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VENEZIA | Marignana Arte | 9 febbraio – 20 aprile 2019

di LUCIA LONGHI

La scelta delle parole che utilizziamo per posizionare una ricerca artistica non è mai casuale, che si tratti di contestualizzarla all’interno di un discorso critico o di un luogo fisico.
Stanze, la mostra allestita fino al 20 aprile alla Galleria Marignana Arte a Venezia, presenta un titolo tutt’altro che leggero: il termine trasmette subito quel calore e quella stratificazione di presenze con cui questa parola si distingue rispetto ai più asettici sinonimi “spazi” o “sale”.
Le stanze compongono gli ambienti domestici, dove per definizione hanno luogo intrecci di vite, dinamiche di conflitto, crescita e riconciliazione, sedimentazioni di storie e di valori, negoziazioni di significati.

Sono, per questo motivo, delle “stanze”, i contenitori fisici e semantici che ospitano i sei artisti in mostra, i cui lavori sono presentati in dialogo, a due a due, in una collettiva delicata e dinamica al contempo. Le opere entrano in comunicazione su diversi livelli, come figure vive poste in dialogo tra di loro, costrette a sondare punti di contatto e direzioni di ricerca.

Stanze, veduta della mostra. Bianco Valente, Terra di Me, 2018, photographic print, 78 x 115 cm, Courtesy Marignana Arte. Foto: Enzo Fiorese

Richiama il tema del passaggio la prima stanza, in cui protagonista è l’essere umano. Ad aprire la mostra infatti è un dialogo tra Bianco-Valente (Latronico, PZ, 1962 – Napoli, 1967) e Donatella Spaziani (Frosinone, 1970) incentrato sul corpo come luogo di transito fisico e metaforico, ma anche sull’idea di limite.
Nel lavoro Terra di me (2018) del duo– che è stato recentemente presentato nel contesto di Manifesta 2018– una mappa del Mediterraneo si sovrappone a una mano. L’immagine della mappa, recuperata dal fondo cartografico di Villa Zito (Palermo) dove sono conservate carte nautiche del Mar Mediterraneo del XVII e XVIII secolo. La mano raffigurata, in cui le rotte diventano un tatuaggio sovrapposto alle pieghe della pelle – le cosiddette linee del destino – si schiude, in una riflessione sul Mediterraneo come luogo di apertura un tempo, di limite e blocco oggi. L’opera Complementare (2018), similmente, riflette sull’interazione con le altre culture mediterranee raffigurando le mani di due sposi, una mediatrice culturale e un rifugiato giunto in Italia dall’Africa Subsahariana.
Il rituale del passaggio che aderisce all’esperienza personale e al corpo è affrontato nell’opera di Donatella Spaziani nell’opera Muscolatura AnterioreSistema NervosoMuscolatura Posteriore, (2016) in cui il corpo viene associato, metaforicamente e fisicamente, a una carta da parati con pattern botanici. Prende vita così una metamorfosi del corpo umano da una natura a un’altra, per offrirlo come nuovo spazio di cambiamento, anche sociale.

Stanze, veduta della mostra. Marco Maria Zanin, Mezzogiorno Locale Vero, 2017, fine art print on cotton paper, 60 x 50 cm | Maggese, 2017, fine art print on cotton paper, 40 x 50 cm, Courtesy Marignana Arte. Foto: Enzo Fiorese

La seconda stanza di questo percorso intimo e domestico è un conversazione che avviene silenziosamente, nella pulizia formale delle fotografie di Marco Maria Zanin e le tele di Mats Berquist. Gli autori mettono in atto, nella loro pratica artistica, un lieve slittamento dell’autorialità, che va a rendere il tempo protagonista e artefice delle immagini che osserviamo.
Zanin immortala ciò che il tempo ha trasformato in ricordo, che siano passati pochi minuti, o decine di anni. Nella sua ricerca, Zanin pone in atto un tentativo di avvicinare tempi lontani, porgendoli alla nostra contemporaneità come immagini iconiche di luoghi e tradizioni locali perdute, ma da cui possiamo ancora attingere dei saperi. Immagini, nomi e storie trasformati dal tempo in archetipi culturali immobili, che tentano di riprendere vita e significato sociale attraverso le installazioni le fotografie dell’artista padovano classe 1983. Mezzogiorno Locale Vero (2017) una scultura misteriosa richiama l’immagine di antichi totem. Si tratta di un pezzo di pialla da falegname posta su un basamento, colpita dal sole. Un’immagine che vuole riavvicinarci ai tempi della vita contadina e del lavoro artigianale, scanditi dalle esigenze della terra e della natura, e non dell’uomo. Maggese (2017) ci riporta invece all’intimità dello studio dell’artista e alla sua famiglia. Il titolo rimanda ad una pratica agricola, tipica del mese di maggio, che prevedeva di lasciare la terra incolta e a riposo per restituirle fertilità. L’artista ha posizionato nel suo studio della terra dell’orto di suo nonno seguendo la forma della luce che entrava dalla finestra e l’ha fotografata a distanza di cinque minuti. Qui è di nuovo il tempo della quotidianità del lavoro contadino che disegna l’immagine, che si fa memoria tangibile, luogo di rielaborazione di emozioni e ricordi che vengono lasciati sedimentare sotto la terra.
Mats Berquists (Stoccolma, 1970) coinvolge il tempo come durata necessaria per la stratificazione di valore e come luogo storico cui attingere per ricoprire una tecnica e un approccio artigianale che va scomparendo. Richiamando la tecnica delle icone della tradizione artistica religiosa russa, l’autore, nell’opera Iconostasi (2016-2017), modifica il supporto ligneo, riducendolo a un’essenzialità che richiama la sacralità del materiale, il legno. Il supporto diventa così significante e significato: pazientemente trasformato, grazie alla tecnica dell’encausto, il legno riflette la luce sulle sue superfici diventate lisce e luminose grazie allo scrupoloso lavoro manuale dell’artista.

Mats Bergquist, Iconostasi, 2016-17, encaustic on wood, variable dimensions (detail)

La citazione della Storia, in particolar modo il valore e il peso dell’eredità artistica rinascimentale nella nostra cultura è percepibile nella terza e ultima stanza, in cui Serena Fineschi e Davide Quayola allestiscono, con deferente consapevolezza, dei lavori che si ispirano formalmente a grandi nomi della tradizione artistica italiana: Veronese, Tiziano, Raffaello. Le due opere della Fineschi (Siena, 1973), dal titolo Ingannare l’attesa, sono creazioni che nascono da un movimento della mano ripetuto quasi ossessivamente con penne Bic di colore, rispettivamente, Rosso Tiziano e Verde Veronese. Il risultato sono grandi monocromi che sono emblema di un gesto artistico a metà tra il tormento e lo stato di trance, che vogliono al contempo mettere in discussione la nostra coscienza del dialogo con la Storia nel momento in cui ci confrontiamo con questi colori.

Stanze, veduta della mostra. Donatella Spaziani, Serena Fineschi e Davide Quayola. Courtesy Marignana Arte. Foto: Enzo Fiorese

Davide Quayola (Roma, 1982) prosegue la sua ricerca incentrata sul dialogo con la produzione rinascimentale attraverso una rielaborazione di iconografie classiche con il metodo computazionale. Nella serie Iconographies 82_2, 2018, scene religiose e mitologiche mutano in intriganti forme digitali, cariche di una nuova sacralità iper-contemporanea, capaci però di mantenere la malia della matrice antica e preziosa da cui sono originate. Questa appare, lentamente, dopo attenta contemplazione: riusciamo a individuare l’iconografia della la Madonna d’Alba di Raffaello del 1511.

Giuseppe Adamo, Sulcus 6, 2019, acrilico su lino, 120 x 100 cm

Nella project room dedicata a progetti espositivi di durata più breve, Marignana Arte presenta un focus sul giovane pittore siciliano Giuseppe Adamo, la cui tecnica ammalia e inganna, portandoci a domandare se si tratti di pittura materica o meno. Caratterizzata da velature, trasparenze e variazioni tonali, la pittura di Adamo imita superfici increspate e pattern naturali come di cortecce o manti ispidi, rivelando però, a uno sguardo attento, superfici pittoriche lisce totalmente prive di spessore materico.

Con questa mostra, Marignana porta avanti un’indagine critica fortemente incentrata sul dialogo consapevole dell’artista con il proprio tempo e lo spazio sociale e intimo che abita, offrendo una preziosa ricognizione attuale sui linguaggi contemporanei.

 

STANZE.
Bianco-Valente, Donatella Spaziani, Mats Bergquist, Marco Maria Zanin, Serena Fineschi, Quayola
a cura di Ilaria Bignotti e Maria Savarese

9 febbraio – 20 aprile 2019

Marignana Arte
Dorsoduro, 141
Rio Terà dei Catecumeni, Venezia

Info: +39 041 5227360
info@marignanaarte.it
www.marignanaarte.it

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