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Museo Riso atto secondo

Assemblea cittadina annullata, e ora maggiore chiarezza!

di LAURA FRANCESCA DI TRAPANI

Ricercando l’etimologia del termine museo, viene fuori la sua derivazione dal greco antico mouseion, luogo sacro alle Muse, figlie di Zeus e protettrici delle arti e delle scienze, patronate da Apollo. Proseguendo in questa ricerca – e focalizzandola sul nostro paese – si trova nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio all’art. 101 (d.Igs. 42/2004) la definizione di “struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio” . Ma ritornando alle vicende che da una settimana a questa parte hanno reso la Sicilia, nella fattispecie la città di Palermo (dove ha sede il museo Riso), scenario di uno “scambio di idee” politiche, intellettuali, confuse, e al momento senza soluzione di sorta, il quesito che prepotentemente emerge è: se il museo è un bene comune con nobili finalità, importanti per la crescita della società, per quale ragione al posto di incentrare le energie sul suo sviluppo e sul suo mantenimento, ci ritroviamo ancora qui a disquisire sulla sua presunta o non chiusura? La risposta è decisamente triste e desolante: in questa terra, così ricca di storia, di cultura, di arte, non si è ancora compreso il valore della cultura stessa, soprattutto da parte di una classe politica troppo spesso sorda alle reali esigenze di questa terra, e alle grida di aiuto che oggi, più che in altri momenti degli ultimi anni, la cittadinanza sta lanciando. È un allarme, questa è l’esatta definizione che va data a questa circostanza. Un’emergenza ed una richiesta, a chi di dovere, di conseguire finalmente una presa di coscienza, e soprattutto un bisogno di dare spazio a tutti quelli che hanno qualcosa di costruttivo da aggiungere, insomma di rendere la cittadinanza co-protagonista di questa piece.

Invece la chiusura delle porte del museo allo scoccare delle 19 di quel venerdì 13 – ora in cui era stata indetta l’assemblea cittadina promossa dal movimento autonomo cittadini per il museo riso – con sopraggiungere di carabinieri, come se si trattasse di una situazione di estremo pericolo per il territorio, lascia tutti quelli che erano già presenti e tutti coloro che sono nel frattempo accorsi, in uno stato mentale di maggiore confusione sul da farsi, e di dubbio se i regimi politici siano presenti anche quando apparentemente si vive in una democrazia. Il tutto esplicata in poche parole, in una nota del Dirigente dei Beni Culturali Campo, inviata poche ore prima della fatidica assemblea, al Direttore di Riso Sergio Alessandro in cui si richiede di rispettare la chiusura delle ore 19, prevista dal direttivo del museo, vista l’assenza di una qualche manifestazione che avrebbe invece consentito l’apertura sino alle ore 22.

Così tutti per strada a disquisire sul da farsi, ad unirsi in un unico coro per la ricerca di una chiarezza burocratica e anche politica, visto che proprio la politica continua questa polemica da soap opera. Il blocco dei finanziamenti europei di 12 milioni di euro, per Gianfranco Miccichè (leader del grande sud) sarebbe solo un pretesto, mentre il reale problema è l’intento da parte proprio di Gesualdo Campo di mettere alla direzione del Riso stesso la moglie, tra l’altro – fatto non trascurabile – ottocentista. Inoltre sempre Campo chiede la revoca dell’incarico di Alessandro dalla direzione museale. Mentre Sebastiano Missineo, assessore ai Beni Culturali, interviene sempre nella serata di venerdì, dichiarando di voler porre fine alle polemiche e con l’annuncio di comunicazioni a breve per riorganizzare il museo.

Insomma cambiano gli scenari, le apparenti motivazioni ma permangono sempre i soliti due elementi: clientelismo e nepotismo. Mentre loro, le varie fazioni politiche, definiscono sempre più le loro posizioni e diversità, il museo è stato svuotato, le porte serrate, ed anche i relativi servizi di bookshop e caffetteria chiusi: se questa non è chiusura! E la relativa confusione nelle teste di coloro che non abbracciano alcuna delle due posizioni, ne quella strettamente politica, ne quella legata alla direzione o ex del museo, stanno ad aspettare quell’auspicato chiarimento e contraddittorio tra le due parti in causa, che allo stato attuale affermano tutto ed il contrario dello stesso.
La nostra cultura e la nostra arte – si nostra, perché è un bene comune – vive un momento di malattia, l’intera società è malata, e tutti noi con una coscienza civile non possiamo chiudere gli occhi e fare finta di nulla, ma è doveroso scendere in campo ed immergersi in questo affaire che è come un specchio d’acqua torbido ed opaco.

Un atto che parte dall’individualità per diventare collettività alla ricerca di un segno di qualcosa di nuovo. Stiamo assistendo ad un ulteriore fallimento del sistema, che al momento è dilagato come una moda (altamente kitsch) in tutta la nazione. La gente comune, l’artista, il critico, l’intellettuale è stufo di stare al centro di tutto questo delirante paesaggio sociale e politico. Basta con le distruzioni di quello che dovrebbe essere gelosamente custodito come patrimonio, basta ai politici di turno che una volta attaccati da fatti reali, cercano di rimanere sull’onda ricorrendo a smentite o dichiarazioni di nuove ipotesi per risollevare le sorti. È un clima di malcontento generale ed in massima parte sincero, che può essere placato solo dal ricevere delle risposte chiare e da una presa di coscienza e di consapevolezza. Nell’attesa che questo avvenga tra le due parti protagoniste in questa querelle Riso, una frase aleggia come memoria “l’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita”. Forse qualcuno lo ha dimenticato?

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