MILANO | BUILDING | 4 maggio – 20 luglio 2019
VENEZIA | Fondazione Querini Stampalia | 11 maggio – 24 novembre 2019
Intervista a CHIARA BERTOLA di Matteo Galbiati*
Non abbiamo bisogno di manifestare la nostra passione per la poesia dell’opera di Roman Opalka (1931-2011) che ci ha sempre conquistati per l’esattezza della sua profondità e per la sua dedizione totale e imperturbabile al suo racconto. Il suo tempo, diventa il nostro tempo definendosi in una consapevolezza e una coscienza assolute e totali. Una mostra in due capitoli – il primo da BUILDING a Milano, il secondo presentato in concomitanza con La Biennale alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia – ci racconta l’intensità dell’artista e l’umanità del suo pensiero, regista eccellente di questo importantissimo progetto è Chiara Bertola. L’abbiamo incontrata mentre ci ha accompagnati in un’appassionata visita nelle sale della fondazione veneziana:
Come è nato questo doppio progetto su Roman Opalka?
Nasce da una mia grandissima devozione per il suo lavoro e i suoi contenuti. Lo conobbi nel 1994 in occasione di un progetto di Achille Bonito Oliva – di cui curavo una sezione che lo aveva per protagonista – che si teneva al Correr, e da allora gli scambi con lui furono molti e intensi, nacque un’amicizia e un’affinità che mi portò negli anni ad approfondire il suo pensiero e la sua riflessione. Adorava Venezia e i rapporti amichevoli e confidenziali, di rispetto e stima, si sono estesi anche alla moglie Marie-Madeleine Gazeau, che oggi, dopo la sua morte, gestisce il Fonds de Dotation Roman Opalka. A lei devo l’appoggio fondamentale nella realizzazione di questo doppio progetto, come al sostegno appassionato di Moshe Tabibnia di BUILDING a Milano. Il tema di questa mostra in due capitoli è quello “sacro” per Opalka: il tempo.
Si parla, appunto, di tempo, un qualcosa che oggi sfugge, una risorsa che spesso si spreca. Come si ri-definisce il tempo con queste opere?
Roman Opalka centra in modo incredibile la questione esistenziale del tempo dipingendolo senza retoriche; lo scrive in modo sistematico, assoluto e lo rende “visibile”. Noi non ci accorgiamo del suo scorrere, tanto più oggi quando siamo compressi nei ritmi frenetici della vita quotidiana. Opalka si concentra su questo elemento sfuggente e labile – come hanno fatto in altro modo molti altri artisti, scrittori, filosofi – e ci consegna la coscienza stessa del tempo. Lo fa con un atto semplice, ripetuto fino alla fine, netto quanto fisicamente logorante e faticoso: la scrittura numerica dei Détail che è un esercizio mentale, un mantra, una meditazione emblematica lunga che diventa anche una preghiera.
So che la preparazione delle mostre è stata impegnativa, quali difficoltà hai incontrato per avere il progetto espositivo che avevi in mente? Le opere che hai riunito, del resto, sono capolavori assoluti…
Le difficoltà sono quelle solite che s’incontrano quando si organizza una mostra composta da opere fondamentali e uniche dell’artista. Tra Milano e Venezia ci sono le opere maggiormente significative della ricerca di Opalka e, nonostante la piena collaborazione del Fonds, dell’equipe qualificata e professionale di BUILDING e dell’esperienza dello staff della Querini Stampalia, abbiamo dovuto affrontare i necessari e impegnativi passaggi tecnici e burocratici legati ai prestiti e alla loro gestione. A Venezia, un’opera di Mantegna, prestito complesso dalla Gemäldegalerie di Berlino, ha persuaso i conservatori polacchi sulle ottimali condizioni di conservazione della sede della Fondazione, idonea a ospitare la fragile tempera del Détail n.1.
In cosa si differenziano le due mostre? Quali accenti hai voluto dare in un progetto, che tieni a precisare essere unico?
Come dici bene la mostra è unica, pur divisa in due capitoli diversi e complementari in due sedi altrettanto diverse e uniche: nel white cube di BUILDING a Milano abbiamo voluto il primo capitolo, dove, nei quattro piani, ho concepito un percorso che accompagna a leggere retrospettivamente l’opera di Opalka e la sua riflessione affannosa sullo spazio-tempo. Si parte da opere inedite al pubblico del 1952-1959, pezzi fondamentali per capire il passaggio – e la successiva insistenza – sulla “cifra”; ci sono opere mai viste o esposte come il gruppo sorprendente dei Fonemats del 1964, poi le nove acqueforti del ciclo Descriptions du Monde del 1968/70 mai esposte insieme e tutte quelle opere che lo identificano. A Venezia la Querini Stampalia, con la sua collezione di dipinti antichi che si mischia all’arte contemporanea, mi ha spinto a inserire il suo lavoro nel flusso della storia: non potevano che essere esposte qui l’Alfa e l’Omega del suo lavoro, le due icone della sua opera. Il primo e l’ultimo Détail si guardano circoscrivendo la parabola esistenziale, mentale di un grande artista quale è stato Opalka, accanto a queste opere sono esposti una serie dei suoi Portraits e la registrazione del suono della sua voce per completare l’esposizione del suo programma ROMAN OPALKA 1965/1-∞.
A Venezia abbiamo una selezione ristretta di opere, ma particolarmente significative oltre a un dialogo intenso con la ricerca di Mariateresa Sartori, perché questa lettura parallela? So che spesso metti in relazione le ricerche di artisti di generazioni diverse all’insegna di un impegno di continuità intellettuale e culturale posto per affinità, pur nelle diversità espressive…
Fa parte del mio programma, ormai ventennale, di Conservare il futuro, con cui voglio conoscere ed esplorare le ricerche degli artisti più giovani, italiani e non, della mia generazione o immediatamente dopo. Cerco di individuare dei nessi e delle corrispondenze tematiche tra le loro ricerche e quelle già affrontate dai maestri, non per proporre un semplice accostamento, ma pensando in termini di continuità artistica e intellettuale. Sartori, in questo senso, pensa, in modo diverso, al tema del tempo, lo fa secondo modalità più sperimentali e un atteggiamento più scientifico, senza eludere la prossimità con le suggestioni di Opalka.
Quali punti di contatto e di differenza, di correlazione e di autonomia ha la ricerca di Sartori rispetto a quella di Opalka?
Come dicevo, il contatto è il tempo che si rende evidente con formule diverse: Sartori, in un lavoro come Suono del tempo. Onde concepisce il tentativo di “disegnare” graficamente il suono delle onde che si infrangono a riva, ponendo nella diversa intensità del loro suono, il passaggio temporale e vitale. L’esito visivo dell’opera è profondamente diverso da quello di Opalka, ma resta vicino nella pratica meditativa e concentrata, nella “performance” iterata nel tempo, nella concentrazione meticolosa necessaria al sentire e al fare. Anche l’impegno e lo sforzo fisico li avvicina. Le opere finali, essenziali, sono la traccia di un segno/gesto forte e intenso anche se raccolto nella semplicità della sua forma.
L’atteggiamento di Sartori e quello di Opalka si sfiorano e la mostra trova questo loro equilibrio di opere che riescono a risuonare una nell’altra: resta il tema della caducità, della memoria che percorre lo sguardo del visitatore che passa dalle opere dell’uno a quelle dell’altra.
Quali reazioni stai registrando da parte del pubblico, soprattutto a Venezia in occasione dell’apertura della Biennale?
Sono felicissima del riscontro che stanno avendo. Mi ha fatto molto piacere la segnalazione del New York Times che, indicando solo tre mostre da vedere a Venezia, cita quella di Kounellis alla Fondazione Prada, quella di Luc Tuymans a Palazzo Grassi e la nostra di Opalka alla Querini Stampalia. È una grande soddisfazione anche la sorpresa del pubblico rispetto alla ricerca di Mariateresa Sartori, come le reazioni quasi commosse davanti alla prima e all’ultima opera di Opalka. Nei giorni di inaugurazione ho voluto rimanere presente e a disposizione dei visitatori, perché volevo assolutamente che si potesse comprendere nella maniera migliore possibile questa narrazione, per predisporre lo sguardo al raccoglimento necessario per leggere opere quasi invisibili nel contesto e comprenderne, quindi, tanto le diversità quanto le affinità. A Milano Roman Opalka è presente con una retrospettiva, rigorosissima, riesce a presentarsi dentro una lettura più ampia e completa… Ma direi che le due mostre si richiamano e si sostengono a vicenda, rimandando da una all’altra i rispettivi visitatori.
Come stai strutturando la monografia in preparazione?
Sarà una monografia davvero ricca e complessa, ci saranno tutte le immagini delle opere e degli allestimenti riprodotte, così ampia che ci sta impegnando ancora nella sua ultimazione! Ci saranno importanti saggi critici che, oltre al mio, vedono i contributi del filosofo Federico Ferrari, del critico Marino Buscaglia, dello storico dell’arte Rainer Michael Mason, un dialogo tra Marie-Madeleine Gazeau e François Barré, le parole di Mariateresa Sartori su Opalka. Ti segnalo anche un altro momento importante che è stato la proiezione del film di Didier Morin, le cui riprese raccontano gli ultimi mesi di Opalka ripreso al lavoro sull’ultima sua opera. Ce lo restituisce immenso, silenzioso, affaticato ma instancabile mentre agisce in quella serenissima prigione della sua dimensione filosofica.
* Intervista tratta da Espoarte Digital – Speciale Venezia
Roman Opalka. Dire il tempo
a cura di Chiara Bertola
Capitolo 1
Roman Opalka, una retrospettiva
4 maggio – 20 luglio 2019
BUILDING
Via Monte di Pietà 23, Milano
Orari: da martedì a sabato 10.00-19.00
Info: +39 02 89094995
info@building-gallery.com
www.building-gallery.com
Capitolo 2
Roman Opalka Mariateresa Sartori
con il supporto di Lévy Gorvy, Galleria Studio G7, Galleria Michela Rizzo, Doppelgaenger
11 maggio – 24 novembre 2019
Fondazione Querini Stampalia
S. Maria Formosa, Castello 5252, Venezia
Orari: da martedì a domenica 10.00-18.00; la biglietteria chiude mezz’ora prima
Info: +39 041 2711411
manifestazioni@querinistampalia.org
www.querinistampalia.org