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GENOVA | UnimediaModern | Fino al 14 marzo 2020

Intervista a MAURO PANICHELLA di Francesca Di Giorgio

Per poter comprendere la scelta del titolo, all’apparenza criptico, della sua ultima personale da UnimediaModern a Genova, dobbiamo necessariamente procedere a ritroso.
Il rituale dell’inatteso di Mauro Panichella (1985) non è la prima mostra nella galleria genovese con cui l’artista ha stretto un legame molto importante e significativo per la sua ricerca e che lo ha portato a prendere sempre più coscienza della sua posizione di artista nel mondo. Perché, in fondo, l’uomo, da sempre “prende la misura di tutto ciò che lo circonda per dare senso al suo esistere”…

Mauro Panichella, Il rituale dell’inatteso, UnimediaModern, 2020

Dopo un percorso iniziale, essenzialmente pittorico, il tuo lavoro vira verso procedimenti di acquisizione dell’immagine, “alternativi”, che prevedevano la mediazione di una macchina, nello specifico di uno scanner… Cosa ti ha attratto inizialmente di questo strumento? Come te ne sei servito e cosa rappresentava concettualmente per te?
Quando iniziai ad avvicinarmi all’idea di voler produrre arte (stiamo parlando dei tempi in cui frequentavo l’Accademia di Belle Arti, erano i primi anni del 2000) sentii la necessità di approfondire le mie ricerche sul percorso, fortemente metalinguistico e vagamente distopico che il mondo che mi circondava sembrava pronto a percorrere. Nell’arco di pochi anni, la produzione digitale e la tecnologia informatica applicata alla vita sociale sviluppò progressi impensabili con conseguenze importanti sulla nostra società, ad esempio, basta pensare alle dinamiche sociali scaturite dall’uso dei social networks. È stato il periodo, e ora lo si può dire con una certa consapevolezza, in cui siamo tutti entrati nel mondo del futuro, complice anche l’euforia scaturita dall’aura del nuovo millennio. In quel periodo iniziai ad usare lo scanner per generare ritratti (spesso autoritratti) virtuali. Volti deformati dalla pressione sul vetro e immagini dai colori virati al rosso ambra, identità altre, speculari ma estranee, prigioni di una meta-realtà che iniziavo ad associare all’apnea, quindi alla soglia che separa il mondo reale dal mondo sottomarino, e il movimento dello scanner era l’avanzare e il ritrarsi della marea.

Mauro Panichella, Il rituale dell’inatteso, UnimediaModern, 2020. Foto: Patrizia Traverso

Lo scanner non fa più parte della tua ricerca ma di fatto resta come “rumore di fondo” nel tuo approccio all’arte in generale, sul confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è…
Esatto. Una volta entrati nel brodo dell’era digitale, ovvero, una volta assodato che nella società di cui facciamo parte è diventato sempre più complicato discernere il reale dalla finzione (ho una formazione pittorica, ho sempre avuto a che fare con la finzione), l’unica cosa che fa sembrare reale il reale è la scienza, intesa anche in senso filosofico, come conoscenza.
L’interesse verso la natura, lo sviluppo tecnologico dal punto di vista pragmatico, ingegneristico, la passione per la fisica e la chimica, l’antropologia, l’astronomia hanno accompagnato il mio lavoro, dandomi gli strumenti per fare arte in totale libertà, senza vincoli di alcun tipo. Il filo conduttore del mio lavoro è rintracciabile nella mia attitudine, e il “confine tra ciò che è reale e ciò che non lo è” è inevitabilmente e naturalmente coinvolto in ogni mia opera, perché è da lì che tutto ha avuto inizio. Il mio è un approccio entusiastico e istintivo e spesso mi sembra di andare fuori rotta, poi penso agli artisti che amo, che hanno fatto della poliedricità e dell’attitudine un linguaggio, rischiando spesso di uscire dalle dinamiche del mercato perché avulsi dal sistema, e sento di nuovo il vento in poppa.

Mauro Panichella, Il rituale dell’inatteso, UnimediaModern, 2020. Foto: Patrizia Traverso

Con un salto temporale arriviamo a Il rituale dell’inatteso…
Il rituale dell’inatteso è parte di un percorso iniziato nel 2011, anno in cui ho iniziato a lavorare con la galleria UnimediaModern e con Caterina Gualco. Da allora sono passate due mostre personali, ma anche molti progetti collettivi e collaborazioni. Il rapporto di scambio reciproco avuto con Caterina nel corso di questi anni è stato indubbiamente formativo. Un artista, d’altronde, non vive di questo? Si orienta grazie a punti di riferimento, che molto spesso sono persone che promuovono il suo lavoro perché ne sono sinceramente affascinate e nel quale credono profondamente. Credo che quando un rapporto professionale si estende ad un’amicizia autentica è perché c’è molto da condividere, a prescindere dalla differenza d’età. In questi anni ho avuto la fortuna di conoscere e collaborare con artisti incredibili, alcuni dei quali hanno a loro volta apprezzato e promosso il mio lavoro (penso al rapporto con Ben Vautier, Philip Corner, Ben Patterson) e grazie ai quali ho avuto l’opportunità di crescere. Il rituale dell’inatteso parla anche di questo: della danza di un artista alla ricerca di un posto nel mondo.

Mauro Panichella e Caterina Gualco durante l’opening della mostra, Il rituale dell’inatteso, UnimediaModern, Genova

Il tuo rapporto con UnimediaModern, con la sua storia e le sue collaborazioni artistiche, in ambito Fluxus e non solo, ha incrociato il tuo lavoro in alcuni episodi fondamentali…
Parlando di libertà di parola e di espressione, parliamo anche di arte. Sicuramente però, si può anche affermare che prima di Fluxus (se tralasciamo la figura avanguardista di Marcel Duchamp), l’arte non aveva ancora toccato la libertà assoluta. Lavorando con Caterina Gualco, ho avuto la fortuna di respirare l’atmosfera fluxus e di collaborare con alcuni artisti che sino a quel momento avevo solo studiato sui libri, e che non mi sarei mai immaginato di conoscere di persona. Tra le collaborazioni più felici e gratificanti c’è stata quella con Ben Vautier. Dopo averlo conosciuto a Nizza, nel 2012 mi invitò a Villa Arson in occasione di una retrospettiva dei suoi lavori performativi, per salire sul ring che aveva fatto costruire in una grande sala del museo. L’invito prevedeva che io facessi un’azione di 2’33’’ (citando e storpiando John Cage). Io non avevo assolutamente idea di cosa fare, tuttavia sapevo di non poter perdere quell’occasione, così decisi di creare una pagina web in cui era presente solamente il messaggio “the world is your oyster” (uno scaramantico “carpe diem” di radice shakespeariana). Ricavai quindi un codice QR collegato alla pagina e ne feci un cartellone che esposi sul ring per due minuti e trentatré secondi. I visitatori puntarono i loro smartphones su di me e Ben ne rimase affascinato. Le parole si componevano animandosi sugli schermi e lui, che è uno scaltro pensatore, mi propose di fare una mostra assieme. Fu l’inizio di un bellissimo progetto di collaborazione (ben&mauro.it), che ricordo con molto affetto e gratitudine.

Mauro Panichella, Il rituale dell’inatteso, UnimediaModern, 2020. Foto: Patrizia Traverso

Ci sono degli elementi ricorrenti nel tuo lavoro che tracciano, su una linea temporale lunga circa un decennio, un disegno, una composizione costellata di ritorni al passato e slanci verso il futuro… Penso al tuo consapevole rapporto con gli artisti concettuali, della Land Art o dell’Arte Povera. Penso al tema dell’identità che si confronta con le nuove tecnologie e con il concetto di virtualità, oggi metabolizzato, ma con cui, all’inizio, abbiamo dovuto fare i conti spingendoci in un territorio per lo più ignoto…
Assolutamente. Oggi è tutto metabolizzato, ma il percorso era già tracciato. Per fare un paragone con la Land Art: è come se nei primi anni 2000 ci fosse un solco e la mia intenzione era sbirciarvi dentro. Oggi quel solco è una voragine, talmente estesa da non percepirne più i bordi, e ci siamo dentro tutti. Ora che ci penso, probabilmente lo stesso pensiero è adattabile a innumerevoli periodi storici e estendibile in svariati ambiti. Guardare al futuro non è sufficiente per concepire qualcosa di nuovo. Studiando il lavoro di artisti come Luciano Fabro e avvicinandomi all’arte antropologica ho compreso che il passato contiene tutto ciò che ci serve, se lo osserviamo dalla prospettiva dell’uomo che guarda al futuro. Ho compreso che il + e il – si possono incontrare nella mente dell’artista.

Mauro Panichella, Ritorno al mondo reale (display), 2017

Il rituale dell’inatteso è “ambientato” nel giardino del tuo studio. L’elemento natura interagisce con te a livello personale, antropologico e performativo e rappresenta un tuo ritorno fisico sulla “scena”…
Erano molti anni che non lavoravo così apertamente sulla mia identità. Piantare in cerchio le otto costole di capodoglio è stato un gesto istintivo, assolutamente non prefissato, ma scaturito da tre anni di ricerche e pensieri. Ed è proprio questo gesto apparentemente inconsapevole che ha attivato quello che successivamente ho deciso di chiamare “il rituale dell’inatteso”. Dopo aver piantato le costole ho appeso con del semplice spago delle pietre che ho trovato fuori dal mio studio di Albissola, creando dei pendoli rudimentali. Poi è stato il tempo, inteso sia dal punto di vista del clima, sia dal punto di vista del suo scorrere, a contribuire. La pioggia, la neve e il vento sono intervenuti e io mi sono limitato a documentare ciò che la natura stava facendo. Dopo un anno esatto decisi di smontare il cerchio e mi resi conto che avevo “attivato” qualcosa che aveva a che fare con il rituale, ma non con la performance, e neanche con il culto. Sapevo di aver disposto le otto costole osservando i punti cardinali. Sapevo anche che ciò che avevo fatto era scaturito dagli studi e le ricerche svolte negli anni precedenti sui simboli e tradizioni popolari, e che avevo agito esattamente come agisce l’uomo da sempre: prende la misura di tutto ciò che lo circonda per dare senso al suo esistere.

Mauro Panichella, Fulgur, osso di capodoglio, neon, legno, fortezza vecchia, Livorno

Ritornare a volte implica il ritrovare. Ritrovare identità, storie, ricordi, oggetti… Sembra chiudersi un cerchio dall’opera Fulgur (2016) a Il rituale dell’inatteso (2019), opere entrambe legate al ritrovamento dei resti, sulle spiagge di Albissola Marina (SV), di quel capodoglio di cui parlavi…
La maggior parte dei miei lavori ha origine da un “ritrovamento”, e ogni oggetto ha una storia degna di essere raccontata. A volte è un oggetto che incontra casualmente il mio sguardo, come un minuscolo ciuffo di lattuga trovato per terra a Parigi (Lettuce Scantype), altre volte è un oggetto che mi viene donato o ceduto, come è accaduto con il cranio e le costole di capodoglio. Per un oggetto abbandonato, essere mutato in opera d’arte può davvero essere un “ritorno al mondo reale”. Nel 2017 diedi questo titolo alla mia prima mostra personale da Gian Marco Casini Gallery. Esposi una serie di scansioni fatte ad alcuni display di smartphones crepati. Quando il grande vetro di Duchamp si ruppe, lui dichiarò che per l’opera era stato come tornare al mondo reale: se attualizziamo questa considerazione e riflettiamo su quando abbia senso parlare di “realtà” nel mondo in cui viviamo oggi, il cerchio si chiude.

Mauro Panichella, Lettuce Scantype, Lambda print 2011

Mauro Panichella. Il rituale dell’inatteso
a cura di Sara Fontana
catalogo “Il rituale dell’inatteso”, edito da Sagep Editori Genova, con testi di Caterina Gualco, Gian Marco Casini, Marcello Frixione, Mauro Panichella e Sara Fontana.

1 febbraio – 14 marzo 2020

UnimediaModern Contemporary art

Piazza Invrea 5/b, Genova

Orari: da martedì a sabato 15.30-19.30
Altri orari su appuntamento

Info: info@unimediamodern.com
www.unimediamodern.it

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