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VERONA | La Giarina Arte Contemporanea | 11 giugno – 24 settembre 2022

Nell’anno del centenario della nascita di Vasco Bendini (Bologna 1922 – Roma 2015) La Giarina Arte Contemporanea intende rendergli omaggio con una mostra, La materia del silenzio, a cura di Valerio Dehò, che ripercorre attraverso una selezione di opere significative la sua intensa attività artistica dagli anni Cinquanta agli anni Duemila.

Vasco Bendini, Quando ce n’è tre è notte, 1969, paglia, colla e olio su tela 80x65cm

L’intera opera di Vasco Bendini è stata studiata e seguita soprattutto negli anni ‘50-‘70 dai critici d’arte più importanti del periodo. Si può dire che la sua “fortuna critica” sia di valore eccezionale se non unico. Il rischio di ripetersi nello scrivere oggi di uno dei più grandi artisti italiani del Novecento, è abbastanza facile, ma la lettura del suo lavoro merita considerazioni che riescano anche ad uscire dalle insidie della diacronia. Ragionare attorno al suo lavoro in termini relativi e non assoluti, è un errore che non ha senso percorrere. Per questo riprendendo alcune motivazioni che vanno da Calvesi, sicuramente il critico che lo ha compreso subito, fino a Bruno Corà in tempi recenti, è sorprendente come la poetica di Vasco Bendini sia rimasta una sorta di oggetto misterioso, un’opera aperta, che non ha mai voluto rivelarsi a soluzioni sicure, a letture definitive. Ciò denota da un lato l’impermeabilità del lavoro a soluzioni definitorie, dall’altro anche il diverso approccio verso l’Informale, inteso in senso lato come aniconicità o Art autre o Informel o Non figurative art, che ancora resta un problema storiografico aperto.
Si vuole affermare che Vasco Bendini è stato un artista che si è posto il problema dell’espressione, del diaframma tra il nulla e la materia, della gestualità come presenza dell’atto del dipingere anche senza gli strumenti tradizionali della pittura. La sua opera è un crocevia di esperienze, ha vissuto e rivissuto le esperienze dell’Informale internazionale e del post-Informale, come un campo invaso dalle erbe che periodicamente bisogna bonificare per renderlo di nuovo fertile e per farlo crescere.

Vasco Bendini, S.T., 1958, tempera su tela 120x80cm

Vasco Bendini di per sé non ha limiti. La sua pittura tende a ricoprire il mondo e a impossessarsene. Nessun sapere potrebbe resisterle e opporsi. Da elemento di espressione e di liberazione, può eccedere ogni limite e proporsi come una costruzione dell’universo, come riproposizione del magma originario o elemento di affioramento di una coscienza estetica. Per questo il coinvolgimento delle sue opere ha bisogno dell’immersione in un liquido creativo in cui ritemprarsi e forse rinascere. Affiora l’esperienza del Sublime, la si percepisce come emozione che ci pervade e stordisce. La profondità è un risalire nella scala temporale, cercare di immergersi nella pittura per trovare il senso dell’origine, il punto di inizio di una scelta individuale che si riflette nell’essenza stessa del dipingere al di là delle tecniche e dei linguaggi. L’espressione come limite dell’Io e nello stesso tempo come cominciamento di un’avventura estetica che è condivisione, squarcio, apertura dell’Io agli altri e al mondo. (Valerio Dehò)

Vasco Bendini, Dalla serie Gesto e materia 1970, polimaterico su tela 120x90cm

A corredo della mostra, in galleria, il catalogo edito da Vanillaedizioni.

Vasco Bendini (Bologna, 27 Febbraio 1922 – Roma, 31 gennaio 2015)
Il 1922 è il mio anno di nascita. Avevo diciassette anni quando è iniziata la seconda guerra mondiale e ne avevo ventitré quando, il 6 agosto, un bombardiere americano sganciava la prima bomba atomica su Hiroshima. Dal ’49 al ’55 abbiamo subito gli effetti negativi della “guerra fredda”: la pace era affidata a bombe nucleari trasportate da aerei speciali o assegnata a missili intercontinentali installati su sottomarini a propulsione nucleare. Sui giornali si leggeva che sarebbero stati sufficienti dieci minuti di attesa per il lancio della nuova bomba H e nel ’66 i tempi per la distruzione dell’umanità si ridussero a quei due minuti che divennero il titolo di una mia opera, realizzata il 24 marzo 1966. Nel 1956 carri armati russi invasero l’Ungheria e nel ’68 la Cecoslovacchia. In particolare, nel 1968, mi colpì l’uscita, a Praga, del Manifesto delle Duemila Parole, voluto da numerosi intellettuali ansiosi di realizzare un vero processo di liberalizzazione a cui idealmente aderii con l’esecuzione di una mia opera intitolata appunto Duemila parole. Avevo cinquantun anni quando scoppiò il caso Allende, che fu ammazzato mentre difendeva con le armi in pugno la libertà del popolo cileno, sacrificata agli interessi degli USA, e nacque nel 1973 Un giaciglio per Allende. E poi c’è stata la lunga e tragica guerra del Vietnam, seguita nel 1979 dall’aggressione sovietica all’Afghanistan, per non parlare del conflitto arabo-israeliano, dell’11 settembre 2001 e della guerra in Iraq. Non dimentico neanche l’ultima, drammatica e disumana risoluzione di erigere sul nostro pianeta oltre quindicimila chilometri di barriere di separazione tra i popoli. Questi i fatti. Impossibile non smarrirsi. In questi frangenti nascono i miei neri: canti della notte, matrice di speranza. E sorgono i miei bianchi, naturali immagini di attesa. (Vasco Bendini)

Vasco Bendini, Dalla serie L’immagine accolta, 2006, olio su tela
59x69cm


Vasco Bendini. La materia del silenzio

a cura di Valerio Dehò

Catalogo Vanillaedizioni

11 giugno – 24 settembre 2022
Inaugurazione sabato 11 giugno ore 17.00-20.00

La Giarina Arte Contemporanea
Via Interrato Acqua Morta 82, Verona

Info: +39 045 8032316
info@lagiarina.it
http://www.lagiarina.it/

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