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ROMA | CASA VUOTA | FINO AL 31 MAGGIO 2022

Intervista a GIULIA CIAPPI e MARCO FRASSINELLI (duo Mozzarella Light) di Beatrice Conte

Nella cornice popolare del quartiere Quadraro di Roma, Casa Vuota assume un valore alchemico che ci riappropria dell’incedere poetico dell’arte, inducendoci ad un’azione meditativa per cui ci si spoglia del consueto sommario artistico e si torna a vivere e sentire il percorso espositivo.
Realizzato per Casa Vuota dal duo Mozzarella Light, DOMOVOI è un progetto installativo site-specific dalle forme mutevoli, una proposta visivo-sonora che sfrutta la tecnologia per dar luogo a un gioco di luci che vive e interagisce con lo spazio. Focus del lavoro è percepire questo spazio, che restituisce allo spettatore stimoli uditivi e visivi ponendolo al centro ed al di fuori dell’opera. Ci si muove come ospiti silenziosi, rimanendo spettatori di un dialogo tra le parti iridescenti e meccaniche che compongono l’installazione, dominate da regole proprie e sostenute da una membrana traslucida che, posta al centro delle due regioni espositive, fa da innesto nodale all’intero sistema allestitivo.

Mozzarella Light, Domovoi a Casa Vuota, 2022, installation view, foto di Benjamin Messina

Casa Vuota nasce all’interno di un ambiente domestico che trova la propria semantica nei segni del tempo, tracce come ombre e lingue di polvere che Francesco Paolo Del Re e Sabino de Nichilo hanno scientemente scelto di conservare per attivare una riflessione conoscitiva attorno al luogo. Come avete sfruttato questa caratteristica, cioè, quale dialogo avete scelto di costruire tra l’opera e lo spazio?
Entrare a Casa Vuota è stata la nostra possibilità di vedere realizzato un progetto a cui, idealmente, lavoravamo da molto tempo, e in questo Francesco e Sabino hanno colto la sfida di portare in superficie tanti elementi del nostro immaginario che, per diversi motivi, non abbiamo avuto l’opportunità di concretizzare prima di oggi.
Il disegno espositivo ha richiesto una fase preliminare, durante la quale abbiamo abitato lo spazio, sperimentato e compreso come questo avrebbe risposto alle nostre creazioni, e osservato e studiato la rifrazione della luce e i piani cromatici di appoggio che la casa ci offriva. Il colore, come la luce, per noi è un elemento che fa da collante all’interno delle installazioni. Nella fattispecie, le due stanze attraverso cui si articola il percorso hanno due temperature cromatiche differenti, una più fredda e una più calda, a cui sono state associate rispettivamente una luce blu ed una verde, verde come le foglie di glicine ricamate sulla carta da parati.
Nel primo ambiente, notiamo come i laser delimitino un volume che ripropone, in scala più piccola, il perimetro della stanza. E le protesi da cui generano i laser sono ancorate, nel primo come nel secondo ambiente, allo scheletro della casa, calibrate affinché si generi un gioco di luci e di specchi tale da evidenziare le tracce del tempo lasciate sulle pareti, o puntellare il soffitto di corpi lucenti che disegnano costellazioni incostanti. Nella seconda stanza, i vuoti lasciati dalle vecchie applique o dai vecchi lampadari, sono stati sfruttati per far triangolare i laser, ponderandoli per “attivare” il cuore di Casa Vuota, che è un’ombra lasciata sul muro dal cavo di un telefono. Si tratta di cinquant’anni di risposte telefoniche, non un semplice lascito, bensì una vera e propria memoria del tempo trascorso. Ed è questo il cuore, il procedere poetico di questo spazio, il pensare il nostro viaggio tra fare installativo, scultoreo, meditativo e provocatorio in Casa Vuota.

Mozzarella Light, Domovoi a Casa Vuota, 2022, installation view, foto di Benjamin Messina

Il progetto espositivo DOMOVOI segue una struttura coattiva di regole da voi codificate, che permettono al visitatore di abitare l’esposizione con la premura che si richiede a un ospite. Ma come nasce la visione di introdurre l’uomo all’interno dello spazio in una misura che lo rende, allo stesso tempo, attivo e passivo rispetto alle azioni dei personaggi che competono alla installazione?
Il primo avvicinamento a questa dinamica espositiva ci è stato suggerito in modo particolarmente curioso e spontaneo, lo stesso che ha poi ispirato il nome della mostra. I Domovoi, nelle credenze popolari dei paesi slavi, sono piccole creature invisibili che vivono in una casa e proteggono il luogo che abitano. Presiedono l’unità familiare che la dimora ospita, come se ne fossero i custodi. Questo racconto è arrivato a noi in un momento in cui stavamo cercando di disegnare il progetto espositivo per Casa Vuota, in un giorno qualunque. Abbiamo fatto una pausa per prendere un caffè e abbiamo incontrato un uomo originario dell’est Europa. L’uomo si è interessato a noi, al nostro lavoro, e ci siamo trovati a raccontargli della mostra. Allora lui, come un augurio, ci ha suggerito di ingraziarci gli spiriti della casa, i Domovoi, per la buona riuscita del lavoro. Abbiamo dunque aperto la mostra omaggiando queste creature e invitando chiunque entrasse a fare altrettanto. Il visitatore deve sentirsi ospite e, in queste vesti, avere cura di muoversi nello spazio con cautela. Uno spazio autonomo, che per certi aspetti prescinde anche da noi, regolato dai tempi di interruzione della luce e dalla presenza di fasci laser e sculture cinetiche che impongono allo spettatore un’azione di consapevolezza mirata a se stesso, attraverso l’esperienza della mostra. Chi muove i suoi passi per la prima volta all’interno di Casa Vuota è messo di fronte a queste regole all’apparenza coercitive, alle quali dobbiamo sottostare anche noi che ne siamo gli autori. Ci stimolava l’idea che il visitatore si sentisse testimone delle dinamiche domestiche che governano l’installazione. DOMOVOI dona alla casa una propria personale atmosfera. Lo spettatore entra in relazione con questa atmosfera accettando e rispettando lo spazio e le sue norme. Attraverso il rispetto di poche semplici regole imponiamo una dimensione di attesa, un incedere scandito del tempo, in una progressione di azioni che hanno in sé un sentimento verso il luogo che è quasi religioso.

La narrazione intessuta negli ambienti della mostra, incalza al goffo ritmo dei suoi robotici abitanti che, febbricitanti e non senza ostacoli, muovono imponendo la loro presenza attraverso l’eco dei propri rumori. Figure che in sé conservano la dicotomia dell’utile e dell’obsoleto, che generano un sentimento simile alla compassione ribaltando il naturale modello di incorruttibilità tecnologica. Perché questo aspetto, come sono nate queste creature digitali?
Noi le chiamiamo “tecnologie patetiche”, dato il loro aspetto un po’ claudicante. Abbiamo attribuito un handicap a queste presenze robotiche perché fossero più incisive. Un rumore, un suono che si ripeta, sempre uguale a se stesso, tende a sottrarsi dallo spazio anziché addizionarsi. In un visitatore che ascolti l’incedere di uno stesso ritmo regolare, la suggestione evocata cessa una volta presa confidenza con esso. Invece, quello che noi vogliamo creare è una partecipazione non solo fisica ma anche mentale ed emotiva del visitatore alla mostra, e questa partecipazione nasce dall’imperfezione. La generiamo a partire dal cambiamento, un rumore in sospeso, una ritmica che muta anche per noi, perché in concreto non siamo in grado di prevedere il procedere di questi personaggi robotici. Questa imprevedibilità accresce il nostro rapporto emozionale con l’opera, che ora vive e respira da sola, trasformando anche noi in spettatori che, con sempre rinnovato stupore, attendono che l’opera ci mostri tutti i suoi volti.
D’altra parte, inserire nello spazio una presenza sonora che si lasci ascoltare nei momenti di buio, concede al visitatore di riconoscere qualcosa che gli sia familiare, di non sentirsi smarrito durante le sospensioni luminose. E nell’alternanza dei momenti di luce e oscurità, si presta maggiore attenzione all’ambiente stesso. Secondo lo stesso principio, abbiamo costruito i nostri robot dando loro un corpo di specchi. Volevamo che anche loro avessero una caratteristica riflessiva rispetto al luogo entro cui sono inseriti di modo che, con il movimento e le loro superfici riflettenti, andassero a modificare lo spazio di volta in volta.
Qui, a Casa Vuota, possiamo affermare di aver sperimentato le nostre tecnologie più pulite, specie nella prima stanza espositiva in cui, lasciate immobili, operano unicamente per mezzo del principio di rifrazione della luce e di riflessione dello spazio. Nella seconda stanza, invece, abbiamo messo in scena quel teatro del ridicolo che gli attribuisce il nome di “tecnologie patetiche”, un aspetto che ricorre molto spesso nei nostri lavori. In questo filone di ricerca, i movimenti delle sculture cinetiche vengono portati all’esasperazione, come prendessero il sopravvento su di noi, lasciandosi governare dal luogo che le ospita. Questo rappresenta un grande motore creativo per noi perché, come dicevamo prima, ci rende al contempo autori e spettatori della nostra opera. I nostri robot sono opere tecnicamente complesse, ciononostante il margine di imprevedibilità del loro funzionamento ci rende testimoni della loro performance, ancor prima che protagonisti.

Mozzarella Light, Domovoi a Casa Vuota, 2022, installation view, foto di Benjamin Messina

Un elemento, quello della membrana, che è anche significativo della vostra riconoscibilità artistica, fa da vincolo al circuito narrativo. Tutta l’esposizione appare come una storia intima che è come una danza, condotta proprio da questo ingrediente traslucido. Vorrei approfondire con voi la sua presenza in mostra.
Tutta la nostra produzione si fonda sulla luce. Nella mostra di Casa Vuota centrale in questo senso è la membrana, che può essere considerata un’installazione o una scultura. La nostra membrana fa filtrare la luce e la assorbe. Nel contesto di Casa Vuota, il modo in cui la membrana interagisce con la luce dona alla carta da parati dell’appartamento un riflesso madreperlaceo che riconduce le pareti stesse all’aspetto “membranoso” di questa pellicola. Solitamente, questa superficie viscosa, dopo essere stata prodotta, viene stesa su dei vetri e lì lasciata per un po’ di tempo, in modo che possa immagazzinare la luce del sole. Solo dopo la esponiamo, affidando a essa una vera e propria memoria luminosa. A Casa Vuota, a seconda della sua tenue esposizione al giorno, la nostra membrana proietta sul muro una mappa dalle sembianze cristalline, disegnando delle crepe simili a quelle possedute dall’intonaco della dimora, a conferma dell’innesto poetico che scandisce il rapporto tra l’opera e Casa Vuota.

E come è nato questo interessamento profondo per l’elemento luce, comune ad entrambi voi che avete, nel vostro specifico, seguito percorsi all’origine differenti?
Molto spontaneamente. La luce ha accomunato il nostro primo progetto insieme, quando ancora non sapevamo che saremmo diventati un duo creativo. Ci attrae la sua natura immateriale, benché sia un elemento molto presente, e ci affascina la sua capacità di plasmare lo spazio. Il nostro primo progetto aveva l’ambizione di trasformare dei luoghi abbandonati, che proprio per il loro stato di abbandono richiedevano di introdursi al loro interno con cautela, di non essere invadenti. La luce è stato il mezzo che ha risposto a questa esigenza. Il progetto – del 2019 – si chiamava “Spazi intermedi”: lavoravamo con fasci cromatici proiettati all’interno degli ambienti, allo scopo di modificare il colore delle preesistenze e quindi l’intera percezione dello spazio. A partire da questa prima esperienza, il nostro lavoro insieme è nato sulla spinta dell’infinito potenziale della luce, grazie alla quale la specificità del luogo diventa parte integrante del nostro progetto. Ogni nuovo intervento che facciamo viene studiato rispetto a ciò che ha intorno, per cui ogni elemento tira l’altro a sé e viceversa. Anche quando il progetto non nasce in modo site-specific, poi si va necessariamente a modellare sullo spazio e in questo modo a modificarsi e a modificarlo.

Mozzarella Light, Domovoi a Casa Vuota, 2022, installation view, foto di Benjamin Messina

Vorrei dare luogo, in ultimo, a una riflessione attorno al nome del duo artistico, Mozzarella Light. Come è nato?
Questo nome, come tutto il nostro procedere insieme, è venuto spontaneamente. Una sera, mentre eravamo a tavola con degli amici, dibattevamo su come ci saremmo presentati al pubblico. Casualmente abbiamo letto su un cartone la scritta “mozzarella light”. L’intesa che ci ha visto coinvolti sotto quel titolo trovato casualmente è stata immediata e anche l’espressione di una certa ironia che appartiene al nostro approccio artistico. Da subito ci siamo rapportati al nome come a una provocazione. Lanciata agli addetti ai lavori, difatti, ha riscosso le criticità che immaginavamo. Ma ci sentiamo comodi in questo nome così inconsueto per un progetto artistico. È per noi la scelta giusta, e anzi l’unica possibile al momento. E ci identifica: Mozzarella Light. Un nome che, per casualità o per coerenza, contiene al suo interno la parola “luce”. Siamo noi al cento per cento.

Mozzarella Light. DOMOVOI
a cura di Francesco Paolo Del Re | Sabino de Nichilo

8 aprile – 31 maggio 2022

CASA VUOTA
via Maia 12, int. 4A, Roma

orari: visitabile su appuntamento | INGRESSO GRATUITO
Info
: +39 392 8918793 | +39 328 4615638
vuotacasa@gmail.com

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