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PRINCIPATO DI MONACO | Monaco | NM Contemporary | fino al 10 novembre 2020

intervista a PIETRO RUFFO di Livia Savorelli

Come possono delle stelle a distanza abissale l’una dall’altra farci orientare nello spazio, ma anche condizionare il nostro essere? In occasione de La politica delle stelle, personale di Pietro Ruffo in corso alla NM Contemporary di Monaco, fino al 10 novembre, l’artista snoda una narrazione – dal sapore quanto mai attuale, soprattutto in tempo di pandemia – in cui la migrazione, considerata come evento ciclico che ha sempre interessato la storia dell’umanità, si ispira al mito e al potere degli astri. Ne abbiamo parlato con l’artista…

L’analisi del concetto di migrazione è da molti anni tema dominante nel tuo percorso ed è affrontato sotto molteplici punti di vista: storico, politico, sociologico. In un momento storico in cui la parola “migrazione” assume spesso un connotato negativo e nel quale gli Stati ragionano seguendo logiche di chiusura dei confini per la salvaguardia dei diritti dei propri cittadini, quale valore assume oggi, più che mai, la tua narrazione?
Per me le Migrazioni non sono altro che gli spostamenti che specie viventi animali compiono in modo regolare. Questo vale per ogni specie. Per quanto ci riguarda, da quando abbiamo messo piede su questo pianeta abbiamo sempre migrato, per motivi climatici, per guerre, per motivi economici, per amore… In determinati periodi storici, soprattutto in periodi di crisi economiche, politicamente abbiamo messo un freno a questo che è un fenomeno estremamente naturale, al quale infatti è innaturale opporsi. Mi ricorda molto il gioco ‘Un due tre stella…’. Questo gioco, a cui tutti abbiamo giocato almeno una volta da bambini, sembra reiterarsi nell’atteggiamento dei politici contemporanei rispetto ai flussi migratori. Il fenomeno delle migrazioni, infatti, sembra passare inosservato in alcuni periodi ed enfatizzato invece in altri, per essere strumentalizzato dalle esigenze di visibilità del politico di turno: in maniera del tutto arbitraria, i porti vengono chiusi e quindi gli sbarchi bloccati, e le frontiere diventano più o meno permeabili.

Pietro Ruffo, Migrazioni 45, 2018, ink and cutouts on paper laid on canvas, 202×202 cm. Foto Giorgio Benni

Mi raccontavi che anche questa tua personale può essere considerata il risultato di un lungo viaggio, una mostra che ha migrato e che si chiude idealmente a Monaco, anch’esso luogo di migrazione. Il tema del viaggio, connesso all’incontro, alla scoperta, alla contaminazione volta alla crescita culturale dell’individuo e della comunità, sembra oggi essere un aspetto totalmente dimenticato, a fronte del timore dell’impatto sociale ed economico della migrazione stessa. Chi sono i soggetti che popolano le tue Migrations? Quali dialoghi instauri tra di loro, quale è il filo conduttore della storia che vuoi raccontare?
Questa mostra, prima di arrivare a Monaco, è stata esposta a Lisbona, Rio de Janeiro, Calcutta e poi a Washington, questi sono tutti luoghi in cui il tema delle migrazioni nutre la storia e la cultura dei popoli che li vivono, e in ogni tappa la mostra si è arricchita.
La serie Migrations parte sempre dallo studio di diverse proiezioni del mondo. Il mondo è una sfera e per proiettare una sfera su una superficie bidimensionale, ci sono varie tecniche, e le proiezioni acquistano forme molteplici.
I personaggi che ‘migrano’ nei miei lavori sono diversi. Li ho presi da quaderni di viaggiatori del XIX secolo. Sradicati dal loro contesto e messi a recitare in una sorta di palcoscenico che è il mondo, senza riferimenti di luogo o di tempo, proprio per insistere sulla ciclicità di questi fenomeni.
L’intero progetto intende indagare il fenomeno dello spostamento dei popoli da una panoramica storica più ampia in cui gli avvenimenti contemporanei rappresentano un momento quasi irrilevante, se non fosse per l’intensità delle storie delle singole persone coinvolte, che magari abbiamo avuto il privilegio di ascoltare e di aiutare, proprio perché in fondo cerchiamo di aiutare noi stessi, con la paura inconscia che i prossimi a dover fuggire potremmo essere noi.

Pietro Ruffo, Migrazioni Albania, 2017, ink on paper, 52×33.5 cm. Foto Giorgio Benni

Le carte millimetrate e le carte geografiche sono strumenti di un recente passato che utilizzi come base del tuo lavoro, come punto di partenza.
Nella constatazione del ruolo “soggettivo” di questi strumenti, che sono stati in molti casi diretta emanazione dei dominatori che ne erano anche i committenti, tu contrapponi le mappe delle volte celesti, dando vita ad una narrazione legata al racconto e al mito, ma soprattutto oggettiva… Come secondo te deve perpetrarsi il dialogo tra passato e presente, per porre le basi di un solido futuro?
Conoscere o riconoscere la rappresentazione della Terra mi rassicura, è per questo che spesso parto da carte geografiche. Queste ci permettono di dominare superfici immense con un solo sguardo. Qualche anno fa ho visto un affresco che non ho riconosciuto immediatamente come mappa, sul soffitto di Palazzo Farnese a Caprarola, una rappresentazione dipinta dal Vanosino della volta celeste. Entrato in quella stanza, la prima sensazione è stata di stupore e paura, un’altra mappa, una mappa che non avevo mai visto prima, una mappa che non conteneva l’alfabeto di simboli che riuscivo a leggere. Questa mappa era composta da navi, tori, pesci volanti, personaggi mitologici. Questa era una mappa della volta celeste. Mi vergogno oggi per la prima sensazione che ho avuto, cioè la derisione, il pensare che quegli esseri frutto della fantasia degli antichi greci potessero essere rappresentati al pari di mari, fiumi, coste e confini nazionali, nella mia testa questa mappa era una sorta di divertissement, una stranezza da Wunderkammer. Niente di più sbagliato, la potenza di quella mappa è straordinaria. Prima di tutto a differenza delle mappe terrestri che cambiano in continuazione a seconda dei cambiamenti politici, la mappa della volta celeste non cambia mai, immutabile, dal tempo degli antichi greci, questo mito, questo racconto è talmente radicato e potente nei secoli, per la nostra comunità di persone, che ci ha permesso di scoprire la gran parte del mondo, ci ha permesso di orientarci, ci ha permesso di calcolare con grande esattezza la circonferenza del nostro pianeta.
Ma come possono delle stelle a distanza abissale l’una dall’altra farci orientare nello spazio, ma anche condizionare il nostro essere? Qui entra in gioco il mito, il racconto di come gli astri esercitino un’azione determinante. A questo mi sono sempre opposto con fermezza, ma all’alba dei quarant’anni tante sicurezze crollano, e mi rendo conto di quanto questo racconto è radicato nella nostra società (basti pensare che ogni giorno sui quotidiani o alla radio al telegiornale viene fatto l’oroscopo) che sia, in tesi che in antesi (sia che ci crediamo o non ci crediamo) ci influenza fortemente, come tra l’altro qualsiasi altro tipo di grande racconto che accomuna in una visione astratta milioni di persone che condividono valori, riti e credenze senza conoscersi, e questo come sottolinea Yuval Noah Harari è quello che ci rende una specie diversa da altre, e in questo momento quello che mi appassiona e, soprattutto, è quello al quale non riesco a dare una risposta e per questo motivo continuo a girarci intorno.

Pietro Ruffo, Skywalker (gemini), 2018, cutouts on canvas and wool, 240×180 cm. Foto Giorgio Benni

Ti avvali di una tecnica molto varia che va dai disegni a penna bic o china, all’intarsio su carta o stoffa. Come si collegano le tue Migrazioni blu alla serie degli Skywalkers, che la galleria presenta nella prima sala?
La serie Skywalkers è successiva a quella delle Migrazioni, in questi lavori ho studiato come a causa dei molteplici e repentini cambiamenti delle politiche nazionali in materia di quote migranti, accessibilità dei confini, gli spostamenti non avvengono più sulla base di carte geografiche terrestri ma si torna ad un viaggio ancestrale che guarda la volta celeste, il sole, le stelle e il campo magnetico. Nei tre arazzi, dal titolo Skywalkers, sagome intagliate di persone si muovono delineando un’umanità sempre più interconnessa, che supera i confini geografici e culturali.

Pietro Ruffo, La politica delle stelle, NM contemporary, Monaco, installation view. Foto Loic Thebaud

Fascinazioni, al contempo luminose e sonore, queste ultime derivanti dal fruscio che si crea movendosi nello spazio, accolgono il visitatore nella seconda sala, dove sono esposte le Gold Migrations. La coperta termica, che riporta alla mente la fragilità umana e il bisogno dell’altrui soccorso, in queste opere acquista una monumentalità spiazzante.
Come sei arrivato a scegliere questo supporto e come hai strutturato il dialogo tra la sua fragilità e la forza dell’iconografia qui riprodotta, tra la sua funzione d’uso e la sua potente fisicità?
Nel gruppo di disegni Gold Migrations – inchiostro su coperta termica – la forma dei confini nazionali (Nord America, Sud America, Africa, Italia, India) si sovrappone ad antiche scene di popoli nativi e immagini storiche di migranti, ricomposte in narrazioni fantastiche e originali. Diversi gruppi etnici, diversi livelli di pensiero e di idee convergono per evocare la mia visione sulla questione più controversa dei nostri tempi.
L’utilizzo della coperta termica come supporto evidenzia lo stato di emergenza e le difficoltà affrontate da quelle persone che tentano di entrare ed integrarsi in territori e comunità con valori differenti.
La coperta termica, inoltre, per le sue geometrie mi riporta ai fondi oro del trecento, delle superfici mai omogenee con delle vibrazioni che mi rimandano a questo mare d’oro presente nei miei lavori.

Gold Migration (South America), 2019, ink on emergency blanket, 210×160 cm. Foto Giorgio Benni

LA POLITICA DELLE STELLE. Un progetto di Pietro Ruffo

19 settembre – 10 novembre 2020

NM Contemporary
17, rue de la Turbie, Monaco

info@nmcontemporary.com 
www.nmcontemporary.com

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