MILANO | C|E Contemporary | 12 dicembre 2014 – 27 febbraio 2015
intervista a VANIA COMORETTI di Francesca Caputo
Quello di Vania Comoretti è un disegno minuzioso dove il linguaggio è evidente almeno quanto l’immagine. Procede per moltiplicazione di sguardi, per ingrandimento di dettagli e increspature di volti, isolando o dilatando singole porzioni anatomiche, focalizzando le sfumature dell’iride. Arricchisce la pelle di ulteriori tracce, accentuando le impronte dello scorrere del tempo e delle emozioni, le pieghe di un sorriso o di un gesto, aggiungendo così nuove informazioni alla realtà.
Attraverso lievi spostamenti, lascia affiorare un’idea interiore, emotiva. Disseziona le espressioni umane per tracciare una mappatura del corpo che è anche una mappatura dell’anima.
Ne abbiamo parlato con l’artista in occasione della mostra Progressione presso la galleria C|E Contemporary di Milano.
Qual è il tema centrale della mostra e quali serie la caratterizzano?
È la progressione espressiva dei volti. Il progetto si sviluppa attraverso una serie di trittici e polittici in cui le variabili sono rappresentate dal mutamento progressivo delle espressioni, dalla rotazione del volto e dello sguardo, dall’angolazione delle inquadrature e delle luci. Oltre al trittico Progressione, da cui prende il nome la mostra, sono presenti altre serie di opere da Sign a Iride e Visibile.
Nel progetto Sign (Segno), analizzo il linguaggio gestuale concentrandomi sui gesti espressi attraverso le mani, le cui inquadrature rimandano al concetto di close-up, di primo piano. Gli spunti sono molteplici: dall’esplorazione della gestualità spontanea a quella codificata dei rituali o scaturita dal contatto tra individui, dallo studio di alcuni elementi della lingua dei segni, fino alle suggestioni provocate dall’osservazione frammentaria di alcune opere pittoriche.
In Visibile, approfondisco l’uso della luce e dell’ombra nel ritratto, seguendo lo sviluppo di un determinato flusso luminoso – diretto o indiretto, forte o debole, netto o diffuso – sulla superficie della figura e all’interno della composizione e come esso conferisce rilievo a forme e volumi.
Il ritratto di per sé è sempre un mistero. Cosa ti ha spinto ad intraprendere una ricerca sull’Iride, tracciando una sorta di territorio d’appartenenza?
Per forma e colore l’occhio è tra le parti del corpo che più ci caratterizza e che più facilmente ricorre simile nelle generazioni di una stessa famiglia. Ritraendo l’iride di familiari, amici e persone che hanno un legame con me e tra loro, sto creando una rete di conoscenze nella quale si intrecciano legami genetici ed affettivi. L’installazione è in divenire, ogni anno ne aggiungo degli elementi, sto registrando la trama di relazioni che si muove intorno a me.
Quali sono le tue maggiori fonti di ispirazione e i tuoi referenti artistici?
Credo che tutto possa essere espresso nel particolare. La mia propensione è quella di osservare le piccolezze, estrapolare il frammento, nell’insieme c’è sempre qualcosa che attrae la mia attenzione e che risulta più interessante dell’insieme stesso.
Riguardo ai referenti artistici l’elenco di ciò che mi interessa sarebbe lungo: il Cinquecento italiano, gli studi anatomici di Leonardo da Vinci, i pittori fiamminghi. Amo pittori come Bacon, Freud, Saville, Dumas, apprezzo il rigore della fotografia tedesca contemporanea, la Scuola di Düsseldorf, le installazioni di De Bruyckere, Bourgeois, Eliasson, le sculture di Bernini o i busti di Franz Xaver Messerschmidt. Poi ci sono autori come Bernhard, Kristof, Muller, Auster, e il cinema…
Metti in scena una sorta di “teatro della visione”. Cosa ti ha spinto a focalizzare la tua indagine sul corpo, esasperando o isolando alcuni particolari?
Alla base di tutto il mio lavoro c’è l’interesse per il corpo, per la pelle, per i segni temporanei e permanenti che vi si sviluppano a causa di determinati fattori esterni ed interni. Il volto mi permette di unire a tutto questo l’espressione e quindi gli stati emotivi.
Anche nel ritratto, rispetto al modello reale, i dati fisici vengono accentuati, la normalità viene esasperata: nell’unità del volto ogni particolare tende a rendersi centro d’attenzione autonomo attraverso la messa a fuoco di tutti gli elementi, il disegno risulta saturo di informazioni.
Sono immagini in cui l’armonia dell’insieme è data dai molti dettagli, dalla somma delle piccole imperfezioni e sono queste la via d’accesso all’intimità di ognuno, ancora prima dello sguardo empatico instaurato dalla triangolazione autrice-soggetto-spettatore. Il risultato a cui punto è il permanere di una sensazione e non il ricordo di un viso.
Osservando le tue opere sembra di trovarsi di fronte allo specchio mentale di una situazione. Filtri il soggetto attraverso lo scatto fotografico e poi con la tua interpretazione grafico-pittorica. Perché queste stratificazioni?
L’immagine pittorica crea una presenza. Non abbiamo a che fare con qualcosa di somigliante alla realtà piuttosto con l’ordine in cui tale realtà è riunita dal pensiero.
Scegliere una prima inquadratura, la luce, delle espressioni, fotografare. Poi guardare e riguardare gli scatti, selezionare delle parti, comporle con immagini più vecchie, ibridare, ricucire tutto, creare una realtà lontana dalla vera realtà, lontana perfino dal soggetto ritratto, restituendo allo spettatore l’illusione del reale. Le stratificazioni servono a questo e riguardano sia la rielaborazione del soggetto, del tema, sia la tecnica esecutiva del disegno che procede per velature, per sovrapposizioni di colore.
Vorrei sapere qualcosa in più sul tuo modo di lavorare. Al margine delle opere lasci in evidenza delle linee colorate, quasi una sorta di codice pantone, di palette dei colori utilizzati. Si assapora la trama degli elementi, delle pennellate.
Le piccole aste colorate e i bordi ad acquarello lasciati visibili allo spettatore per me rappresentano un promemoria. Sono appunti su come, partendo da un foglio bianco, ho costruito quel determinato disegno, ne ho particolarmente bisogno nel momento in cui realizzo un progetto composto da più elementi, per dare un’omogeneità.
L’immagine viene costruita attraverso la sovrapposizione di leggeri strati di colore, arrivando al risultato finale solo dopo un lento e meticoloso processo di addizione cromatica. Dopo il riporto manuale dell’immagine, creo una prima base colorata utilizzando l’acquarello e la china, poi con i colori a pastello strato dopo strato vado a uniformare la base sottostante. Solo al termine di questo processo uso la matita per creare luci e ombre e definire i più piccoli dettagli.
Quali i tuoi progetti futuri?
Per il 2015, sto realizzando una nuova serie di disegni che con ogni probabilità verranno esposti in una sede museale italiana, purtroppo non posso ancora sbilanciarmi.
Vania Comoretti. Progressione
a cura di Viana Conti
12 dicembre 2014 – 27 febbraio 2015
C|E Contemporary
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