inaspettatamente “l’oggetto” da osservare.
Si tratta di uno sguardo carico di forza e di orgoglio, di chi continua imperterrito a combattere e a infondere coraggio per indurre a riflettere e a ripensare alla storia, prendere una posizione consapevole, dura e necessaria, per migliorare e migliorarsi. Time will tell…

Time will tell. Zanele Muholi + Robert Hamblin, exhibition view, Zanele Muholi, Galleria Il Frantoio, Capalbio. Ph Dimitri Angelini

Time will tell. Zanele Muholi + Robert Hamblin
a cura di Francesca de’ Medici e Davide Sarchioni

25 giugno – 2 ottobre 2022

Galleria Il Frantoio
Piazza della Provvidenza 10, Capalbio 

Orari: da mercoledì a lunedì dalle ore 19 alle 23. Chiuso il martedì

Info: +39 3357504436
info@associazioneilfrantoio.it
ilfrantoio.art@gmail.com
www.associazioneilfrantoio.it

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