BOLZANO | Museion | 1 febbraio – 4 maggio 2014
di Gabriele Salvaterra
La nuova personale di Ceal Floyer (1968, Karachi, Pakistan) allestita al quarto piano del Museion di Bolzano può sembrare quasi vuota. Aperte le porte dell’ascensore ci si trova di fronte allo splendore del white cube dove soltanto a uno sguardo più attento si cominciano a mettere a fuoco piccoli interventi nello spazio. Ceal Floyer, da artista tipicamente contemporanea (vive e lavora a Berlino e ha all’attivo un nutrito curriculum di esposizioni e premi internazionali) propone un linguaggio che a tutta prima può mettere in soggezione per la scarsità di appigli offerti al visitatore. Altri artisti e curatori si sono rapportati allo spazio dell’ultimo piano di Museion tentando di arginarne il vuoto; Floyer opta invece per segni minimi che, volutamente, rischiano di perdersi nella grande sala.
In questa mostra riecheggiano le parole di Massimiliano Gioni quando definiva l’artista significativo di oggi come qualcuno in grado di ridefinire continuamente il concetto di opera d’arte. Di fronte a questi lavori si avverte distintamente l’esigenza di tastare il limite dell’arte, interrogandola e portando il linguaggio al confine tra ciò che arte è e ciò che non lo è. In questo processo l’autorità definitoria dell’istituzione, del pubblico e delle convenzioni che circondano l’opera hanno una grande parte ed è forse per questo motivo che viene riservato tanto spazio alla sala espositiva.
Se ad esempio si prende Blick, realizzata appositamente per la mostra e composta da minuscoli angoli per foto posti sulle gigantesche vetrate del museo, ci si può domandare in che aspetto si realizzi effettivamente l’opera. Se nel salto di scala tra intervento e architettura, se nella relazione che si crea tra la denominazione della didascalia e le aspettative del pubblico o se, addirittura, nella performance di “caccia al tesoro” a cui viene costretto il visitatore, con l’aiuto del personale di custodia, per individuare effettivamente l’oggetto artistico.
Un discorso analogo può essere fatto per Half Full/Half Empty: due stampe fotografiche praticamente identiche di un bicchiere riempito a metà che può essere descritto quindi come mezzo pieno o mezzo vuoto. Più che nella fotografia in sé, l’opera sembra risiedere nell’andirivieni del visitatore costretto a verificare l’effettiva identità delle immagini che volutamente si trovano agli estremi opposti della sala.
Ogni opera porta il visitatore a interrogarsi su quale senso attivare e in quale direzione puntare la propria attenzione: una mostra sicuramente stimolante fatta di continue piccole scoperte ed epifanie, in cui il filo conduttore è proprio l’antitesi. Ceal Floyer si diverte a giocare con le frustrazioni del pubblico ma lo ripaga anche pienamente se riesce a diventare complice in questa decostruzione delle convenzioni e ridefinizione continua della riconoscibilità dell’arte.
Ceal Floyer
a cura di Letizia Ragaglia
1 febbraio – 4 maggio 2014
Museion
Via Dante 6, Bolzano
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