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ROMA

di Maria Vittoria Pinotti

Era il 1880 quando a Parigi si inaugurava la quinta mostra impressionista, anche nota come “Exposition d’artistes indépendants”. Émile Zola, sul periodico Le Voltaire scrive un saggio, sulle ragioni che condussero gli artisti ad organizzarsi in forma autonoma: «in questi ultimi anni è caduto sotto i nostri occhi un esempio molto interessante e istruttivo. Mi riferisco alle esposizioni indipendenti di un gruppo di pittori che sono stati chiamati “impressionisti”. […] Voglio parlare del tentativo fatto di organizzarsi liberamente».1
L’iniziativa descritta da Zola, di cui si aveva avuto un primo approccio nel 1863 con l’organizzazione del Salon des Refusés, sarà condizionante per il futuro sistema dell’arte che amplierà la propria sfera d’azione con canali espositivi diversi da quelli ufficiali. Il contesto di queste iniziative indipendenti daranno un apporto rilevante all’orientamento delle tendenze artistiche e alla ridefinizione dei rapporti tra pubblico e gli artisti.

L’attuale sistema dell’arte contemporanea è caratterizzato da una stratificazione e diversificazione molto ampia. Volendolo semplificare, sono presenti strutture di vendita commerciali, come gallerie, fiere e case d’asta a cui si affiancano anche realtà culturali che fanno promozione e divulgazione, come musei, fondazioni ed associazioni culturali.
Oltre a queste realtà vi sono anche una miriade di attori indipendenti lontani dal sistema ufficiale, tutti accomunati dalla multidisciplinarietà e da una dinamica lavorativa della condivisione. Queste realtà sono chiamate spazi indipendenti o anche “artists-run space”. Se volgiamo lo sguardo alla città di Roma, nei decenni trascorsi ed in specie negli ultimi mesi, siamo testimoni di una crescita di identità artistiche autonome distribuite soprattutto nelle zone periferiche della capitale.

SPAZIO Y, Exhibition view, ABACO – Collettivo Il Pavone, 2019, Ph. Credit Emilio Orofino e Germano Serafini, Courtesy Spazio Y

Queste realtà, di cui si darà conto solo di alcune voci, sono sintomo di un “pensare altrimenti2 perché lontano dal sistema ufficiale dell’arte contemporanea. Infatti, nel tentativo di voler agire diversamente, questi aspetti innovativi si presentano come forme d’azione, frutto di un pensiero che scavalca il conformismo globale e che si allontana dalle regole standard del meccanismo dell’arte contemporanea.

Nel 2014, l’artista Paolo Assenza è tra i fondatori di Spazio Y, un luogo situato nella zona di Roma est chiamata Quadraro. Raccontando la storia dello spazio, Assenza ricorda che “non ci serviva neanche troppo spazio, avevamo una stanza magica di 4 metri per 3. In 12 metri quadrati ideavamo dei progetti strepitosi”. Attualmente i programmi di Spazio Y si sviluppano sul versante digitale, come Beyond Beyond una newsletter-podcast che accoglierà ogni ventisette del mese la voce di un artista che verrà pubblicata nella pagina Spotify dello spazio.

Spazio In Situ, Exhibition view, SVUOTAMAGAZZINO, 2021, Ph. Credit Marco De Rosa

Una realtà oramai consolidata anche a livello internazionale è Spazio in situ, sorta nel 2016 e nel cui contesto vengono organizzate 6 mostre l’anno. Ascoltando la storia dello spazio con uno dei fondatori, l’artista Christophe Constantin, è emerso un luogo regolato da una filosofia e un’etica dell’autosufficienza. Gli artisti producono mostre come mezzo per avanzamento della propria ricerca e non con la finalità del voler ostendere. Gli stessi producono le opere, ne gestiscono la logicistica sotto l’ottica dei trasporti e dell’inventariazione in magazzino, eseguendo l’attività che in una galleria sarebbe affidata ad una sola persona, il registrar. Lo spazio è organizzato in un sala espositiva a cui sono affiancati gli studi degli artisti dislocati in due piani. La singolare collocazione fuori dall’anello del grande raccordo anulare, rispetto al tessuto cittadino, mette in discussione il provincialismo di una città che, facendo riferimento alle parole di Christophe Constantin, «troppe volte tende a rimanere concentrata sul suo centro».

SPAZIOMENSA, Exhibition view, Sebastiano Bottaro, Dario Carratta, Marco Eusepi, Alice Faloretti, Alessandro Giannì, Andrea Polichetti, Ph. Credit Giorgio Benni

Tra le nuove aperture in città è da citare l’artist run space SPAZIOMENSA, situato sulla Salaria ed inaugurato nell’ottobre del 2020, all’interno di un edificio di un cantiere ora distretto culturale chiamato CityLab 971. Lo spazio è caratterizzato dalla presenza di un rivestimento di piastrelle che connotano il vecchio uso del luogo come mensa. L’attuale organizzazione espositiva prevede doppie personali a cui è affiancata la programmazione di mostre podcast di breve durata. L’obbiettivo dell’iniziativa è sempre quello del dialogo, della condivisione e della polifunzionalità. SPAZIOMENSA si offre al pubblico come una sorta di invito al confronto che evidenzia la necessità di far emergere le diverse pratiche artistiche sparse nel territorio cittadino. Volendo riferirsi al pensiero del critico Victor Schoelcher, che visitò il Salon del 1835, è opportuno sottolineare l’importanza della mediazione tra artista e pubblico: «nell’importanza di iniziarlo alla bellezza dell’arte, scoprendone i nobili segreti, facendolo gioire delle incidili emozioni che essa procura a quelli che l’amano». 3 Ecco quindi come SPAZIOMENSA si pone nella cultura secondo cui è arrivato il momento di amplificare i canali dell’arte, concedendo spazio alle voci di artisti emergenti, curatori e filosofi.

Studi a POST EX, Ph. Credit Eleonora Cerri Pecorella

Così, nel considerare il momento del confronto come forma di apertura dialettica, nel luglio 2020, nel quartiere di Centocelle trova spazio Post Ex. Si tratta di un seminterrato esteso per 1100 m2, una superficie molto ampia che ospita 9 artisti permanenti, 1 project space e 2 guests.
Una forma di spazio indipendente, in altri termini, che si cifra nel motto Art’s for art sake, l’arte per lo scopo dell’arte e per la sua disinteressata bellezza, attraverso uno scambio attivo di sinergie costruttive. La cifra identitaria del gruppo artistico si rispecchia nel seguente pensiero: «Il nostro è un progetto aperto ed in divenire, senza alcune scadenze. Post Ex è un luogo di incontro e di scambio per artisti, critici, curatori. Abbiamo in programma la creazione di una zona studio, dedicata al momento del confronto che crediamo sia l’attività pulsante di questo luogo».

Un elemento comune tra tutte le realtà indipendenti è proprio la politica del “Do it Yourself”, predominante sia per una questione pratica che ideologica. Gli artisti, oltre ad essere tali nell’accezione creativa del termine, sono anche Artifex, da intendersi come nel senso medievale del significato. Ovvero costoro hanno a che fare con un complesso di cognizioni tecniche non prettamente intellettuali, infatti se chiamati a svolgere lavori che richiedono una manualità complessa, come la cura e riqualificazione dello spazio in cui lavorano ed espongono, non si lasciano intimidire, anzi sono pronti ad agire.

Laboratorio Kaspar Hauser, Exhibition view, Lorenzo Modica, Solo le persone buone non puzzano, i santi forse profumano, 2021, Courtesy Lorenzo Modica, Ph. Credit Giorgio Benni

Come chiamare questi spazi indipendenti, laboratori? L’etimologia della parola laboratorio, deriva dal termine laborare, in effetti, l’artista contemporaneo agisce precipuamente sulla realtà. In questo contesto si pone lo spazio indipendente Laboratorio Kaspar Hauser, aperto nel febbraio 2021 sulla Via Flaminia.
Uno dei fondatori, Guido D’Angelo, raccontando la scelta del nome collegata alla figura storica di Kaspar Hauser afferma: «il visual della nostra galleria è tratto dal fotogramma del film diretto da Werner Herzogda, L’enigma di Kaspar Hauser (1974). Abbiamo fatto questa scelta perché il protagonista è portatore di messaggi indecifrabili. Alla fine, l’artista contemporaneo si comporta allo stesso modo, raccoglie i residui di realtà elaborandoli e traducendoli in un messaggio in codice che attende di essere decodificato dallo spettatore».

Numero Cromatico, Simultaneità, GRAN FINALE, 2020, Manuel Focareta e Dionigi Mattia Gagliardi, Ph. Credit Numero Cromatico

Nel nesso simbiotico tra psiche e tecnhe si inserisce l’attività di Numero Cromatico, attiva a Roma nella zona Tiburtina dal 2011. Il team è composto da artisti e ricercatori del settore delle neuroscienze, il cui lavoro si sviluppa in diversi filoni, quali la ricerca, la formazione, l’organizzazione di mostre temporanee e progetti di editoria, con la pubblicazione della rivista semestrale Nodes. Le diverse professionalità raggruppate nell’iniziativa sono, infatti, aperte a confronti multidisciplinari generati da una concezione diversa da ciò che normalmente intendiamo per “arte”. Così, con un approccio specificatamente maieutico Numero Cromatico, si allontana dai pluralismi e dai monologhi di massa permettendoci, di contro, di avvicinarci a queste realtà con una visione alternativa, prettamente dialogica.

/OMBRELLONI, Studio view di Arianna De Nicola, Alessandro Calizza, Cristallo Odescalchi, Luca Mamone, Alessandro “Scarful” Maida, Kirizia Galfo, Courtesy /OMBRELLONI

Tra le ultime new entries è da citare /OMBRELLONI aperto nel febbraio del 2021 nel quartiere di San Lorenzo, in un vecchio locale in cui si producevano ombrelloni. Nello spazio, inizialmente adibito a studi d’artista ora trovano anche sistemazione le residenze. Quest’insieme denota una formula di vita molto simile alle predette realtà, all’insegna della filosofia della collaborazione, interattività, multidisciplinarietà. Uno dei fondatori, Alessandro Calizza, sottolinea come l’iniziativa si pone anche in rapporto con il territorio locale: «È fondamentale creare delle sinergie e attivare una rete con il territorio, ma pur avendo uno sguardo globale. Al momento stiamo lavorando per lanciare a maggio una serie di talk a cura Davide Silvioli. A giugno organizzeremo residenze con tre artisti di Beirut per una progetto curato da Materia Gallery, assieme a Ottn Projects e BAR (Beirut Art Residency)». Così prosegue questo sovvertimento nella fruizione dell’opera d’arte che si estrinseca in un nodo creato tra artista, pubblico e tessuto territoriale. L’arte, dunque, si espande oltrepassando i limiti settoriali dando origine a microambienti indipendenti.

La straordinarietà di tutte queste realtà si impernia sul dialogo che vi intercorre: gli artisti collaborano e si incontrano nei rispettivi spazi, le voci sono univoche ma parlano in un coro, così come una raccolta di stelle brilla in una unica galassia. Da ultimo, perché non citare il pensiero degli storici dell’arte Vincenzo Trione e Tommaso Montanari, laddove tendono a chiarire che «la grandezza dell’arte italiana è nel tessuto inestricabile, radicato in un territorio unico al mondo, per cui le opere maggiori e in contesti minori si illuminano a vicenda».4

1 Silvia Bordini, L’Ottocento, Le fonti per la storia dell’arte, Carocci Editore, 2003, p. 140

2 Diego Fusaro, Pensare altrimenti, Filosofia del dissenso, Giulio Einaudi Editore, 2017, p. 6

3 Silvia Bordini, L’Ottocento, Le fonti per la storia dell’arte, Carocci Editore, 2003, p. 160

4 Tommaso Montanari, Vincenzo Trione, Contro le mostre, Giulio Einaudi Editore, p. 37

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