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VENEZIA | Padiglione Italia | 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia

Intervista a Cecilia Alemani di Matteo Galbiati

Aspettando il taglio del nastro inaugurale della prossima attesissima edizione de La Biennale di Venezia, abbiamo intervistato la curatrice del Padiglione Italia Cecilia Alemani che, nonostante i serrati e impegnativi lavori relativi al suo prestigioso incarico, ci ha concesso questa intervista in cui ci fa qualche anticipazione di quello che aspetterà i numerosi visitatori della manifestazione internazionale veneziana durante il lungo periodo espositivo:

Che relazione avrà il Padiglione Italia rispetto al tema della Biennale 2017? Ha pensato, con gli artisti, a un’eventuale connessione o corrispondenza con il titolo, quasi un motto, Viva Arte Viva voluto dalla curatice Christine Macel, oppure pensate di operare in modo indipendente?
Il titolo e tema della mostra internazionale sono stati annunciati solo recentemente, quindi il mio progetto non è una risposta o reazione al tema generale della Biennale. Detto questo è stato interessante vedere come ci siano decisamente dei rimandi e delle consonanze di approccio e di ispirazione tra la mostra internazionale e il Padiglione Italia. In particolare penso al ritorno di attenzione sugli artisti, in una mostra che Macel ha definito “con gli artisti, degli artisti, e per gli artisti”, atteggiamento che condivido, sperando che il Padiglione Italia, con i suoi artisti, possa essere d’esempio.

Padiglione Italia, Arsenale

Padiglione Italia, Arsenale

Come rappresentano l’Italia le ricerche di Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey? Cosa ritiene sia l’aspetto prioritario e identificativo delle loro ricerche?
Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey sono nati tra gli anni ‘70 e gli ‘80 e sono attivi a partire dal nuovo millennio. Si tratta di artisti in momenti diversi della propria carriera, dalla più emergente Adelita Husni-Bey al più affermato Roberto Cuoghi. Sono artisti della mia generazione, italiani ma che hanno avuto esperienze formative ed espositive all’estero e il cui lavoro è visibile spesso sia in Italia sia sulla scena internazionale. Le loro opere affondano le proprie radici nella cultura e nella storia dell’arte italiana, ma guardano anche al resto del mondo, con linguaggi globali e che propongono un’immagine dell’Italia cosmopolita e aperta al nuovo e al diverso.

Al Padiglione Italia, nelle precedenti edizioni della Biennale, abbiamo visto grandi progetti collettivi, la sua scelta, invece, si è orientata solamente su tre artisti. Cosa l’ha spinta a questa significativa decisione? Vuole essere un segno di discontinuità?
Il mio progetto per il Padiglione Italia non è una panoramica di arte italiana, ma un approfondimento sul lavoro di tre artisti che sono stati invitati a produrre un’opera nuova e ambiziosa. Ogni artista in mostra avrà a disposizione, innanzitutto, un grande spazio: il Padiglione Italia è il più grande padiglione nazionale alla Biennale, e quindi gli interventi degli artisti saranno particolarmente complessi e di vasta scala. Oltre allo spazio, quest’anno gli artisti hanno avuto più tempo per lavorare alle loro opere grazie al Ministero e alla Direzione Generale che mi ha nominato un anno prima dell’opening della Biennale. Infine hanno avuto risorse e ne stiamo raccogliendo di aggiuntive per presentare delle opere completamente nuove e ambiziose, che creino anche una relazione profonda con l’architettura del Padiglione, invece di cercare di combatterla o di trasformarlo in uno spazio neutro. In questo progetto mi sono preoccupata meno di rintracciare una presunta identità italiana ma piuttosto di dare possibilità ad artisti emergenti, o in momento cruciale della loro carriera, di lavorare a opere di grandi dimensioni che non potrebbero essere realizzate in altre istituzioni e di affiancarli e supportarli in questi interventi.

Adelita Husni-Bey. Foto: Andrea Artemisio

Adelita Husni-Bey. Foto: Andrea Artemisio

Come verrà organizzata la loro presenza all’interno del Padiglione? Quali sono le coordinate del progetto cui state lavorando? Sono tre letture indipendenti o si fonderanno in una visione unitaria?
Ogni artista avrà un grande spazio in cui mostrare una nuova installazione. Sono tre spazi separati, ma che trovano una continuità di significato e di percorso uno nell’altro. La mostra si intitola Il mondo magico, titolo preso a prestito dall’omonimo libro di Ernesto de Martino, in cui l’antropologo napoletano studia la magia e quell’universo fatto di rituali, mitologie, e credenze che confluisce in quello che egli chiama il mondo magico. Gli scritti di de Martino sul magico mi hanno ispirato a scegliere questo tema per leggere l’opera di tre artisti il cui lavoro è intessuto di riferimenti al rito, alla mitologia, al fantastico e all’immaginazione. Naturalmente la fascinazione per il magico non significa che questi artisti credano in streghe o che vogliano rifugiarsi nel mondo dell’irrazionale, ma piuttosto che vedono il proprio ruolo non solo come creatori di opere d’arte, ma anche come artefici di un intero universo creativo e di cosmologie personali: per questi artisti l’arte è lo spazio in cui dare forma a un universo parallelo.

Roberto Cuoghi

Quali sono le caratteristiche, vista l’importanza dell’occasione e del contesto, che deve avere un artista da “Biennale”? Cosa ha il dovere di esprimere?
Deve essere un artista che ha voglia di correre un rischio e di lavorare a un progetto che costituisca un punto di snodo nella sua carriera. Questo è, a mio parere, uno degli obiettivi principali che un’istituzione come la Biennale e il Padiglione Italia devono conseguire: offrire un’occasione unica e irripetibile ad artisti dove poter sperimentare con il nuovo e correre rischi. Deve anche essere un artista che abbia voglia di confrontarsi con un contesto internazionale e variegato come quello della Biennale, e che non si ripari semplicemente nell’agio di essere artista che gioca in casa.

Giorgio Andreotta Calò. Foto: Nuvola Ravera

Giorgio Andreotta Calò. Foto: Nuvola Ravera

Quali sono le sue attese rispetto al pubblico? Sia di addetti ai lavori che a quello generale della Biennale? Suggerimenti, indicazioni?
Spero che il pubblico riesca a superare l’idea che il Padiglione debba rintracciare una presunta identità italiana: la Biennale e i Padiglioni nazionali non possono essere il luogo in cui ci si interroga sempre e solo sull’eredità e la tradizione e dove si sistematizza la storia dell’arte italiana. Devono essere il luogo dove affermare e identificare i nuovi talenti ed essere un luogo propositivo e sperimentale.

Cosa ci dice del “dopo”? Cosa l’aspetta concluso l’impegno veneziano?
Tornerò a New York dove lavoro per la High Line e dove mi aspetterà una nuova stagione espositiva. E poi spero anche un po’ di vacanza!

Cecilia Alemani è nata a Milano nel 1977. Si è laureata in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano (2001), ha un master in Studi Curatoriali (2005) presso il Bard College, Center for Curatorial Studies, Bard College a Annandale-on-Hudson, New York. È direttrice e capo curatrice di High Line Art, il programma di arte pubblica sulla High Line di New York, presentato dall’organizzazione non-profit Friends of the High Line. Ha collaborato con molti musei, istituzioni e fondazioni, oltre a seguire anche iniziative meno convenzionali in spazi non-profit e progetti indipendenti. Ha collaborato anche con numerose riviste d’arte tra cui Artforum.com, Domus Magazine, Garage Magazine, Mousse Magazine, Klat, Modern Painters, Art Press, October Magazine e Flash Art. Vive e lavora a New York.

[Intervista tratta da Espoarte #96]

Il mondo magico. Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey
a cura di Cecilia Alemani
commissario Federica Galloni

13 maggio – 26 novembre 2017

57. Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia
Padiglione Italia
Tese delle Vergini all’Arsenale

Info: www.labiennale.org

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