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ROMA | GALLERIA ANNA MARRA | 28 GENNAIO – 12 MARZO 2022

di MARIA VITTORIA PINOTTI

La scrittrice Susan Sontag, nel caleidoscopio di riflessioni dei diari autobiografici in una nota scritta all’età di trentatré anni, esprime le difficoltà che potrebbe incontrare uno scrittore nel redigere un libro sul corpo, tant’è che, a proposito, si domanda «è possibile scrivere un libro sul corpo? Un libro che sia una specie di spogliarello, una svestizione elaborata e minuziosamente dettagliata, nel quale ogni muscolo-osso-organo è localizzato, descritto, violentato».[1] Pertanto, riflettendo proprio su come le testimonianze diaristiche della scrittrice statunitense abbraccino la sfera individuale, culturale ed anche creativa, non appaia troppo bizzarra la scelta di lasciarsi accompagnare dal citato pensiero circa l’analisi della mostra intitolata Postcard from New York – Part III, a cura di Serena Trizzino, in programma dal 28 gennaio sino al 12 marzo 2022 presso la Galleria Anna Marra di Roma. La collettiva, la cui forma episodica è stata avviata nel 2016, raccoglie le opere degli artisti Carl D’Alvia, Aurora Pellizzi, Luisa Rabbia, Victoria Roth, Maja Ruznic, Pauline Shaw, non tutti anagraficamente newyorkesi, ma comunque in passato e tutt’oggi operanti nella città statunitense.

Installation view Postcard from New York – Part III, Ph. Credit Simon d’Exéa, Courtesy Galleria Anna Marra, Roma

Dal progetto emerge un’accurata selezione qualitativa volta ad illustrare un chiaro vaglio selettivo della curatrice Trizzino, così che l’esposizione si presenta finemente allestita e ben equilibrata nello spazio della galleria, in cui è percepibile la convivenza dialettica tra l’idea creativa attorno all’interpretazione della figura umana e le alterità tecniche degli artisti in mostra. Inoltre, la rassegna si presenta anche come un particolare momento di intensa riflessione sia per l’attuale situazione dell’arte contemporanea statunitense, di cui la mostra ne presenta uno studio e sia per le conseguenti ripercussioni sull’odierna critica d’arte americana. A tal proposito, come non far cenno al celebre critico d’arte Jerry Saltz (1951, Chicago), insignito nel 2018 del premio Pulitzer Prize for Criticism ed attualmente collaboratore del New York Magazine, il cui giudizio critico su un artista è stato citato a supporto della mostra. Proprio sotto questo aspetto è utile alla nostra valutazione riflettere sui metodi e sui canoni della critica d’arte, chiamata da sempre a dar sostegno alle attività degli artisti, in particolare, Saltz dimostra teorizzare in maniera inedita l’atto critico, convinto com’è che tale professione – volendo proprio parafrasare una sua nota e brillante pubblicazione – «è un’arte del saper vedere a voce alta»[2]. Ecco, quindi, che la scelta della galleria Anna Marra di far assumere un carattere episodico a tale progetto è da intendere come un atto tenace, o meglio una sorta di ammissione non neutra della gallerista, generata dal desiderio di interrogarsi su uno specifico humus artistico e culturale.

Installation view Postcard from New York – Part III, opere di Aurora Aurora Pellizzi, Ph. Credit Simon d’Exéa, Courtesy Galleria Anna Marra, Roma

Volendo concentrarsi sui significati più caratteristici ed iconici della mostra, risulta di interesse riportare il pensiero di Giorgio Agamben, il quale, riflettendo sul valore del contatto tra i corpi, ragiona sul tatto considerando quest’ultimo il senso superiore rispetto agli altri, in quanto capace di donare una esperienza personale siccome «toccando un altro corpo, tocchiamo insieme la nostra carne».[3] Da questo lucido aforisma trovano spazio gli approcci delle artiste Pauline Shaw ed Aurora Pellizzi, le quali entrambe sembrano voler intendere tale senso come l’incipit della natura laboriosa delle loro opere, sia per l’accurata selezione delle materie prime utilizzate sia per la complessità del processo creativo. E così Aurora Pellizzi (1983, Città del Messico) si presenta con un’opera frutto di un virtuosismo esecutivo, composta su un telaio ayate su cui vengono riscattate anche le minime variazioni sperimentali. L’indagine su tale singolare tecnica si ripercuote su tutta la sua produzione artistica, dimostrando così di aver trovato il suo clima creativo ideale, tanto che lo spettatore rimane trasecolato da come sia possibile sfruttare il carattere puro e primitivo di materie extra-artistiche, derivate dalla cultura preispanica e dall’uso di prodotti naturali per la preparazione dei colori, utili a tingere la lana che compone le immagini sui telai. Tale sperimentazione tecnica rimane coerente anche per le altre opere in mostra, in cui il feltro assume un carattere gaio, quasi per dare adito al già citato pensiero di Susan Sontag: le opere tratte dalla serie Geometric Daydreaming potrebbero rappresentare una sorta di spogliarello giocoso del corpo che emerge spassosamente sotto forma di cavità.

Installation view Postcard from New York – Part III, in primo piano l’opera di Pauline Shaw, Ph. Credit Simon d’Exéa, Courtesy Galleria Anna Marra, Roma

Anche Pauline Shaw (1988, Washington) avvia la sua riflessione artistica a partire dal tatto, e a tal riguardo è degna di cenno l’opera di ampio formato che esalta, secondo un effetto di profondo sfondamento, una suggestiva riflessione sulla lavorazione della materia generata da una spregiudicata meravigliosa manualità. In altri termini, la Shaw preleva con fiuto sicuro dal mondo reale immagini e forme, sì da plasmarle sul supporto, alla stregua di elementi biomorfici zampillanti di vita e galleggianti in un liquido amniotico naturale.

Installation view Postcard from New York – Part III, opere di Luisa Rabbia, Ph. Credit Simon d’Exéa, Courtesy Galleria Anna Marra, Roma

Ben differente è il lavoro di Luisa Rabbia (1970, Torino) basato sulla lavorazione della materia ceramica: in mostra tre sculture a circondare e rivestire i vuoti degli spazi murari della galleria. Le opere sono ideate come omaggio alla madre dell’artista, ed intendono stigmatizzare uno scambio, verosimilmente fatto di abbracci, mosso dalla necessità di rivivere un nodo affettivo. Di particolare interesse è il fatto che nell’interfogliatura della materia ceramica tra luce ed ombra, emergano rimasugli di un corpo: così piedi e teste oblunghe sporgono dalla composizione che segue balzi ad escrescenze, moti questi pronti a turbare anche la persona più quieta. L’emersione di tali sensazioni è da considerarsi come un affioramento di una sensibilità artistica che va ben oltre la forma e che guarda agli affetti secondo un evidente riferimento simbolico verso l’eternità e la spiritualità, dimodoché le opere si rivelano come un memoriale dall’energia iconica di una immagine femminea assoluta.

Maja Ruznic, Father 5, 2020, olio su lino, 51×41 cm, Courtesy l’artista, Galleria Anna Marra e Karma

Si ritorna nel campo della pittura, ma mai lontano dalla sperimentazione, con le opere delle artiste Victoria Roth e Maja Ruznic. Victoria Roth (1986, Parigi) persegue, infatti, una ricerca intorno all’irrefrenabile respiro del potere mutevole di estrose masse fisiche; in particolare, sembra che l’artista “collezionando venti” li lasci poi apertamente librare negli spazi fisici dei pannelli in legno, cosicché le masse di colore ad olio ne paiono accarezzate e tenacemente deformate. Con caratteristiche opposizioni di veli pittorici, tendenti a rivelare particolari interstizi colmi di forme fluide, le opere si presentato come un viaggio alla scoperta dell’iridescenza del colore dai riflessi mobili e cangianti. Diversamente, dalle tele e dall’acquarello di Maja Ruznic (Bosnia-Erzegovina, 1983) affiora un tumulto interiore, proprio quella stessa sensazione così ben descritta dalla Sontag –secondo cui si parla di corpo laddove ogni muscolo ed organo viene localizzato, descritto e violentato – si delinea nei tratti dell’artista pronta com’è ad analizzare la corporatura attraverso tratti acquosi, che frantumano gli argini pittorici per rimanere aperti e sprofondare nelle irregolarità. Non paia troppo audace una tale similitudine, ma dalle opere esalano intensi vapori coloristici, profumi ed effetti frutto di un potere sciamanico, le cui figure sembrano derivare nell’interstizio tra il mondo degli spiriti e quello della realtà. In altri termini, Ruznic sembra volerci suggerire un’interpretazione della pittura come una forma di riflessione verso l’invisibile, una sorta di sfocatura a distanza, una liturgia laica-carismatica basata su straordinarie infusioni di colore, aria, luce ed ombra.

Installation view Postcard from New York – Part III, le opere Victoria Roth e Carl D’Alvia, Ph. Credit Simon d’Exéa, Courtesy Galleria Anna Marra, Roma

Infine, sul versante della scultura è d’interesse la ricerca di Carl D’Alvia (1965, Sleepy Hollow, New York), le cui due opere in esposizione, apparentemente gemini, intendono scandagliare lo spazio espandendosi con un movimento ondulatorio a fisarmonica. Entrambe le sculture, infatti, si caratterizzano per un aspetto primitivo, il cui senso del peso, unito a quello della matericità, intendono ritmare gli attimi di una svestizione volumetrica al cui termine rimane nuda l’anima prettamente minimale della scultura stessa.


Postcard From New York – Part III
Carl D’Alvia, Aurora Pellizzi, Luisa Rabbia, Victoria Roth, Maja Ruznic, Pauline Shaw
a cura di Serena Trizzino

28 gennaio – 12 marzo 2022

Galleria Anna Marra
via sant’angelo in pescheria 32, Roma

Orari di apertura: lunedì – venerdì, 15.30 – 19.30 | sabato 10.00 – 14.00 | su appuntamento

Info: +39 06 97612389 | info@galleriaannamarra.it 
www.galleriaannamarra.com

 

[1] Susan Sontag, La coscienza imbrigliata al corpo. Diari e taccuini 1964-1980, Edizioni Nottetempo, 2019, p. 368

[2] Jerry Saltz, Seeing Out Loud: The Village Voice Art Columns, 1998-2003, The Figures – Art critical line, 2007

[3] Giorgio Agamben, Una voce, rubrica di Giorgio Agamben, Filosofia del contatto, Quodlibet Edizioni, 5 gennaio 2021, www.quodlibet.it

 

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