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Intervista a ROSALIA PASQUALINO DI MARINEO di Matteo Galbiati

Davanti all’ingresso dell’intrigante Padiglione delle Bahamas, sotto una fitta pioggia, abbiamo incontrato Rosalia Pasqualino di Marineo, curatrice della Fondazione Piero Manzoni, con la quale, condividendo il precario riparo di un ombrellino pieghevole, ci fermiamo in lunghi saluti finché decidiamo di trasferire il nostro dialogo sulla Biennale appena aperta, al riparo, dentro al Padiglione dello stato caraibico di cui rimaniamo, per altro, tutti incuriositi…
Ritornano le domande sulla 55. Biennale anche per la giovane curatrice:

Cosa pensi del Palazzo enciclopedico? Che idea ti sei fatta del progetto di Massimiliano Gioni?
Ho visto tantissime cose e persone nei pochi giorni dell’inaugurazione e quindi il mio parere è davvero molto superficiale. Mi è sembrata una Biennale molto ordinata e “chiara”, dove percepisci bene la linea curatoriale, lo svolgimento del tema. Non sono sempre di mio gusto tutte le scelte attuate, ma resta evidente la linea tracciata da Gioni. E questo lo trovo un grande pregio.

Che interpretazione ne dai?
Non credo di poter esprimere un giudizio di questo tipo! Preferisco lasciare ai critici e agli storici le interpretazioni…

Cosa ti ha colpito di più?
Mi sembra che sia sempre più grande la Biennale: sempre più padiglioni all’Arsenale e in città, sempre più eventi espositivi ovunque. Va bene che cresca, ma vedere tutto richiederebbe almeno 15 giorni con ritmo decisamente sostenuto… Impossibile!

Quali sono le tue preferenze rispetto ai Padiglioni Nazionali?
Moltissime code… e quindi ne ho visti pochi. Ho un ricordo positivo del Padiglione francese e anche della Santa Sede. Interessante anche il progetto dell’Azerbaijan.

Tra gli eventi collaterali cosa pensi sia rilevante e vuoi suggerire?
Rilevante la mostra alla Fondazione Prada di Ca’ Corner della Regina, When Attitudes Become Form: Bern 1969/Venice 2013, anche se forse non immediata da capire. Piccolo ma ben equilibrato, a Ca’ Rezzonico, il progetto A VERY LIGHT ART (Mario Airò, Stefano Arienti, Cerith Wyn Evans, Flavio Favelli, Luigi Ontani, Gabriel Orozco, Heimo Zobernig), a cura di Cornelia Lauf. Anche Caro si vede con piacere (anche se non so perché ti proibiscono di fare le fotografie!).

Che artista segnali?
Al momento non ho un nome che mi abbia colpito particolarmente. Due mancanze: mi è stata fatta notare l’assenza di Claudio Costa, il cui lavoro sarebbe stato perfetto nel Palazzo Enciclopedico. Poi, non per tirar l’acqua al mio mulino, ma quest’anno cade il cinquantesimo anniversario della morte di Piero Manzoni. Forse da qualche parte una parentesi di omaggio all’artista ce l’avrei fatta stare, mentre né Biennale né MUVE se ne sono preoccupati… Chissà, magari per il centenario…

Una tua battuta o un commento generale, libero sul “rito Biennale”?
Occasione di incontro, scambio e confronto importante ed internazionale tra gli addetti ai lavori, con l’accattivante contorno di cocktail, cene e… le adorabili borsette di tela dei padiglioni!

Rosalia Pasqualino di Marineo
Nasco tra tele bianche e linee, e cresco ascoltando racconti e aneddoti e respirando aria “manzoniana”. Ormai grande, nel 1995 entro nell’Archivio Opera Piero Manzoni e collaboro alla redazione del Catalogo Generale di Piero Manzoni, curato da Germano Celant ed edito nel 2004. Promuovo la trasformazione del 2009 in Fondazione Piero Manzoni, di cui divento curatrice, sotto l’attento occhio di Elena e Giuseppe Manzoni di Chiosca, fratelli dell’artista.
Sono quindi parte attiva nei progetti recenti, passati e futuri legati a Piero Manzoni, come la mostra (e il libro) Piero Manzoni: Azimut, alla Gagosian Gallery di Londra del 2011, la mostra a Francoforte in corso fino a settembre o la nuova collana di Quaderni della Fondazione, in collaborazione con Electa e il film documentario su Manzoni, diretto da Andrea Bettinetti, di prossima uscita.
Vivo a Milano, città che amo molto, proprio come Piero Manzoni…

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