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ROMA

di MARIA VITTORIA PINOTTI

Ci troviamo nel Rione Campo Marzio, laddove alle grandi arterie stradali del centro storico di Roma si alternano stretti vicoli lastricati da antichi san pietrini oramai scomposti. La luce del sole definisce le forme degli antichi palazzi testimoni di una città stratificata e custode di una memoria ancora pulsante di vita. A causa della pandemia, la città in cui non c’è traccia di turisti è dominio esclusivo dei pochi passanti, intenti a riscoprire i luoghi del centro storico splendenti di eterna bellezza. In questo ritratto cittadino, solo apparentemente desolato, la zona del Tridente, l’area urbana innervata sulle tre direttrici rettilinee che convergono verso Piazza del Popolo, pulsa di vita propria, placidamente immersa nei suoi silenzi e nei suoi rumori.

Litografia Bulla, veduta della stanza d’ingresso della stamperia di Via del Vantaggio n.2 di Roma, Ph. Alessandro Vasari, Courtesy Litografia Bulla

In una zona non molto lontano da piazza del Popolo, si trova Via del Vantaggio, dove sul bugnato del civico n.5 v’è una lapide marmorea che nel 1970 le Accademie di Belle Arti dell’Urss e quella di San Luca, d’intesa con il Comune di Roma, fecero apporre in ricordo del pittore russo Alessandro Ivanov (1806 – 1858) ove questi vi abitò. Sempre nell’Ottocento, poco più avanti al civico n. 2 della stessa strada, nel 1840 si trasferì Francesco Bulla, che aveva fondato il suo laboratorio litografico a Parigi nel 1818. Oggi la bottega dei Bulla esiste ancora ed è attualmente gestita dai fratelli Rosalba e Romolo Bulla e dalle figlie di quest’ultimo, Beatrice e Flaminia, che rispettivamente rappresentano la sesta e settima generazione di stampatori. Nel laboratorio artigianale si respira un’attività artistica di ancorata memoria, che comunque intende confrontarsi con una revisione sperimentale della pratica litografica. Tra le collaborazioni storiche della bottega devono annoverarsi artisti di gran vaglia che hanno fatto la storia dell’arte; tra l’altro, nel 2018, in occasione dei duecento anni di attività del laboratorio è stata organizzata una mostra commemorativa presso l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma.

Scorcio della Litografia Bulla e prova per un multiplo di Mimmo Paladino. Ph. Alessandro Vasari. Courtesy Litografia Bulla

Nell’attuale panorama dell’arte contemporanea l’artista mid-career, emergente o già affermato che sia, presenta una forma mentis plurale che gli consente di incrociare sensibilità collettiva e personale con un irrefrenabile impulso alla sperimentazione. Quest’atteggiamento, a dir poco audace, ha portato l’artista a stabilire un nuovo rapporto con la sfera téchne, da intendersi come espressione di un’azione umana che nasce nel legame tra scienza e potenza. Proprio da queste considerazioni è nata l’iniziativa delle due sorelle Bulla, denominata “Passaggi”, sviluppata con la collaborazione di artisti della loro generazione, in particolare nati negli anni Ottanta e Novanta, chiamati ad allestire con opere d’arte proprie la vetrina su strada che apre la veduta sull’antico centro di produzione. Ascoltando la concorde voce delle sorelle Beatrice e Flaminia Bulla entrambe affermano come: “l’idea di un allestimento in vetrina sia nato durante il lockdown quando i metodi di fruizione dell’arte stavano cambiando. Alterniamo una programmazione che espone lavori d’archivio ed altre opere litografiche inedite che vengono prodotte in stamperia assieme all’artista”.

Una veduta della mostra Qualquadra non cosa di Guglielmo Maggini e Delfina Scarpa, Courtesy Litografia Bulla

Sebbene l’iniziativa sia figlia del nostro secolo per ovvi motivi, giacché propone la fruizione dell’opera direttamente dalla strada venendo così incontro alla situazione pandemica che attualmente stiamo vivendo, in realtà il fulcro del progetto trova origine nella concezione platonica dello strumento tecnico. È proprio Platone che, nel suo Dialogo con Cratilo – in cui Socrate ed Ermogene discutono in forma dialogica sul significato della parola téchne –, chiarisce come questo termine emerga dall’espressione greca “Téchne deriza da héxis noû”, cioè la tecnica deriva da héxis nou, che significa essere padroni e saper disporre della propria mente.[1] Se si riconsidera la tecnica litografica alla luce delle considerazioni di Platone, trova fondamento l’ipotesi che tale espressione rappresenti una vera e propria forma d’arte, quale conoscenza teorico-pratica capace di produrre una personale visione del cosmo e delle cose.

La vetrina della Litografia Bulla dove sono allestite le mostre Passaggi. In vetrina gli artisti Guglielmo Maggini e Delfina Scarpa mentre allestiscono la mostra Qualquadra non cosa, Courtesy Litografia Bulla

È nel progetto Passaggi, ove la pratica litografica è chiamata a rivelare alcuni odierni segnali di forte cambiamento, che si manifestano nell’emersione collettiva in cui la tradizione, la sua memoria e le pratiche conseguenti diventano la forza trainante delle nuove sperimentazioni. Ascoltando la testimonianza delle Bulla, relativamente ai metodi avviati nel loro laboratorio, costoro hanno inteso indirizzare la tradizionale tecnica litografica verso nuovi confini. Ecco la loro voce: “tra le esperienze artigiane che abbiamo raccolto negli anni, di recente abbiamo sperimentato nuove norme litografiche in occasione della mostra Qualquadra non cosa con gli artisti Guglielmo Maggini e Delfina Scarpa”.

L’opera di Guglielmo Maggini e Delfina Scarpa, litografia su plexiglas e litografia a due colori su carta con polvere di madreperla, 2020, 21×27 cm, Courtesy Litografia Bulla

In particolare l’artista Guglielmo Maggini (Roma, 1992) nell’opera inedita prodotta assieme a Delfina Scarpa, attualmente esposta presso Spazio Taverna di Roma, ha proposto di utilizzare una sottile lastra in plexiglas, insolito materiale su cui riprodurre il disegno litografico. Tutto ciò nell’intento di spingere la tecnica a dialogare con la sperimentazione ma, soprattutto, secondo le parole di Maggini, per trovare “un accordo tra scultura e produzione grafica, nel fine di voler creare un’opera litografica dal carattere scultoreo, perché per me laddove c’è ombra c’è scultura”. Diversi sono stati i tentativi volti a perfezionare la chimica degli elementi per fissare i pigmenti sulla sottile lastra: alla fine l’opera si presenta come un ottimo compromesso per creare un lavoro litografico a quattro mani e su due livelli. Tale approccio sperimentale ha guidato anche l’artista Delfina Scarpa (Roma, 1993) la quale, a tal proposito, afferma di aver “disegnato direttamente sulla matrice litografica utilizzando una tecnica ad acquarello ed agendo con un tratto agile e veloce sulla pietra direttamente con le mani”.
C’è da chiedersi se questo tipo di tecnica presenti una sua ragion d’essere nell’esercizio artistico inteso come “segno indicale ed impulso allegorico”[2]. In questa ottica giova far cenno alla teoria secondo cui l’arte degli anni Settanta era contraddistinta da un segno dal “carattere indicale”, basti pensare alle opere di quel periodo di Vito Acconci e Bruce Nauman, secondo cui l’azione creativa dell’artista diventa una traccia sub o pre-simbolica che trova significato nel rapporto con il suo referente. Nella litografia proposta da Scarpa e Maggini avviene questo processo, l’immagine, infatti, affiora tramite la chimica dei reagenti secondo un gioco di segni indicali generati da un’azione fisica sul materiale chiamato a far emergere l’immagine-segno. È utile riportare un altro aspetto importante del progetto Passaggi, quello relativo alla produzione dell’opera direttamente nel laboratorio, con l’intento, secondo quanto detto dalle sorelle Bulla, di “lavorare assieme all’artista per avvicinarlo alla pratica litografica. Crediamo che un aspetto importante sia il rispetto del tempo creativo impiegato dall’artista per sviluppare la matrice. Se il lavoro si sviluppa in una settimana o in una ora, per noi è indifferente.”

La vetrina della Litografia Bulla con l’allestimento delle opere di Gianni Politi, Ph. Credit © Luis Do Rosario, Courtesy Litografia Bulla

Tutto questo ci rivela un’idea di tempo polverizzato, che non trova continuità con il procedere del mondo esterno, bensì calibrato sui ritmi delle fasi di realizzazione dell’opera. Gianni Politi (Roma, 1986), artista le cui opere sono attualmente esposte presso la vetrina, nel contesto di un progetto nato dalla collaborazione tra la Litografia e la galleria Lorcan O’Neill di Roma, afferma che “in bottega si lavora con dei tempi che sono assolutamente innovativi per me. Tempi lunghi ma che poi si accorciano perché forzati dal guizzo degli artigiani. In questo dialogo tra tempi si formano le immagini”.
Anche qui c’è una dissoluzione temporale volta a seguire i nuovi ritmi stabiliti dallo stato dell’opera, che si materializza come prodotto indicale, frutto di impulso allegorico, simbolico e segnico lasciato dal corpo. A conferma di ciò, Politi così racconta i lavori proposti nell’allestimento nella vetrina della bottega: “si tratta di una xilografia riportata su 6 fogli, ma anche una fotografia di uno scorpione e poi di colori e di forme e di gesti liberi, ma anche gesti controllati, pensati; sintomo di una irresponsabilità responsabile”. A dirla con lo stesso Politi le sue opere sono nate da una transizione dal segno verso l’immagine, secondo un’indagine personale, che hanno come punto d’inizio “mio padre, ora io. Ma prima di tutto un uomo. Con la barba, uno studio per un santo eseguito circa due secoli fa”.
In conclusione, presso la litografia Bulla si palpa la stratificazione del tempo attraverso le antiche matrici, ordinatamente catalogate nelle scaffalature e nei macchinari, i cui angoli consunti raccontano una realtà storica e leggendaria, tale da indurre una meravigliata riverenza per la sua rarità. È proprio l’artista Politi che, sollecitato a chiarire come si fosse rapportato con la realtà storica della Litografia Bulla, ci riferisce questa risposta, che consiglio di leggere chiudendo gli occhi ed immaginando di percorrere Via del Vantaggio verso il civico numero 2: “in punta di piedi, come cammino io per Roma; perché sono al cospetto della storia”.

[1] Umberto Galimberti, Psiche e techne, L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano, 2016, p.32
[2] Hal Foster, Il ritorno al reale, L’avanguardia alla fine del Novecento, Postmedia Books, 2006, Milano, pp. 91-93

Info: www.litografiabulla.com

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