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NAPOLI | Museo Madre | Fino al 5 settembre 2022

di BEATRICE SALVATORE

Il Museo Madre grazie alla volontà della direttrice Kathryn Weir in collaborazione con l’archivio Carroll, presenta al pubblico una grande retrospettiva curata da Gianfranco Maraniello, dedicata al lavoro di Lawrence Carroll, artista di origini australiane, scomparso nel 2019, che ha scelto di vivere tra New York e l’Italia. La mostra presenta ottanta opere realizzate nel corso di oltre trent’anni (dal 1985 al 2019) tra pittura, installazioni e fotografia.
La città finalmente e il Museo Madre, hanno voluto raccogliere il lavoro corposo di questo artista inquieto che non ha mai smesso di ri-cercare, per creare un racconto unico ed unitario che si “sgrana” fra le stanze come pagine di un libro, un percorso da fare a passo lento attraverso piccolissimi segni da rintracciare su opere che ci avvolgono con la loro presenza enigmatica.

Veduta della mostra, Lawrence Carroll, courtesy museo Madre, Napoli. Foto: Amedeo Benestante

Il lavoro di Carroll appare al primo impatto come un’indagine puramente pittorica sulla monocromia, nei lavori dove il bianco domina e cattura la luce, ma camminando attraverso le stanze la sensazione è invece di totale riscrittura dello spazio che così sembra divenire parte dell’opera e l’opera stessa parte dello spazio, come se non ci fosse soluzione di continuità e addirittura noi potessimo entrare ed uscire dalle pareti attraverso porte immaginarie. Porte del tempo, della memoria, della nostalgia e della fugacità.
Ma l’artista va oltre. I suoi lavori appaiono come uno straordinario moto di svelamento/nascondimento, una irrequieta tensione tutta giocata sul supporto che è, direi, solo in apparenza un quadro.

Veduta della mostra Lawrence Carroll, courtesy museo Madre, Napoli. Foto: Amedeo Benestante

Soffermandosi infatti, si avverte la sensazione che proprio l’opera stessa sembri non esistere in sé, divenendo una sorta di oggetto-chimera inseguito dall’artista lavoro dopo lavoro e mostrando piuttosto un “desiderio di arte”; Carroll sembra voler arrivare al grado zero della pittura, fermarsi sulla soglia del processo artistico, in quel preciso istante in cui tutto, dal foglio o dalla tela bianca ha inizio, lì comincia l’inquietudine o vi si riposa: in Untitled ad esempio, lavoro realizzato tra il 1997 e il 1998, il quadro è composto da piccoli frammenti di tela cuciti con punti metallici, il bianco cercato è sporco, attraversato da tracce in filigrana, eppure nudo, pronto ad accogliere, a “significare” altro.
È il processo dunque che interessa a Carroll, il tormento della creazione, del segno o del gesto puro. La tela diviene così un luogo mobile, attraversato da tagli, buchi, cicatrici, ricordi che affiorano (emergono dal bianco in alcuni lavori monocromi tracce di giornale o di fotografie), sporcato dalla polvere e dalle imperfezioni, in cui l’artista si identifica, registrandone ogni vibrazione.

“Cercai un colore che fosse il più possibile simile a quello della tela e cominciai semplicemente a stenderlo, così da cancellare, in qualche modo, me stesso. Volevo creare un nuovo luogo per ricominciare. Volevo iniziare di nuovo, in un modo diverso.”

E nell’evidenziare questo, lo stesso artista scompare, non è più autore, non lascia il suo segno ma si sottrae, si nasconde, lascia emergere ed intravedere solo le tracce del tempo, le sue stratificazioni e forse la nostalgia, delicata e trasparente come cera.

Lawrence Carroll, Closet,1994-2003. Veduta della mostra, courtesy museo Madre, Napoli. Foto: Amedeo Benestante

La caducità e il desiderio di poter fermare il tempo (e lo spazio) entrando nel suo processo, nel suo flusso è evidente in opere come Closet, una sorta di bacheca, di archivio di oggetti significativi per l’artista, racchiusi in piccole teche, una scatola della memoria che si apre a noi come una porta misteriosa, o negli affascinanti lavori dove Carroll “ferma” il ghiaccio che avvolge gli oggetti in un tempo ciclico e perpetuo, come in Untitled (Freezing Boots), opera dedicata all’amico Robert Rauschenberg dove una patina di ghiaccio perpetua, grazie ad un motorino interno, avvolge delle scarpe di montagna consumate dall’uso.

Lawrence Carroll, Untitled (Freezing Boots), 2006. Veduta della mostra, courtesy museo Madre, Napoli. Foto: Amedeo Benestante

Fa parte dei più recenti lavori una delicatissima serie di fotografie, che sembrano racchiudere in una nuova sintesi formale tutta la poetica di Carroll: fiori appassiti, piccole concrezioni di ghiaccio, boschi immersi nella nebbia, immagini poetiche e fragili, spesso attraversate da una spessa linea nera di smalto e rappresentate come dietro vetri opachi e graffiati, che ne nascondono la nitidezza regalando una patina di velluto e di distanza alle cose.
“Alla fine il quadro ha preso qualcosa da me. Ciò che è ora vive nel quadro e quel quadro ora vive fuori di me”.

Lawrence Carroll “Snowball”(2019), AP, Edition of 5

Lawrence Carroll
a cura di Gianfranco Maraniello

25 marzo – 5 settembre 2022

museo Madre
Via Settembrini 79, Napoli

Info: +39 081 19528498
info@madrenapoli.it
www.madrenapoli.it

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