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#SPECIALEMUSEI*
IL MUSEO. TRA PARTECIPAZIONE ATTIVA E NUOVE NARRAZIONI

Abbiamo voluto incontrare alcuni direttori (taluni freschi di nomina) e conservatori di alcuni dei Musei italiani di maggior spicco proprio per avere una testimonianza diretta di chi li gestisce e rappresenta all’interno della comunità. Attraverso le loro parole si evidenzia il ruolo “civico” del museo che è e deve essere oggi, ancor di più, un luogo di incontro e di partecipazione, sempre più attiva e consapevole.
La sostenibilità, l’essere legante e mezzo di mantenimento di quei legami umani fondamentali che, però, la società attuale ha lentamente iniziato a disgregare, accentuare la missione di unicità che ogni realtà ha, diventare portatore di un messaggio inclusivo e partecipativo, sono i principi generalmente condivisi ed evidenziati da tutti i direttori che, in prima linea, hanno sentito il potere aggregante e sempre innovativo che identifica il proprio museo.
Il programma dei musei del prossimo futuro incentra la propria ripartenza sulla rilettura in chiave storica delle collezioni per provare a rendere vivi “nuovi immaginari”, per condurre a “nuove narrazioni” senza tralasciare l’importanza di “colmare il vuoto di quelle mancanti”. In questo senso, ad esempio, ridare voce all’universo ampio delle donne artiste, alla responsabilità di quelle ricerche che parlano e mettono in luce la complessità della nostra contemporaneità offrendo importanti spunti di riflessione per il pubblico.
L’umanità con la pandemia ha percepito ancor più la dimensione della propria globalità vulnerabile e fragile e questo è un decisivo passaggio per riallacciare legami con culture lontane e diverse, per avvicinarsi con spirito nuovo, svincolato da logiche meramente economiche, e osservare anche il mondo “culturale” secondo un’ottica non esclusivamente frutto di vecchie supremazie e generalizzazioni europeocentriche.
In base a questi principi lo spaccato che offriamo rileva che, abbandonate ormai vecchie strategie, la nuova identità del museo in seno alla contemporaneità è di essere non solo luogo ma anche strumento di integrazione, di relazione tra le diverse comunità che formano la collettività degli uomini che vivono su un solo pianeta condiviso.


Intervista a STEFANO COLLICELLI CAGOL di Luca Sposato


I tuoi predecessori, Fabio Cavallucci e Cristiana Perrella, appena insediati hanno entrambi manifestato una direzione verso la pluralità: Cavallucci parlò di Arti Contemporanee, promuovendo la multidisciplinarietà del settore, mentre la curatrice romana dichiarò di lavorare per un “museo plurale”, tentando un invito all’eterogeneità culturale e sociale. Nella tua prima nota di ringraziamento per la nomina hai, alternativamente, evidenziato l’unicità del grande potenziale di questo “laboratorio del contemporaneo”: è possibile che alla disgregazione della globalità, la riscoperta del local sia la scelta giusta per leggere la contemporaneità?
Si costruisce sempre su quello che ci hanno lasciato le persone che ci hanno preceduto: quello che a me interessa è piuttosto un cambio di postura, su come possono essere interessate le diverse aree. Per esempio, il Cinema lo stiamo facendo interagire sempre di più con la parte curatoriale, ci sarà più spazio per opere sperimentali create dagli artisti, ma anche più interazione con il dipartimento educativo, con proiezioni per famiglie e accessi ai laboratori.
Si comincia da piccolissimi ad interfacciarsi con il museo, con le opere d’arte. Il nostro dipartimento sta proponendo molto questo approccio. C’è un’idea di inclusività sociale nei nostri laboratori di didattica. Ne siamo molti fieri, proprio perché raccontano di questa interdisciplinarietà del Centro, che è sempre più importante supportare. Non solo arti, ma anche tematiche di inclusione: se pensiamo all’attualità, il Museo può diventare uno strumento importante per l’integrazione, relazionandosi con le diverse comunità. Il Centro ha già un’operatività flessibile ed elastica, pronta ad adattarsi alle esigenze della contemporaneità.

Veduta della mostra, Spazio radicale 18.12.2021 – 01.05.2022, Centro Pecci, Prato, ©photo Ela Bialkowska OKNOstudio

Un cambio di postura dell’istituzione e della sua organizzazione interna, secondo me può implementare la ricchezza e la vocazione all’interdisciplinarietà già in atto. Stiamo lavorando in maniera chirurgica sulle attività che quasi naturalmente sgorgano dalla programmazione espositiva, dove diventa fondamentale il contesto, si tratti del quartiere, della città di Prato, della Piana o delle connessioni regionali, ricordando come esista una legge che stabilisce una relazione molto forte tra il Centro Pecci e la Toscana. Mi piace pensare il Centro come una cassa di risonanza che emana sinergie forti tra la città e il circostante. Tornando sull’esempio del Cinema, esistono delle eccellenze che guardano alla sperimentazione dei linguaggi delle immagini in movimento, penso al Festival dello Schermo dell’Arte, penso al Festival dei Popoli… Ma penso anche ad altre realtà che guardano all’Editoria, come Testo a Firenze, oppure al Lucca Comics&Games. Ci sono varie realtà che popolano, in maniera differente, le varie città della Toscana, su questo la regione si contraddistingue a livello nazionale.

SCHEMA 50 UNA GALLERIA FRA LE NEO-AVANGUARDIE (1972-1994). Vito Acconci, Ball room, 3 novembre 1973. Performance alla Galleria Schema di Firenze. Foto: Fulvio Salvadori, courtesy Archivio Schema

La tua ricerca curatoriale è a dir poco “plastica”, partendo da uno studio attento delle tradizioni e dei concetti, per arrivare ad interagire concretamente con gli operatori ed i fruitori, quasi fossero tutti (e in ogni istante) co-partecipi del fenomeno artistico: l’evidenza si rileva anche nella mostra Off dell’ultima Quadriennale, “FUORI”, che hai curato insieme a Sarah Cosulich, che, soffusamente, senza citarla, suonava come una protesta pacifica contro un’attualità restringente. In quest’ottica, si può sincronizzare al presente un’istituzione comunque caricata da storicizzazione trentennale? Nella città del pulpito donatelliano, l’innovazione potrebbe venire proprio dalla scultura?
Sì, il pulpito è un’ottima genealogia per rileggere le sculture che esistono intorno al Centro e che speriamo di implementare nel prossimo futuro. La relazione con Prato è per me centrale su due punti di vista, il primo di una città che deve essere assolutamente vissuta per chi viene al Centro Pecci, perché è una città che, nel suo centro storico, nella sua rete museale, presenta delle unicità in forte connessione con la realtà contemporanea: si capisce che non è un caso, c’è una vocazione ad interpretare la realtà con uno sguardo verso il futuro. L’altro punto è il ripristino di una esposizione permanente delle opere della collezione. Anche qui vogliamo attuare una selezione chirurgica, individuando opere che abbiano una forte presa sull’immaginario delle persone, ma che possano aiutare anche a sviluppare un racconto e una riflessione sulla contemporaneità. Presentare la collezione vuol dire sia dialogare con il territorio, sia, in maniera propedeutica, sviluppare progetti per pubblici diversificati, dalle scuole agli appassionati d’arte.
In generale, quello che aspetta il Centro Pecci nei prossimi anni è una maggiore trasversalità. Il Centro è un organismo con una storia stratificata, che parte dalla struttura di Italo Gamberini, il primo edificio costruito apposta per le arti contemporanee, fino alla propagazione della nuova ala progettata da Maurice Nio. Sottolineo che non è un museo, ma un Centro, ha una logica proiettata verso il futuro, non identificandosi necessariamente ad una progettualità definita dalla tradizione e da una disciplina conservatrice. La ricchezza del Centro è la connessione tra le parti che lo compongono, dalla didattica, all’intrattenimento, alla divulgazione culturale, alla tutela museale.

Veduta della mostra, Il Giardino dell’arte. Opere, collezioni. (fino al 24 luglio), Centro Pecci, Prato, ©photo Ela Bialkowska OKNOstudio

Il presidente Lorenzo Bini Smaghi, lo scorso autunno, giustificò l’allontanamento della Perrella su basi quantitative, lamentando un indirizzo poco manageriale. Ritieni importante per un centro di ricerca ambire ad un’autonomia finanziaria o pensi che questa possa creare conflitto nel novero di scelte di qualità?
Sicuramente la scelta di lavorare su un piano più strutturato di fundraising fa parte del mio percorso: dipende sempre dalle modalità progettuali che si avviano, non so esattamente cosa intendi per “autonomia”, piuttosto parlerei di “apertura” finanziaria, su diversi canali che possano sostenere i vari progetti. Su questo ci sono sicuramente argini su cui si può lavorare. Possediamo già un forte contributo dal Comune di Prato e dalla Regione Toscana, e questo è un sostegno fondamentale, perché permette l’iniziativa progettuale. Chiaramente, ben venga un riverbero grazie ad ulteriori strategie di ricerca fondi, però il finanziamento è una base importante per creare proposte uniche e mirate. Resta fondamentale la sinergia tra l’istituzione e gli enti erogatori, non solo attraverso mostre o attività interne, ma anche tramite collaborazioni con altre istituzioni, magari in relazione alle parti dedite alla formazione. Fortificando questa rete di relazioni, è lecito pensare ad una ricaduta importante per il Centro e per la comunità adiacente.

Veduta della mostra, L’arte e la città 20.11.2021 – 12.06.2022, Centro Pecci, Prato, ©photo Ela Bialkowska OKNOstudio

Il Centro Pecci vanta una biblioteca con 60.000 pezzi sfogliabili, arricchita di recente dalla donazione dell’archivio della compianta Lara Vinca-Masini. Vogliamo lanciare un appello (l’ennesimo, invero) perché si riattivi e ripopoli un contesto prestigioso e meritevole di frequentazione?
Ci auguriamo di poter riaprire presto la biblioteca, grazie ai lavori di restauro attuati con il piano PRNN. Attualmente, sia la biblioteca sia l’archivio sono consultabili tramite prenotazione, purtroppo in spazi non prossimi alle scaffalature, ma comunque adeguati e rispettosi delle disposizioni vigenti. È sempre bello essere circondati dai libri mentre si legge o si studia, e il nostro patrimonio librario è una ricchezza che deve essere valorizzata, sia con una frequentazione crescente, sia con una maggiore presenza dell’archivio documentario all’interno del percorso museale.

Stefano Collicelli Cagol, Centro Pecci. Foto: Claudia Gori

Stefano Collicelli Cagol nato a Padova nel 1978, è direttore del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Nel 2021 ha curato la mostra A Show About Nothing per BY ART MATTERS, Hangzhou. Dal 2018 al 2020 è stato Curatore di Fondazione La Quadriennale di Roma, co-curando la mostra Quadriennale d’arte 2020 FUORI, Palazzo delle Esposizioni, Roma. Ha insegnato all’MA Design for Arts del Politecnico di Torino. Dal 2015 al 2017 è Curator at Large del Trondheim kunstmuseum, Norvegia. Nel 2014 ottiene il PhD presso il Royal College of Art, Londra.

 

*Intervista tratta da Espoarte #117.

 

Calendario:

27 marzo – 24 luglio 2022
Il giardino dell’arte
Opere, collezioni
a cura di Stefano Collicelli Cagol

Fino al 12 giugno 2022
L’arte e la città
a cura di Stefano Pezzato

CENTRO PECCI ARCHIVI
Un nuovo ciclo espositivo su raccolte e archivi, collegato a pubblicazioni e incontri di approfondimento.

21 maggio – 25 settembre 2022

SCHEMA 50
UNA GALLERIA E LE NEO-AVANGUARDIE (1972-1994)
Mostra ideata da Stefano Pezzato, responsabile di collezioni e archivi del Centro Pecci. Dal 10 giugno 2022

GRUPPO 9999
RICORDI DI TECNO-ECOLOGIA
Mostra ideata da Stefano Pezzato

CENTRO PECCI SUMMER LIVE 6 DJSET e 5 CONCERTI

due mesi di musica all’aperto negli spazi del museo, piazza cittadina aperta ai molteplici linguaggi dell’arte

10 giugno – 21 luglio 

ogni giovedì

Industria Indipendente, Thomas Constantin,

Luwei, Immaginari. Habitat di resistenza,

Tomboys Don’t Cry e Hugo Sanchez

11 – 15 luglio

Il Tre, The Zen Circus, R.Y.F.

Prevendita su Ticketone.it

https://centropecci.it/

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