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Silvia Bigi da Milano

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Sicuramente i miei tempi, di solito molto serrati, si sono dilatati. Anche se ho sempre l’impressione che le ore volino, ho tentato di concedermi, al di là del lavoro vero e proprio, spazi di contemplazione, di ricerca, di pensiero. Ho elaborato testi e rivisto progetti lasciati in sospeso, ho ripreso letture importanti e per troppo tempo accantonate, come “Lo spettatore emancipato” di Jacques Rancière, “Il Capitale” di Marx e alcuni saggi di Jung, che, oltre a dimostrarsi ottimi alleati nella mia ricerca, mi stanno fornendo strumenti per comprendere meglio il tempo presente.

Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Vivo a Milano, nel quartiere Isola, e (posso dire ora) fortunatamente il mio studio è la mia casa. Forse per questo la mia routine lavorativa non è cambiata molto. Lo studio affaccia sulla corte interna in una vecchia casa di ringhiera milanese, un micro-universo con i suoi colori, odori e suoni. Gli sguardi inevitabilmente si incontrano, si condividono momenti e brevi chiacchiere, per poi tornare ognuno alla propria vita. Nel palazzo vivono molti artisti, amici con cui il confronto è attivo e costante. In più, condivido l’appartamento con mio marito, Luca Maria Baldini, anche lui artista: musicista e sound artist. L’arte pervade dunque i nostri spazi 24 ore al giorno, così come il confronto, l’ascolto, lo stimolo reciproco. Se questa casa prima era il centro della mia pratica artistica, ora è tutto il mio mondo. Pensavo che avrei provato insofferenza per i piccoli spazi condivisi e, invece, sembra che ogni giorno si amplino un poco, per fare spazio a strategie e intuizioni. Ciò di cui sento veramente la mancanza, oltre al respirare all’aria aperta, è la natura, in particolare la montagna.

Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Ci penso spesso e nonostante l’immaginazione stia correndo pericolosamente su questi temi, a volte prefigurando scenari apocalittici e altre veicolate da un pensiero resiliente e ottimista, ho percepito quasi subito che nulla sarebbe più stato come prima. Siamo di fronte ad una profonda e radicale trasformazione del mondo per come lo conosciamo. Credo più profonda di quel che vogliamo credere e accettare in questo momento. Come artisti abbiamo il compito di prepararci, ma anche di preparare, lasciando intravedere soglie, piccole incrinature del reale che possano essere occasioni di rigenerazione del pensiero, o persino vero e proprio mutamento percettivo. Personalmente, non ho paura di dover affrontare un nuovo mondo: ciò che temo di più è il profondo attaccamento a ciò che è stato, al mondo per come l’ho conosciuto fino ad oggi.

Silvia Bigi (Ravenna, 1985), è laureata al Dams di Bologna. Attraverso l’utilizzo di diversi linguaggi – fotografia, installazione, scultura, suono, video, tessile – il suo lavoro esplora la relazione fra memorie individuali e collettive e insieme l’impatto che ideologie e sovrastrutture hanno sulla nostra realtà. Le sue opere, oggi parte di collezioni pubbliche e private, sono state premiate nonché selezionate per importanti esposizioni, tra cui la mostra Engaged, active, aware: women’s perspective now, vincitrice del Lucie Award Best Exhibition nel 2018. Il suo ultimo lavoro, From Dust you came (and to dust you shall return), è stato presentato alla MLZ Art Dep, Trieste, nella mostra Pink, Purple and Blue, a cura di Francesca Lazzarini. www.silviabigi.com

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