Italiani all’estero: Elena Monzo
a cura di Silvia Conta
Shanghai – Un fake market da sogno!
Elena Monzo è nata a Orzinovi (BS) nel 1981. Vive e lavora tra Shanghai (Cina), Beirut (Libano) e Brescia.
In Dream Theater sono presenti due figure maschili – elemento piuttosto raro nell’universo pittorico di Elena Monzo, in cui presenta con maggior frequenza personaggi femminili – agghindate con ridondanza in una commistione marcatamente eccessiva in cui gli elementi si fondono e si confondono, fino a creare un intricato sovrapporsi di linee, forme e colori, che nell’insieme mantiene, tuttavia, un ordine formale e un ritmo visivo che sembrano affondare le proprie radici sia nella cultura figurativa orientale sia nella poetica della Monzo. È ad un’osservazione attenta dell’immagine che emergono espliciti riferimenti pop e pubblicitari, come le labbra che raffigurano un bacio sovrapposte ai pantaloni del personaggio a destra, oppure, in basso, il simbolo Nike – che colorato di nero e fiorellini bianchi – rimane in bilico tra la sua identità di uno dei simboli più conosciuti al mondo e una funzione prettamente decorativa. Nel lavoro abbondano anche i riferimenti alla tradizione cinese, presente nei preziosi materiali, come la carte di riso su cui è eseguito il dipinto, ma anche le maschere teatrali nere sostenute da uno dei due uomini. La posa dei due personaggi, che ricordano due amici fotografati ad un party stravagante, accentua le peculiarità dell’abbigliamento: dagli occhiali con le lenti rosa e la camicia sempre rosa borchiata di uno alla stola azzurra del secondo, passando per le acconciature e le geometrie delle stoffe degli abiti. Questo lavoro della Monzo impone all’occhio un’esplorazione quasi voyeuristica di ciascun elemento, un rimbalzare da un particolare all’altro, che muta, ridefinisce, infittisce il mistero della scena, per concludere che non sia necessaria alcuna esegesi: è un’imaginifica istantanea che riversa sulla carta le impressioni vivide e fittissime dell’universo polimorfo, vivace, nuovo che Shanghai rappresenta per la Monzo.
Dallo scorso settembre Elena Monzo si trova, infatti, in residenza per sei mesi nella città cinese, con un programma sostenuto dalla nota casa di orologi svizzera presso lo Swatch Art Peace Hotel, assieme ad altri diciassette artisti di nazionalità diverse, dove è giunta dopo un soggiorno in Giappone e un periodo a Beirut, in cui da tre anni trascorre regolarmente dei mesi. La produzione più recente dell’artista si nutre, quindi, di una quantità di input che, giunti in rapidissima sequenza, costituiscono un’enorme pioggia che si riversa nei nuovi lavori, senza un filtro ancora definito, ma innestandosi in modo naturale nella ricerca che la Monzo conduce da anni, in cui sono presenti figure di esseri umani nudi, diversamente agghindati, che attraverso ciò definiscono via via la propria personalità e il modo in cui si relazionano con il mondo. I lavori più strettamente connessi all’esperienza cinese, di cui Dream Theater fa parte, ruotano in gran parte attorno all’ampio spettro del “super fake”, dell’imitato, finto, kitsch, posticcio eppure ostentato che gioca un ruolo fondamentale non solo nel modo di porsi di molti individui, ma che è radicato anche in precise logiche di mercato e nell’immaginario collettivo, basti pensare – come sottolinea l’artista – all’imitazione dei prodotti italiani in Cina e ai prodotti che in Occidente consideriamo cinesi, ma sono in realtà molto occidentalizzati, come certi menù dei ristoranti cinesi o certa oggettistica per la casa. In questo gioco in cui l’imitato, il falso, giungono ad assumere un’identità e una vita propria rispetto all’originale, e dove il rapporto originale-imitazione non è più lineare, la Monzo recupera immaginario e tecniche tradizionali cinesi lasciandosi affascinare da atmosfere, processi e materiali che si condensano in un acuto sguardo sulla realtà e sulla relazione che le persone hanno con se stesse e con la propria immagine, una ricerca iniziata anni fa, quando i social network erano agli albori, che sembra oggi andare ad indagare con grande istintività la dimensione del sé e dell’immagine di sé che ciascuno costruisce e vuole trasmettere, in un gioco di specchi in cui non è più possibile distinguere immagine e riflesso.
Appuntamento con Postcards to Italy #6 ad aprile con Paolo Maggis