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a cura di Alessandra Redaelli

Protagonista della nostra nuova Pillola d’arte è Marco Cornini, il cantore delle veneri contemporanee. Dagli esordi, la sua scultura è maturata restando così fedele a se stessa da trasformarsi in una sorta di firma: si vede una ragazza esile, con le gambe affusolate, i seni pieni e sodi, lunghi capelli da sirena che le fluttuano intorno al viso e subito si pensa a lui. Perché i suoi soggetti prendono spunto da una passione che è quasi un’ossessione: una ricerca spasmodica intorno all’archetipo della femminilità, tanto più intrigante quando si scopre che l’artista non lavora su modelle, ma si ispira solo alla propria fantasia. La sua arte parte da un sapere antico, quello della scultura che si fa ancora con le mani, plasmando e creando, e non si fa fatica a immaginarlo mentre accarezza piano le forme seducenti delle sue ragazze. È una scultura che affonda le radici nell’arte etrusca (omaggiandola addirittura nell’opera Grande contemplazione, che ripensa in chiave contemporanea il Sarcofago degli Sposi, come scrive Angelo Crespi nell’introduzione al catalogo per la mostra del 2018 alla Rocca Sforzesca di Soncino), che fa l’occhiolino alla grazia di Tiziano e alla sensualità di Bouguereau, ma che non dimentica il debito con la pulizia formale di Arturo Martini; che punta alla levigata perfezione della modella da rotocalco, ma scaldata e resa viva dalla ruvidità della superficie su cui si accende il gioco della luce. Quelle di Marco Cornini sono sculture che vanno guardate a lungo, proprio guardate negli occhi. Non bisogna correre il rischio di farsi distrarre dalla scollatura o da quella caviglia che svetta sopra al sandalo rosso con il tacco a spillo, perché potrebbe nascere un fraintendimento: si potrebbe erroneamente pensare che sia il compiacimento maschile, il loro senso ultimo. Ma non è così. Quelli che l’artista crea sono raffinati profili psicologici della femminilità contemporanea. C’è la guerriera che cammina nuda, a grandi falcate, mostrando il suo corpo non come un’offerta, ma come un’armatura. C’è la fanciulla seduta con lo sguardo malinconico, e nella postura una vaga memoria di Casorati (anche se la mano, appoggiata tra le gambe, ricorda più Olympia di Manet). E c’è la giovane mamma con addosso un leggero abitino a sottoveste, in bilico sui tacchi, aggrappata al bisogno di continuare a sedurre anche mentre spinge il passeggino.

Marco Cornini. Foto di Ivo Balderi

1 – Definisciti con tre aggettivi.
Sognatore, tenace, libero.

2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Credo che i momenti in realtà siano stati due: il primo quando ho compreso che dar vita alle mie opere per me era un’esigenza irrinunciabile e il secondo quando mi sono reso conto di poter dare delle emozioni attraverso il mio lavoro.

3 – Hai scelto la scultura perché…
Faccio sogni in 3D.

4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
L’Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernini.

5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
È quel momento in cui viene un’intuizione per un nuovo lavoro.

6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
Tutte e due, ognuna non può prescindere dall’altra.

7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Chissà… a volte quando modello ho dei déjà vu e ho la la sensazione di aver già compiuto certi gesti.

8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Testa, cuore e mani. Nel terzo millennio come sempre.

9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Delle grandi sculture da collocare in permanenza all’aperto.

10 – La bellezza salverà il mondo?
Sì certo, lo ha già fatto fino ad ora e continuerà a farlo finché ci saranno esseri umani in grado di coglierla.

Leggi anche: Archivio Pillole d’Arte da #1 a #9

Marco Cornini, Il divano rosso, 2019, bronzo, cm 64x102x45. Courtesy Liquid art system, Capri
Foto: Stefano Raffa

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