Non sei registrato? Registrati.
BOLZANO | SEDI VARIE | BOLZANO ART WEEKS

INTERVISTA A NINA STRICKER di Livia Savorelli
Con il contributo di Valentina Cramerotti e Matteo Attruia

Rispetto alla prima edizione, realizzata nel 2021 in risposta alla pandemia con la volontà di riconnettersi attraverso l’arte e ricreare legami nel territorio, BAW 2022 – sia per la ricchezza del programma sia per la varietà dei soggetti coinvolti – appare decisamente strutturata come Festival, con molte presenze istituzionali e molte connessioni tra gli operatori della città, con una connotazione ancora più fortemente inclusiva. Considerare come uniche le realtà del territorio, di Bolzano principalmente ma con un attento sguardo anche verso l’intero Alto Adige,  ciascuno con il proprio apporto creativo, è sintomatico di quel particolare atteggiamento di apertura20 e di unione che caratterizza questo festival diffuso.
Dopo aver vissuto in prima persona l’evento, ho voluto ripercorrere con Nina Stricker, fondatore e direttore artistico di BAW, le tappe fondamentali di questa edizione, approfittando anche del racconto di Matteo Attruia, protagonista di uno dei Main Project, e di Valentina Cramerotti, general manager organisation di Bolzano Art Weeks…

BAW22 WINNER: BeeCube – Sebastian Kulbaka_Clinica Santa Maria. Foto by Fanni Fazekas

L’edizione si è conclusa il 2 ottobre e sicuramente è seguita una riflessione in termini di bilancio. Cosa secondo te e il team di BAW è stato fondamentale in questa edizione e cosa, invece, può essere ulteriormente migliorato? Quale è stata la risposta della città di Bolzano?
Nina Stricker:
Penso che il secondo anno di ogni progetto sia sempre particolarmente difficile e un po’ un “banco di prova”. Si trattava di dimostrare che al di là dell’emergenza dalla quale è nata, BAW avesse le potenzialità per diventare un festival annuale e più strutturato, e di comprendere se davvero ce ne fosse la necessità e ne potessero derivare delle utilità/opportunità a medio termine per gli oltre 120 partner coinvolti. Sentir parlare per la prima volta dopo molto tempo di Bolzano come destinazione artistica la leggerei come conferma della validità dell’idea alla base di BAW. Mettere semplicemente in evidenza e in rete tutta la ricchezza culturale che questo territorio da sempre ha, porta ad ottenere un effetto d’insieme che viene maggiormente percepito non solo localmente, ma anche al di fuori dei confini provinciali. Nonostante il numero molto elevato di iniziative (oltre 150), le presenze erano consistenti, ben spalmate e con una buona circuitazione di pubblico da una sede all’altra (con una media del 30% di visitatori non abituali/sconosciuti registrata dai partecipanti). In futuro si andrà presumibilmente verso un’estensione ulteriore dell’arco temporale della rassegna da 10 giorni (e 2 weekend) a due settimane (3 weekend) e una più sistematica divisione in quartieri/zone della programmazione delle Bolzano Art Weeks – nominate sin dall’inizio e volutamente al plurale – per non perdere la propria orizzontalità inclusiva, ma permettendo una ancora maggiore fruibilità.

Stefano Cagol, Terminus_SMACH, Parkhotel Mondschein

Nei dieci giorni in cui si è sviluppata la rassegna siete riusciti a coinvolgere le principali istituzioni cittadine che hanno inaugurato mostre dal tenore molto elevato, penso ad esempio al Museion con Kingdom of the Ill e alla Fondazione Dalle Nogare con Ri-Materializzazione del Linguaggio. 1978-2022 nonché alle collaborazioni con realtà museali, come il Museo di Scienze Naturali e il Museo Mercantile, che hanno ospitato singoli progetti ad hoc, aprendo le loro porte ad un pubblico diverso dal tradizionale. Come nel caso di questi ultimi due musei, sono stati individuati gli eventi e le relative collaborazioni che hanno determinato i particolari interventi site-specific? Come si è concretizzata, invece, la partnership con la Libera Università di Bolzano?
N.S: Sì, con gli attori più grandi del sistema ci sono stati un dialogo e un coordinamento precoce e continuativo nella definizione del programma complessivo della manifestazione che tenesse conto degli appuntamenti di maggior richiamo, offrendo allo stesso tempo un’opportunità alle realtà “minori” (solo in termini di dimensioni e risorse, non di progettualità), di sfruttare la sinergia della coincidenza con gli eventi di impatto più esteso per presentare le proprie iniziative a un pubblico più allargato e potenzialmente anche extra-provinciale. Confermo come molto interessante e in crescita la tendenza da parte di altri musei non settoriali di ospitare progetti site-specific di arte contemporanea in parte mediati direttamente da noi attraverso delle partnership costruite anche lentamente nel tempo che ora iniziano a dare i primi risultati.

Lisa Batacchi, Sand Storms in Medio Mundi, curata da Lottozero, Museo Mercantile. Foto by Fanni Fazekas

Particolarmente fruttuosa è stata la collaborazione con la Facoltà di Design e Arte della Libera Università di Bolzano, con il preside Nitzan Cohen in rappresentanza nel nostro comitato scientifico, ma anche con altre facoltà dello stesso ateneo che ha trovato in BAW il palcoscenico e la cornice più adatta per dare espressione ai giovani talenti che annualmente escono da un’università trilingue con un modello didattico innovativo e docenti di spessore (Italo Zuffi, Luca Trevisani, Eva Leitolf e lo stesso Ibrahim Mahama per nominarne solo alcuni). Spesso sono persone formate in unibz che si trovano oggi all’interno delle istituzioni culturali del territorio: sono ex-studenti, per esempio Katharina Kolakowski di Foto Forum o Angelika Burtscher e Daniele Lupo di Lungomare. Oltre alle mostre ufficiali in facoltà come la pluripremiata “SHOOT & THINK” degli studenti di Studio Image e l’apertura dell’anno accademico in maniera festosa proprio durante BAW e con una lecture inaugurale dello stesso Mahama aperta a tutta la cittadinanza, anche gli apporti meno strutturati al programma di neo-laureati e laureandi hanno contribuito alla dimensione sperimentale, giovane e frizzante che alimenta quell’entusiasmo collettivo e quella voglia di fare che animano BAW. Fra questi una coraggiosa mostra sul caporalato di Matteo Falcone e le performance in strada improvvisate dal collettivo dzublate. Inoltre, molti i progetti di design coordinati dal prof. Kuno Prey disseminati per negozi del centro e fuori e nuove progettualità con una forte vena eco-sociale che, nel tempo, stanno trasformando l’approccio stesso delle istituzioni e associazioni del territorio avvicinandole a quelle del Nord-Europa.

FLUX FRAGMENTS_Lungomare. Foto by Fanni Fazekas

Il valore inclusivo della rassegna è inoltre ulteriormente confermato dal legame che, ad ogni edizione, si crea con un evento del territorio, quest’anno ad esempio con la Biennale Gherdëina…
N.S: Senza allentare quella condensazione spazio-temporale da cui deriva molta della forza esplosiva di BAW che ci ha fatto propendere anche in questa seconda edizione per una concentrazione delle attività nel capoluogo, Bolzano, sin dall’inizio abbiamo voluto dare spazio anche a tutte quelle e altrettanto interessanti realtà provenienti dal resto del territorio provinciale. Oltre ad invitarle ad esporre in spazi temporanei, ci siamo da quest’anno attivati per creare degli scambi più strutturati e aprire ogni anno uno o due focus su aree diverse: il primo “BAW On Tour” ha proprio coinvolto la straordinaria edizione della Biennale Gherdëina in occasione del loro finissage. Dopo aver ospitato una loro installazione iconica davanti al Teatro Comunale di Bolzano l’anno scorso, quest’anno BAW si è recata in Val Gardena alla scoperta non solo delle sedi della Biennale, ma anche di molte delle istituzioni ladine della valle in un vero e proprio open day.

Videoinstallation ZWEI_Christian Niccoli, Palais Campofranco. Foto by Fanni Fazekas

Il tema scelto per l’edizione 2022 – Memento/Moment(o)/Monument(o) – è, come ho già avuto modo di dirti, una riflessione intelligente che coglie al pieno lo spirito del nostro tempo per un progetto che si sviluppa in una città quale Bolzano, eletta Città della Memoria 2022. Come hai voluto declinarlo e quali artisti hai scelto per svilupparne il concetto?
N.S: Nella consapevolezza responsabile degli effetti che anche gli eventi temporanei possono avere sulla nostra esperienza e qualità di vita – che per lo più è scandita in una serie di momenti significativi, a volte capaci di generare ricordi a livello individuale e/o lasciare tracce nella memoria collettiva – e per non rimuovere senza elaborarle una serie di esperienze limite della storia recente, ero partita dal connubio bilingue Memento/Moment(o) che accentuava soprattutto la dimensione limitata in cui ci è concesso intervenire del Carpe Diem. È stato invece proprio l’incontro con l’idea di Matteo Attruia – in particolare una sua opera di grandi dimensioni “Ha Futura Memoria” che porta in sé il presente, passato e futuro – a farmi aggiungere il terzo e problematico Monument(o) con la sua dimensione semi-permanente di medio-lungo periodo. L’introduzione di un tema era funzionale anche per creare un filo narrativo comune attraverso una manifestazione così poliedrica (e un po’ anarchica) come BAW in un territorio così ricco di contraddizioni storiche come l’Alto Adige. Pertanto ho declinato i tre elementi del tema come titoli dei tre eventi principali e punti di snodo del programma: dal pre-opening Memento(o) a Palais Campofranco con l’inaugurazione del monumento di Attruia e il ricordo di un grande artista locale recentemente scomparso – Christian Martinelli – che aveva ispirato la prima edizione di BAW, al Moment(o) fotografico con l’istantanea senza tempo di Brigitte Niedermair al Parkhotel Laurin alla collettiva Monument(o) e Finissage di BAW in un luogo speciale – l’ex convento di Maria Heim – come ultimo appuntamento in calendario all’insegna della pluralità, collaborazione e decentralizzazione che sono i tratti identitari di questo festival capaci di lasciare segni positivi anche nel tempo.

Brigitte Niedermair, MOMENTO_Marie Claire 2009-2010 Peau d’Ames, installation view Parkhotel Laurin. Foto by Fanni Fazekas

La tua opera ERO_E è stata uno dei Main Project di BAW 2022, un’opera concettuale dal forte valore simbolico che innesta una riflessione quanto mai attuale sulla figura dell’eroe e sulla monumentalità in generale, connettendo idealmente passato, presente e futuro, in cui tu come artista sei volutamente in disparte. Un raffinato gioco di parole e un piedistallo vuoto, simbolo di un’assenza, che non vuole dare risposte ma aprire un infinito scenario di possibilità, che diviene strumento di riflessione e partecipazione da parte del pubblico. Mi piacerebbe ci raccontassi l’origine di questo lavoro, a partire dalla sua lunga gestazione risalente al 2011, dalla scelta di un materiale eterno come il marmo, fino alla proposta a BAW e alla importante collaborazione con la Covelano Marmi per realizzarla… Infine, sei soddisfatto dell’interazione che il pubblico occasionale ha avuto con il lavoro (durante la mia permanenza a Bolzano, il piedistallo è diventato anche il teatro di un giocoliere che intratteneva un gruppo di bambini ;-), nda), l’opera ha pienamente espresso le sue potenzialità?
Matteo Attruia: Ero_E nasce come Eroe. Un progetto del 2011 che non aveva trovato allora le risorse e le energie per essere realizzato. Si trattava di un monumento vuoto con dimensioni più contenute e con l’invito esplicito ad occuparlo. Una sorta di omaggio ai vivi (monumento ai non caduti) che, praticando l’azione, rendevano l’opera possibile.
La scritta EROE (così completa, allora) era semplicemente la celebrazione di un atto, senza la complessità che si è aggiunta nel tempo, nel pensiero. Un’aggiunta fatta di sottrazioni.
Nell’evoluzione del progetto manca proprio la tensione alla celebrazione a favore, invece, di un nuovo elemento, cioè il silenzio, l’assenza. Così, se è vero che “ogni cosa a suo tempo ha il suo tempo”, il piedistallo di marmo, con la sua incisione, non si è sottratto al lavoro del grande scultore (il tempo, appunto) che ne ha modificato il concetto e anche l’oggetto.
L’invito a partecipare a BAW (Bolzano Art Weeks) e l’impegno delle persone coinvolte, hanno reso possibile quello che prima sembrava impossibile, trasformandolo, ad un certo punto in necessario.
Per la prima volta mi confronto con un materiale così pieno, così solido. Così pesante. Come spesso capita, e nel mio lavoro questo accade di frequente, è la materia che contiene già il senso del mio operare. Non poteva essere che di marmo Ero_e…e non poteva essere che questo specifico marmo utilizzato così spesso per i monumenti. La collaborazione con Covelano Marmi è stata caratterizzata da una sintonia di propositi e di azioni. La loro disponibilità e la qualità del loro impegno, del loro lavoro, si vede nel risultato finale. La cosa che mi ha colpito è stata la relazione fortissimo tra la pesantezza, la durezza del materiale e la grazia, la carezza nel terminare l’opera con un’incisione fatta a mano. Non conosco la potenzialità dell’opera (è un po’ come prevedere il futuro), ma certamente mi auguro che abbia stimolato le persone che hanno avuto la voglia di fermarsi a riflettere, a guardare, a toccare questo piedistallo, questo monumento. L’oggetto diventa opera sono nella relazione con gli altri. Nella curiosità degli altri. ERO_E è solo un punto di domanda.

Matteo Attruia, ERO_E, 2011-2022, marmo bianco di Covelano (detail). Courtesy Matteo Attruia. Foto by Fanni Fazekas

Nei giorni trascorsi a Bolzano, ho potuto inoltre assistere ad una bellissima sinergia tra alcuni artisti locali molto noti a livello nazionale ed internazionale – Stefano Cagol, Brigitte Niedermair, Marcello Jori, etc. – che hanno interagito con location particolari e non deputate all’arte, penso ad esempio all’installazione di Stefano Cagol nel giardino dell’Hotel Mondschein oppure a quella di Brigitte Niedermair nel salone del Laurin Bar, e alcuni collezionisti di Bolzano molto noti, che hanno aperto con gioia la loro collezione e ospitato dei progetti ad hoc, penso ad esempio alla Collezione Tisot…
Cosa volete innestare nel visitatore, anche quello di passaggio e non necessariamente fruitore tradizionale di arte contemporanea?
N.S: Vogliamo offrire un’esperienza culturale significativa a tutti, senza distinzioni o differenziazioni, e provare a metterla a disposizione del maggior numero di persone possibile, all’abitante quanto al visitatore, facendo loro (ri)scoprire la città in ogni suo angolo, investendo anche luoghi del quotidiano, non espositivi, spazi pubblici temporaneamente occupati con l’arte, e ci proviamo attraverso un’apertura che non vuole essere solo accessibile, ma invitante e veramente accogliente. L’offerta non è definita da un singolo e nemmeno da un solo team organizzatore o comitato, ma da oltre 120 soggetti con una diversità e varietà tale da poter forse rispondere alle inclinazioni e preferenze di un numero più ampio di fruitori, superare i confini disciplinari, le gerarchie, i circoli chiusi e mescolare i pubblici con il risultato di una grande e a volte incontrollabile energia collettiva che coinvolge attori e utenti contemporaneamente, finalizzata al raggiungimento dell’obiettivo principale: farci vivere momenti degni di essere ricordati. Credo che Marcello Jori, con la sua straordinaria capacità di sintesi abbia descritto molto bene l’esperienza che ha vissuto a BAW quest’anno: “Ho scoperto che Bolzano nasconde tesori. Ma non piccoli tesori, grandi tesori!”.

Marcello Jori. Open Studio_Parkhotel Laurin. Foto by Fanni Fazekas

In occasione di BAW, il centro città non è stato il solo protagonista. Personalmente ho potuto particolarmente apprezzare il progetto Bolzanism Museum, che con un inedito approccio teatrale ci ha portato a ripercorrere la storia di Bolzano attraverso le architetture della sua periferia, in particolare la zona di Bolzano ovest. Come nasce il progetto e con quali finalità?
Valentina Cramerotti: Bolzanism Museum è l’evoluzione di un esperimento di mediazione urbana tra le architetture popolari di Bolzano Ovest e i loro abitanti, avviato da Cooperativa 19 e Campomarzio nel 2017 con un progetto pilota e sistematizzato nella forma “museo” nel 2020 grazie alla collaborazione anche con il Teatro Cristallo. È attualmente il primo esperimento in Italia di museo sul social housing e l’obiettivo è proprio quello di offrire – sia agli abitanti stessi che a chi è a Bolzano per la prima volta – una lettura diversa delle zone meno centrali della città, che spesso inaspettatamente raccontano storie e ospitano architetture di forte interesse e significato. La modalità che abbiamo ideato è quella della Walk, un’esplorazione urbana teatrale in cui storia e architettura, luoghi iconici e storie personali degli abitanti si mescolano in un mix inedito, che trasporta il visitatore in un’esperienza nuova di conoscenza di Bolzano a piedi, camminando e attraversando. Siamo partiti dal riconoscere l’importanza delle architetture popolari come nucleo dello sviluppo urbano, sociale e culturale della città e crediamo che questi quartieri, attualmente a Bolzano Ovest ma vale anche per gli altri, possano essere palcoscenico – tanto quanto il centro di progetti come BAW.

Bolzanism Museum. Da sinistra: Valentina Cramerotti, Margherita Delmonego e Pietro Ambrosini. Foto by Fanni Fazekas

Gli artisti di ogni edizione, vengono selezionati dal comitato scientifico di BAW anche attraverso delle call. Quali artisti sono stati selezionati sulla base delle BAW Call for artists 2022? Penso ad esempio all’artista serba Sanjeshka o al Monument(o) group show al centro Maria Heim con gli artisti Camilla Marinoni, Noa Pane e Saman Kalantari…
N.S: Bolzano Art Weeks è un modo di rappresentare le infinite peculiarità culturali e linguistiche del territorio, ma anche di aprirsi alla dimensione nazionale e internazionale grazie, in particolare, ai risultati della Call for artists lanciata nel corso dell’estate che ha visto la significativa adesione di artisti provenienti da tutta Italia ed Europa. Gli otto vincitori, selezionati dal comitato tecnico-scientifico di BAW, sono stati protagonisti di progetti site e theme specific in vari luoghi di Bolzano: Christian Niccoli e Sanjeshka, Enzo Forese e Cecilia Mentasti a cura di Simone Melis, Anouk Chambaz, Stefano Bernardi, Ignacio Merino, insalata-mista studio & Tobias Tavella, Sebastian Kulbaka e Camilla Marinoni. Il comitato tecnico-scientifico di BAW – Bolzano Art Weeks è composto da professionisti di alto livello nei settori dell’arte e della creatività. Ne fanno parte: Valerio Dehò (curatore indipendente), Denis Isaia (curatore per le mostre e le collezioni d’arte contemporanea del Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto), Alexander Zoeggeler e Lisa Trockner (rispettivamente presidente e direttrice di Südtiroler Künstlerbund), Tommaso Tisot (collezionista), Kathrin Oberrauch (curatrice indipendente), Nitzan Cohen (preside della Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano), Rudolf Frey (direttore artistico designato Vereinigte Bühnen Bozen), Chiara Caliceti (esperta di marketing e comunicazione turistica, direttrice generale di DOC-COM) e Anna Quinz (creative director di franzLAB.)

Buon lavoro in vista di BAW 2023!

Camilla Marinoni, L’inizio di ogni giorno. Canto III: Bolzano, Maria Heim. Foto by Fanni Fazekas

Info: www.bolzanoartweeks.com

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •