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ROMA| Francesca Antonini Arte Contemporanea | Fino al 18 gennaio 2020

di Jacopo Ricciardi

La giovane pittrice Alice Faloretti, classe 1992, ha una mano ben allenata e la sua azione sulla tela è sia rapida che meticolosa, agisce di fioretto, “di prima”, ma è anche capace di un’azione larga drammatica. I segni lasciati dal pennello, e che costruiscono la figurazione dei quadri, coprono i segni precedenti ma anche lasciano larghe porzioni di spazio di fondo dove possono apparire altri paesaggi più piccoli, mari o ruscelli o coste o monti alberati.

Alice Faloretti, Suspension of Disbelief, veduta della mostra courtesy Francesca Antonini Arte Contemporanea

I colori sono lividi, accesi di luci acide verdi, blu, rosse, che scavano uno spazio oscuro di origine tintorettiana o dell’ultimo Tiziano. I colori possono essere quelli delle terre rosse delle sinopie o altre volte quelli dei fondi amaranto scuro dei quadri barocchi, o anche i gialli pallidi di Turner, con alberi soli che ricordano Piero della Francesca o, più generalmente, il Quattrocento fiorentino e umbro, o fitti boschi e folte vegetazioni: si respirano  atmosfere medievali e quattrocentesche fino a presenze vegetali barocche e palpiti di folto naturale ottocentesche, unite in un paesaggio naturale fatto da più paesaggi contrastanti, come uno spazio di paesaggio naturale squarciato da altri paesaggi, più piccoli o di grandezza gemella. Delle abitazioni o vaghe strutture create dall’uomo abitano quel folto, e quasi si nascondono in esso. Importante: la figura umana è assente totalmente e, quando presente, è appena percepibile, assorbita, mangiata e digerita dal paesaggio, appare prima di scomparire definitivamente. Sono teste di cavalli quelle riverse nel fiume? Probabilmente.

Alice Faloretti, Una finastra illuminata, 2019, olio su tela, 60x50cm

Ora, da queste premesse l’opera della Faloretti inizia a chiarirsi, poiché offre allo spettatore un contesto naturale caleidoscopico di più paesaggi combinati insieme e nessun personaggio a viverlo o viverli. Ci viene offerta una scena di scene in cui l’abitante, il centro focale, è scomparso o mai esistito, e se è presente è parte del fondo della scena. Nessuna centralità in quest’opera, solo “fondo”. Un fondo pittoricamente vivo, e aperto dal gesto, e l’oscurità dell’ambiente naturale ritratto, sprofonda nei lampi di colore straniante, quindi è un “fondo” tridimensionale, abitato da se stesso, e da altri se stessi, paesaggio di paesaggi. Qui accade la scintilla di una magia: se lo sfondo è vivo e sprofonda in sé e l’abitante è lì assente, o riassorbito quasi invisibile, lo spettatore diventa l’attore, primario e unico, di quello sfondo. Ossia: se il corpo contiene la mente, la mente è condizionata dal corpo, ma se l’attenzione della mente è spostata da un corpo al contesto del paesaggio che gli sta intorno, questo inizia a ruotare intorno alla visione della mente, in maniera caleidoscopica, e un paesaggio si popola di altri paesaggi. Immagino questi paesaggi multipli contornare, accerchiando, la mente dell’osservatore che riscopre il proprio corpo in quegli spazi mentali, e non in quello fisso della materialità della galleria.

Alice Faloretti, Il racconto obliato, 2019, olio su tela, 180×150 cm

Queste opere dipinte sono memorie e riflessi mentali che l’artista-pittrice assembla e scopre così come fa l’osservatore, non come visioni esterne ma come un ambiente proprio, di cui fare esperienza diretta.
L’artista non è più colui che decide la forma di un segnale, ma colui che accetta di perdersi per cercare una strada. In questi boschi della Faloretti ci si perde, seguendo corsi d’acqua, finendo in altri paesaggi, passando accanto muri di case o ammirando un albero che in quel punto è solo col suo tronco esile, attraversando un’oscurità chiarita dai bagliori potenti dell’acqua, dell’aria, della terra e della sua vegetazione.
Questo transito extracorporeo è cosa terrena, ma in un altrove dell’esperienza. Si tratta di paesaggi la cui fisicità è reale e vivente sul corpo che crea intorno alla mente dell’osservatore. Sono paesaggi non vòlti all’estremizzazione dell’apparente come nel surrealismo, ma anzi ad un naturalismo eccitato dall’assenza del proprio attore, e quindi, messa in condizione di desiderarlo e di cercarlo, lo trova nello spettatore, attore mentale. I paesaggi dipinti risucchiano l’attenzione della mente in essi, dentro di essi, e non accade come nei nobili dipinti barocchi di paesaggio in cui la mente scivola su di essi abitandoli fintamente, fingendo un piccolo corpo che vada bighellonando per quegli spazi incontrando le varie cose dipinte. Qui la mente è risucchiata e il corpo si crea intorno ad essa per rispondere agli stimoli anticontemplativi del quadro, ossia stimoli pericolosi, reali, cardini del “perdersi” e non del “ritrovarsi”.

Alice Faloretti, Barlume, una pallida luce sull’orizzonte del mio cielo, 2019, olio su tela, 70x100cm


Alice Faloretti. Suspension of Disbelief
testo di Daniele Capra

Francesca Antonini Arte Contemporanea
Via Capo delle Case, Roma

Fino al 18 gennaio 2020

Info: +39 06 6791387
info@francescaantonini.it
www.francescaantonini.it

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