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LUGANO (SVIZZERA) | Must Gallery | 25 ottobre – 27 novembre 2016

di MATTEO GALBIATI

Spesso il “tema” di una mostra che riunisce artisti differenti – anche se questi condividono analogie e affinità poetiche – viene tradito dal dialogo stesso che avviene tra le opere, quando, ad esempio, le singole identità prevalgono sulla lettura d’insieme attorno a quello spunto iniziale che le ha portate a disporsi una accanto all’altra in un progetto espositivo comune.
L’assenza di un’omogeneità finale d’intenti smentisce l’intenzione di esplorare il contenuto, magari anche impegnato e filosoficamente ed esteticamente interessante, di una possibile riflessione forte e complessa, elaborata e ricca di considerazioni. Insomma il “tema” si esaurisce nella pretestuosità dell’idea. La mostra Light into heavy, che vede protagonisti gli artisti Giulio Cassanelli (1979), Matteo Emery (1955) e Gianluca Quaglia (1978), riesce a non smentire le attese, non disattende la pienezza di significato e senso dei propri contenuti e conferma non solo l’intelligenza dell’analisi, ma anche la giusta sottolineatura delle singole personalità all’interno di una visone complessiva che saggia diversi e comuni punti sensibili nei loro interessi singoli e particolari.

Giulio Cassanelli, Inseparabili, 2016, sapone, pigmenti, plexiglass, gravità, 50x50 cm

Giulio Cassanelli, Inseparabili, 2016, sapone, pigmenti, plexiglass, gravità, 50×50 cm

Grazie alla precisa regia curatoriale di Antonio D’Amico e Francine Mury, i tre artisti condividono uno spazio che diventa ambiente di suggestione, poesia e fascino all’interno dell’analisi della compendiarietà di due concetti e due categorie, come quella di leggerezza e pesantezza, che, prescindendo anche per chi li osserva avendo una conoscenza piena dei loro lavori, apre una inedita finestra di comprensione dello spirito, dell’anima, di questo progetto.
Trovare la leggerezza nella pesantezza – ma anche il percorso inverso – diventa una sfida che, uscendo dalla retorica, qui sa toccare un punto di forte coinvolgimento che da visivo si fa intellettuale e filosofico: si riesce a percorrere, infatti, nelle sale della galleria ticinese, attraversando un allestimento preciso e accorto rispetto le corrispondenze e i richiami tra le opere esposte, un racconto, una dissertazione che non lascia immuni e indifferenti, ma, grazie proprio alla maturità delle ricerche dei tre protagonisti, affievolendo ogni diffidenza e scetticismo, cattura, coinvolge e, soprattutto, convince lo sguardo dell’osservatore lasciandolo ammirato e sorpreso.

Matteo Emery, Cell 1, 2013, light box, scultura effimera, ghiaccio, latex, 100x100 cm

Matteo Emery, Cell 1, 2013, light box, scultura effimera, ghiaccio, latex, 100×100 cm

L’evanescenza delle tracce cromatiche di Cassanelli, esito della deflagrazione di bolle di sapone cariche di colori e pigmenti, corrisponde a quella fisica tangibilità che troviamo nelle sculture di Emery che, concrete o impalpabili, spingono il valore dell’oggetto attraverso campi semantici diversi. Anche le carte di Quaglia, in cui l’artista lascia affiorare sul vetro dell’opera, quasi fosse polline, la traccia nera della grafite stessa, sono richiami a questa latenza trasformativa della realtà.
Abbiamo poi l’esplorazione della Natura, letta e vissuta come atto di generazione-distruzione, come artefazione e rappresentazione, tra il micro e il macrocosmo di relazioni tra entità diverse, dove l’invisibile si fa mezzo per la determinazione di quelle verità spazio-temporali diverse che ci circondano nella nostra vita.
Allora forme, colori, sentori, feromoni, metalli, carte intagliate, light-box, sono solo espedienti tecnici che, pur nei singoli percorsi di ricerca e nell’autonomia della scelta linguistica dei tre artisti, occorrono per rimaneggiare un concetto che credo sia prioritario: quello della invisibilità concreta della verità. Non ci sono dissimulazioni o virtuosismi estetici, ma ciascun lavoro – e di ciascun artista sono esposte serie e tipologie diverse di opere, segno della coerenza e aderenza alla “presenza” tematica – accoglie e manifesta il principio dell’imponderabile attraverso una manifestazione fisica, un atto reale che dal piano effimero trasferiscono qualcosa nella realtà del luogo e del tempo di chi osserva.

Gianluca Quaglia, Polvere, 2016, tavola botanica di inizio ‘900, grafite argentea, polvere di grafite, tavola 32x41.5 cm, cornice 73x85 cm

Gianluca Quaglia, Polvere, 2016, tavola botanica di inizio ‘900, grafite argentea, polvere di grafite, tavola 32×41.5 cm, cornice 73×85 cm

Non importa che sia segno, metafora, visione, corpo o idea, il leggero nel pesante pre-vede, in tutti e tre, un rapporto di causa-effetto che si accompagna alla determinazione di verità che, dal piano scientifico, toccano quello dell’estetica filosofica legata all’opera d’arte come mezzo per superare i confini stessi della rappresentazione che ad essa si accompagna.
Qui la trasparenza dell’incanto si trasforma, quasi coincidendo con essa, nella fisica concretezza della bellezza. Una bellezza che non ha bisogno di racconti, parole, spiegazioni, elucubrazioni, ma va vissuta semplicemente guardandola e lasciando sempre attivi tutti gli interrogativi che suscita.

Cassanelli, Emery, Quaglia. Light into heavy
a cura di Antonio D’Amico e Francine Mury
organizzazione e coordinamento Maria Ares Chillon e Gianni Cremona 

25 ottobre – 27 novembre 2017

Must Gallery
via Del Canvetto, Lugano (Svizzera)

Orari: solo su appuntamento

Info: +41 91 9702184
info@mustgalleriy.ch
www.mustgallery.ch

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