ROMA | GALLERIA RICHTER FINE ART | 10 DICEMBRE 2019 – 24 GENNAIO 2020
di FRANCESCO PAOLO DEL RE
Fiore aperto fiore chiuso, il titolo della mostra di Maurizio Bongiovanni e Giulio Catelli alla galleria di Tommaso Richter di Roma, evoca una sequenzialità o la suggestione di un inventario che si impone nella distinzione, eppure il visitatore è invitato a unire ciò che è disgiunto e a osservare il giardino dei due pittori nell’insieme delle varie infiorescenze. Per farlo bisogna prima scendere al piano inferiore della galleria dove, su un grande foglio di carta sovrapposto alla parete, Bongiovanni e Catelli si sono messi a disegnare incendiati da un fuoco che in un’altra epoca si sarebbe definito sacro e che, riportato alla sua dimensione secolare e anche giocosa, è una viva testimonianza dell’importanza del disegno come lingua franca dell’arte, come grado zero dell’espressione, come collante tra esperienze diverse. Se tutto parte dal disegno, ecco un dialogo disegnato in cui le figure evocate dai pittori si incontrano, colloquiano e si sovrappongono, toccandosi fra loro fino a toccare lo spettatore. Con questo abbrivio, tutta la mostra è un discorso a due voci, un dialogo sul desiderio e l’identità, nel tentativo di definire per immagini una sensibilità queer.
Maurizio Bongiovanni (1979) presenta al pubblico tre ritratti, una scelta che dice molto della sua volontà di collocarsi in modo preciso tra passato e futuro, tra tradizione e innovazione e di eleggere a materia precipua della sua ricerca l’umano e la sua rappresentazione, le sue maschere e le sue illusioni, con un effetto specchio che moltiplica la potenza riflettente dello sguardo fino ad abbracciare una riflessione sul sé e sul noi.
Fiore, del 2019, realizzato appositamente per la mostra, è un ragazzo nudo, ammiccante, di una bellezza preraffaellita e dalla carnalità esplicita. L’eco classica sembra stonare con una certa abitudine che il nostro sguardo ha assunto nel guardare le fotografie di rapido consumo date in pasto ai social network e a cui il pittore consapevolmente allude. L’ecce homo di Bongiovanni è apparecchiato nella vetrina dei corpi offerti a un incontro al buio e la sua ambizione pittorica è mirata alla sapiente esasperazione di una passione che si consuma nell’attesa di essere consumata, in un volo di rovi che spariglia la corona di spine dei cristi che furono nella geometria scomposta di un giardino immaginifico e immaginario.
La stessa qualità fantasmatica e insieme sentimentale che andiamo descrivendo anima anche il ragazzo protagonista del dipinto Scary world theory (2019), che si manifesta in un turbinio di petali di fiori e reclama un’identità e una presenza che si fanno maschera teatrale, maquillage parossistico di un disordine esistenziale, di una vie en rose elegantemente stonata e dall’anima digitale. Sono sì corpi, quelli di Bongiovanni, ma fluidi, smaterializzati, ridotti a icona, gloriosi ed effimeri perché retroilluminati da un lampo precario. Virtualmente vivono e virtualmente nascono, se è vero che per l’artista la pittura vera e propria è successiva a un lavoro di meditazione e di progettazione digitale.
A completamento del trittico di questa umanità in divenire che Bongiovanni compone troviamo, definito come Untiteled, il ritratto di una donna barbuta realizzato dall’artista nel 2018. Non è un personaggio da circo, ma una figura a-gender che prende corpo in una tensione robotica che vede corpo e orpello fusi in un’altezzosa fantasmagoria.
Tanto sfaccettato e composito quanto aderente alla realtà è lo sguardo di Giulio Catelli (1982). L’erotismo è certamente uno dei motivi del suo interesse, sulla spinta di un desiderio che si manifesta per esempio in forma di piccoli ritratti acefali, nello sguardo che spia particolari e ruba porzioni di corpi di ragazzi intravisti in metropolitana. Catelli li ferma con uno schizzo veloce o con una fotografia e poi sviluppa i suoi appunti sulla tela.
Nascono così “Ginocchio” e “Stampella” (2019): un polpaccio piegato verso la coscia e l’ogiva di un paio di gambe aperte e fasciate dai jeans sono ipotesi di storie che forse non si svolgeranno mai e che avvincono per allusioni ed ellissi, per possibilità e omissioni. La pittura di Catelli queste avventure le racconta con la densità di un tocco e di un gesto che afferma e nega, dice e non dice, ambiguo e ondivago, reticente eppure loquace. La pittura è erotica nell’atto stesso del suo farsi, non nei soggetti rappresentati, e fa muovere l’immaginazione che lavora nello stesso lavorio del colore, della mano e del pennello. Il suo sguardo è sempre obliquo, la realtà per Catelli si fa leggere di sottecchi, come è proprio di chi osserva la vita di lato, di chi resta un passo indietro e non si mette mai in mezzo alle cose che racconta.
La sua ricerca insegue una spontaneità ineffabile, imprendibile, che si fa viva nelle minuzie che vogliono essere catturate, come accade per un paio di cuffie posate sull’erba o per i “Passeri dell’Isola Bella” (2019), nel ricordo di un viaggio estivo che si nutre di reminiscenze antiche e misura pienamente un sentimento della pittura che è aspirazione alla grazia, alla pienezza, alla leggerezza.
Leggerezza del tono, del tocco e del racconto. Che vibra di accenti ed echi, come il tabernacolo in movimento della Festa induista (2019) di Tor Pignattara osservata dalla finestra dello studio con palpitante ma distaccata partecipazione. Un’aspirazione di luce e un incantesimo di ombre lasciano respirare la superficie pittorica negli ampi brani che rimangono vuoti, perché tutto è già significante nello sguardo e nel modo in cui si posa sul mondo, nel taglio dell’inquadratura che non è mai diretto.
Così della Tenda di Piazza Vittorio (2018) leggiamo solo un lembo di stoffa appesa e per allusione e sottrazione intuiamo un dialogo fra ragazzi, un’euforia feroce del pomeriggio perduto e su cui non si può far presa.
Fiore Aperto Fiore Chiuso. Maurizio Bongiovanni e Giulio Catelli
Fino al 24 gennaio 2020
Galleria Richter Fine Art
vicolo del Curato 3, Roma
Info: +39 3400040862
info@galleriarichter.com
www.galleriarichter.com