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MILANO | Nashira Gallery | Fino al 24 febbraio 2023

Nashira Gallery è una nuova galleria d’arte, sita a Milano in via Vincenzo Monti 21, nata dall’idea di Ludovica Bifulco con un obiettivo ben preciso: far incontrare e dialogare le opere della Collezione 54, importante raccolta d’arte privata, con i lavori di giovani promesse dell’arte contemporanea.

“La mia idea è quella di dare vita a uno spazio accogliente, famigliare e aperto a tutti, dove oltre ad ammirare e conoscere da vicino il bello dell’Arte, ci si possa sentire a casa e conoscere nuovi artisti emergenti che, per l’occasione, saranno tenuti per mano dai Grandi”, sottolinea la gallerista.

Nashira aspira a diventare un punto di riferimento in città per l’arte contemporanea e ultra-contemporanea, vuole essere un mentor per gli artisti emergenti e un compagno di viaggio per il pubblico di collezionisti interessati a scoprire questo particolare segmento artistico. Per queste ragioni Nashira ha deciso di trarre il proprio nome da una stella della costellazione del Capricorno, segno guida della galleria, il cui significato in lingua araba è “Portatrice di Buona Novella”.

Veduta della mostra, Profezia, courtesy Nashira Gallery, Milano

L’obiettivo di Ludovica Bifulco è di “dar vita a uno scambio dinamico tra culture, generazioni e tecniche espressive differenti riunite sotto un’unica stella, quella dell’Arte.”
L’arte contemporanea, nella sua più ampia accezione, è ciò che il visitatore troverà da Nashira. La proposta offerta da Ludovica Bifulco è volutamente eterogena, ospitando opere pittoriche e scultoree, ma anche lavori su carta e fotografie o, ancora, installazioni di video-arte e arte digitale, fino alla più recente crypto arte.

La galleria ha aperto nelle scorse settimane con la mostra PROFEZIA, visitabile fino al 24 febbraio 2023.
Cuore pulsante dell’esposizione e inizio ideale del percorso è la video-opera sonora del noto artista sudafricano William Kentridge (Johannesburg, 1955) dal titolo Waiting for the Sibyl.
Nella mitologia greco-romana, la figura della Sibilla era la sacerdotessa del dio Apollo dotata di virtù profetiche che, interrogata, trascriveva gli oracoli su foglie di quercia. I vaticini, disperdendosi e ruotando al vento dell’antro di Cuma, confondevano i destini, diventando simbolo di incertezza e del tempo incontrollabile che fluisce, muta e ritorna.

Andreas Zampella, Applausi, 2021, argilla e grafite su tela, clay and graphite on canvas, cm 100×130

Il lavoro di Kentridge è presentato insieme alle opere di altri tre artisti, anch’essi, sudafricani e parte della Collezione 54: Wim Botha (Pretoria, 1974), Teresa Kutala Firmino (Pomfret, 1993) e Mafafo Kimathi (Kimberly, 1984). A questi si uniscono le creazioni di due giovani artisti italiani: il pittore Andrea Grotto (Schio, 1989) e il pittore-scultore Andreas Zampella (Salerno, 1989).

L’allestimento scompone idealmente l’opera di Kentridge nei lavori degli altri artisti: “Il sipario verde” di Zampella, “La Sibilla” di Kimathi e, ancora, “I vaticini” indossabili di Grotto accompagnano il visitatore in un percorso immersivo ed esperienziale verso la visione e le atmosfere coinvolgenti del capolavoro del maestro sudafricano.

Andrea Grotto, Sotto sinistra scoperta, 2016, olio su tela, cm 135×174

In un mondo sempre più variegato e complesso, c’è sempre più bisogno di figure guida.
Quali migliori profeti degli artisti e delle loro profezie visive?

Nell’arco dei tre mesi in cui sarà possibile visitare la mostra PROFEZIA, gli spazi della galleria ospiteranno alcuni Special Project a tema per approfondire, anche, in maniera inaspettata la figura del “profeta” con l’obiettivo di giungere all’identificazione del suo corrispettivo contemporaneo e per rispondere al quesito: “Chi sono i profeti di oggi?”.

Al termine della collettiva, con cui la galleria ha deciso di inaugurare il suo percorso artistico e la sua attività, Nashira ha già pianificato la programmazione di due mostre personali e progetti site-specific dedicate ai due giovani artisti selezionati: Andreas Zampella e Andrea Grotto.

 

Nashira Gallery
Via Vincenzo Monti 21, Milano

Info: +39 342 33 166 40
info@nashiragallery.com
www.nashiragallery.com
Instagram: @nashiragallery

 

Mostra in corso:

Profezia

24 novembre 2022 – 24 febbraio 2023

Orari: dal mercoledì al venerdì, dalle ore 16 alle 19.30.
Sabato dalle ore 11.00 alle 18.00
E su appuntamento all’indirizzo info@nashiragallery.com
https://www.nashiragallery.com/

 

BIOGRAFIE ARTISTI DELLA COLLEZIONE 54 IN MOSTRA:

William Kentridge
(Johannesburg, Sudafrica, 1955)
William Kentridge è sicuramente l’artista sudafricano più conosciuto e acclamato al mondo grazie ai suoi disegni, film e produzioni teatrali e operistiche. Le sue opere sono, infatti, un unicum riconoscibilissimo dove disegno, scrittura, film, performance, musica e teatro si fondono e combinano assieme per affrontare temi e argomenti di politica, scienza, letteratura, storia e filosofia. Tra gli argomenti maggiormente affrontati, si trovano quelli legati all’orrore della segregazione razziale come la decolonizzazione, i conflitti politici, le iniquità, la barbarie del mondo moderno e gli abusi di potere che l’artista riesce a toccare con rara inventiva e leggerezza. Questioni drammatiche che Kentridge rende universali grazie, anche, alla scelta dell’animazione come tecnica prediletta; ci consegna un mondo fatto di disegni che non possono non ricordare a chi li guarda i cartoni animati dell’infanzia. Disegni della memoria, disegni di denuncia, disegni della speranza. La stessa speranza che le disparità denunciate dall’artista non debbano più ripetersi.

Wim Botha
(Pretoria, Sudafrica, 1974)
Il lavoro di Wim Botha è profondamente radicato nella società in cui è nato e cresciuto. Per le sue raffigurazioni trae, infatti, ispirazione dall’iconografia popolare sudafricana e dalle tematiche di “potere” a essa legate. Peculiarità e cifra distintiva delle sue sculture è il materiale utilizzato: la carta. Non semplice carta ma veri e propri assemblaggi di testi governativi, bibbie e qualsivoglia testo e documento che trattino e parlino delle varie ideologie di controllo e potere. Utilizzando questo materiale “atipico” per intagliare volti di uomini e donne senza distinzione di età o razza, l’artista inverte l’immaginario visivo legato ai testi stessi, superando i limiti delle rappresentazioni imposte dalle varie autorità politiche e religiose. Un inno alla comunanza.

Teresa Kutala Firmino
(Pomfret, Sudafrica, 1993)
Teresa Kutala Firmino utilizza varie forme espressive: pittura, fotografia e performance. La sua Opera racconta il trauma sofferto in passato dal popolo africano all’interno della propria comunità e che, ancora oggi, continua a causa del colonialismo, della guerra civile e delle sfide attuali. L’artista colleziona scrupolosamente immagini prese da riviste, giornali, documenti e social media, che poi inserisce all’interno di colorate composizioni. Surreali scene barocche prendono vita in uno spazio circoscritto, all’interno del quale i soggetti possono rivivere le loro storie o costruirne di nuove. Tale processo permette a Kutala Firmino di documentare narrazioni alternative passate, presenti e future dell’Africa, costruendo il suo personale archivio di storia africana. Essendo proprio le donne ad aver conosciuto le sofferenze maggiori, l’artista ricerca ciò che nel corpo e nella mente femminile africana, seppur traumatizzato, continua a prosperare.

Kimathi Mafafo
(Kimberley, Sudafrica, 1984)
Kimathi Mafafo è un’artista multidisciplinare la cui pratica spazia dal ricamo, alla pittura a olio, fino all’installazione. Le sue composizioni, ricche di dettagli, risultano particolarmente scenografiche. Il suo immaginario è in parte guidato dal desiderio di celebrare la forma femminile black, ispirando le donne ad abbracciare il proprio valore e la propria bellezza. Mafafo lavora al fianco di Mustapha Saadu – un sarto del Ghana – per realizzare una serie di ricami che raccontano storie di donne combattute tra il peso della tradizione e la modernità. Nei suoi racconti visivi, l’artista paragona le donne ai fiori che sbocciano lentamente contro ogni previsione, criticando sottilmente i ruoli di genere tradizionali e allo stesso tempo incoraggiando le donne a realizzarsi e a costruirsi un nuovo ruolo nella società.

 

BIOGRAFIE ARTISTI EMERGENTI IN MOSTRA:

Andrea Grotto
(Schio, 1989)
Andrea Grotto, dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia e respirato la sua vivace scena artistica, si diploma in Pittura con il Prof. Carlo Di Raco. Partecipa a varie residenze e concorsi in Italia e all’estero tra cui: l’Atelier della Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia, il Combat Prize, la GlogauAir di Berlino, il Premio Fabbri, il Premio Ora e il Premio Michetti. Eccellente pittore e disegnatore, nei suoi quadri dà voce a un suo personalissimo immaginario in bilico tra realtà e sogno, con una pittura raffinata e ricercata. Raffigurazioni che spiazzano e, allo stesso tempo, coinvolgono lo spettatore proprio per questo continuo passaggio tra l’”essere” e il “potrebbe essere”. Opere dove elementi ripresi dalla natura come piante, minerali e animali si mixano con citazioni della statuaria greca, documenti medievali e cosmologici, in un unico straordinario flusso di immagini e pensieri.

Andreas Zampella
(Salerno, 1989)
Tutti gli elementi del lavoro di Andreas Zampella si compongono come in una pièce teatrale: la pittura è scenografia delle azioni e delle non azioni, metafora di chi la osserva; gli strumenti e le sculture gli oggetti di scena, il cui significato cambia, si scopre nello spazio; gli oggetti contenenti carne cruda e le “macchine”, gli attori principali che, congelando il movimento in potenza o reiterandolo in modo insensato, vivono una condizione di azione continua, come ascessi dell’arte performativa. Grazie a queste linee guida, il suo lavoro indaga il rapporto tra realtà e rappresentazione nella società, ammettendo il fallimento della comunicazione nella contemporaneità. Come soglie o usci semi aperti, i suoi lavori oscillano in condizioni al limite tra stanchezza e ansia, lamento e accusa, obbligo e noia, individuo e collettività, e lo fanno in modo indolente, ipocrita, nel pieno paradosso del reale.

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