MILANO | Galleria San Fedele – Spazio Aperto San Fedele | 20 gennaio – 25 febbraio 2017
di KEVIN McMANUS
Prosegue una delle nuove iniziative ricorrenti della Galleria San Fedele, la serie di mostre personali dedicate ad artisti giovani ma non troppo (per lo più over-35) che hanno avuto una presenza significativa nella storia del Premio San Fedele dalla sua ripresa di inizio millennio ad oggi.
In questo caso, lo Spazio Aperto San Fedele (spazio del foyer del teatro-cinema), con la sua articolazione logistica complessa e stimolante, ospita Giorgio Tentolini, protagonista di alcune notevoli partecipazioni al premio negli anni passati, e artista capace di affermarsi nel panorama odierno con una ricerca rigorosa, inventiva e personale. Nella piccola rassegna, curata da Matteo Galbiati e costituita interamente da opere realizzate ad hoc, appare evidente fin dal primo sguardo il carattere di fondo di Tentolini: un’umiltà che non scade mai nell’impersonalità; oppure, se vogliamo capovolgere il concetto, una spiccata individualità che non scade mai nell’affermazione di un “marchio di fabbrica” furbescamente moltiplicabile.
Ogni artista vive di un’ossessione, anche piccola, e quella di Tentolini, forse inconscia, ha qualcosa a che fare con il vuoto, con il levare. Con quest’ultimo termine non intendo solamente rievocare la pratica della scultura “in negativo”, consacrata dalla poetica michelangiolesca, ma soprattutto chiamare in causa il ritmo metrico della musica. Si tratta, certo, di un riferimento empatico, più che strutturale, all’accento posto, visivamente, sulla parte debole della superficie lavorata. In questo senso, l’artista attraversa più volte, e a senso alternato, i confini tra i vari mezzi espressivi.
Come detto più volte, la storia della decostruzione di questi confini è ampia e variegata, e numerosi sono oggi gli artisti che ne sfruttano, anche in modi estremamente efficaci, le conseguenze. Il caso di Tentolini mi sembra però di particolare interesse, poiché qui il rapporto tra i mezzi è posto come problema, e ciò che delle tecniche tradizionali rimane è fatto risuonare nei vuoti creati appunto dal “levare”.
Il titolo della mostra, Iconoclastie, richiama appunto a questa pienezza del vuoto (o positività del negativo): l’artista si concentra su alcuni fenomeni di distruzione dell’immagine da parte di agenti umani (i nazisti, Daesh, i Talebani, la censura) o naturali (il tempo che logora, le calamità). Se è vero, come sostiene W.J.T. Mitchell, che la vera iconosclastia è in realtà una forma di idolatria – l’esaltazione dell’immagine della distruzione, o di quella del contesto violato dall’assenza – Tentolini svuota con semplicità disarmante proprio l’elemento spettacolare, iconico della distruzione, che sia essa o meno progettata come nuova immagine.
I “vuoti” delle raffinatissime carte Iconoclaste, ad esempio, recuperano il respiro dell’immagine distrutta e al tempo stesso riescono a negare lo statuto di immagine completa, “risolta” alla foto di partenza, che ritrae il gesto iconoclasta: a vincere, nella forza del primario contrasto di vuoto e pieno, che qui diventa nero e bianco, è l’immagine della statua, quella capace di esercitare una tale forza sull’osservatore da “meritarsi” la distruzione. Così che pur nella perdita del corpo dell’opera, del suo valore materiale, quello di “testimonianza di civiltà” (come recita il nostro codice dei beni culturali) rimane perpetuato, pur nella fragilità del materiale e nella minimalità del gesto di ritaglio. Nel concentrarsi sulla scomparsa dell’immagine, insomma, Tentolini sembra quasi riconoscervi la sopravvivenza di un’anima, che è a sua volta immagine, ma immagine, appunto, in levare, immagine che nel vuoto trova quell’eternità che il pieno, fatto com’è di particelle di materia, non può garantirle.
Così le strisce di carta passata al tritacarte che compongono Reduci vanno a costituire la struttura fragile, penetrabile di un fantasma, mentre le Incongrue, “ombre” delle opere di Pontormo per San Lorenzo distrutte dalla censura ecclesiastica nel ‘700, realizzate con la tecnica più collaudata di Tentolini (la sovrapposizione di strati di fibra) a partire da schizzi preparatori, tramandano ai posteri un documento impossibile, per il quale la mediazione è talmente preponderante da minacciare la visibilità stessa del contenuto, che così trova però nuova vita dopo la morte.
Come in tutte le mostre nel foyer, gli spazi offrono un’ambientazione rigorosa e ben scandita, e un dialogo fertile tra le opere, la cui biancheggiante eleganza emerge in tutta la sua poesia.
Giorgio Tentolini. Iconoclastie
a cura di Matteo Galbiati
20 gennaio – 25 febbraio 2017
Spazio Aperto San Fedele
Galleria San Fedele
via Hoepli 3/A, Milano
Orario: da martedì a sabato 16.00-19.00; la mattina su appuntamento
Info: +39 02 86352233
sanfedelearte@sanfedele.net
www.centrosanfedele.net