CECINA (LI) | Fondazione Culturale Hermann Geiger | 26 marzo – 15 maggio 2016
Intervista a ALESSANDRO SCHIAVETTI di Matteo Galbiati
La Fondazione Culturale Hermann Geiger di Cecina (LI), con una bella mostra dedicata, ci rivela un aspetto poco conosciuto di uno dei maggiori letterati del XX secolo: il grande scrittore Hermann Hesse (1877-1962), amato da generazioni di lettori, in questa circostanza si “legge”, infatti, non attraverso le pagine dei suoi meravigliosi scritti, ma attraverso le vedute e gli scorci dei suoi acquerelli. Appassionato di pittura, che vedeva tanto come atto liberatorio, quanto come alimento preziosissimo per la sua ispirazione poetica, il Nobel della Letteratura (premio assegnatogli nel 1946) si offre al nostro sguardo nello specchio dei suoi colori, del suo tocco, della leggerezza visionaria della sua pittura che ci porge un’altra faccia della sua poliedrica sensibilità.
Ci accompagna alla scoperta di questa intrigante esposizione e dei suoi preziosi contenuti e testimonianze, Alessandro Schiavetti, direttore artistico della Fondazione Geiger:
Come nasce questo progetto? Perché avete scelto di ospitare nella vostra Fondazione una mostra che non vede protagonista un artista in senso stretto, ma le opere pittoriche di un grande letterato come Hermann Hesse?
La Fondazione Hermann Geiger impronta la propria attività a uno spirito e a valori morali che da sempre l’hanno resa particolarmente attenta nei confronti dell’arte in ogni sua forma. Il progetto Hermann Hesse parte da questi presupposti: riscoprire e promuovere un aspetto meno conosciuto di un autentico monumento alla letteratura come il maestro tedesco, dando la parola a dei piccoli e semplici acquerelli, quasi un prolungamento del pensiero stesso del loro autore, in cui la contrapposizione apparente tra semplicità e spessore riporta a quel profondo attaccamento alla pittura che lo stesso Hesse non ha mai nascosto.
Come si sviluppa il percorso espositivo?
All’interno delle sale s’incontra da subito la serie degli acquerelli in cui si alternano i temi principali delle sue rappresentazioni, quei gruppi di case-uomo che fanno da leitmotiv nell’opera pittorica di Hesse, talvolta ravvicinate tra loro, talvolta isolate e circondate dall’equilibrio armonico della natura, con i paesaggi quieti e rilassanti di un Ticino divenuto “madre”, dolcemente posati sul colore principe delle visioni guaritrici dell’autore, un verde sottile che rappresenta erba, foglia, albero, vita. Alcuni oggetti appartenuti a Hesse s’incontrano via via, come il suo caro bauletto coi pennelli, i suoi occhiali, il bastone da passeggio, fino alle opere inedite esposte per la prima volta, che precedono come chiosa una sala in cui è proiettato un docufilm che racconta la vita pittorica di Hesse attraverso alcune interviste.
Quali possono essere stati – se ci sono stati – i modelli pittorici e artistici dell’Hesse pittore? Con quali istanze artistiche del suo tempo si possono connettere o confrontare queste sue creazioni?
Hesse scopre la pittura sotto forma di via terapeutica e ne assapora sin da subito le essenze, i risvolti, i contorni. Già all’inizio della sua produzione si intravede una matrice cromatica di natura espressionista. Hesse sarà sempre molto attento all’aspetto cromatico dei suoi lavori, perché proprio i colori diffondono, come canali di sfogo, quella via liberatoria dell’anima a lui cara, in perfetto equilibrio con l’ambiente. In questo contesto è certo che l’amico, e artista svizzero, Louis-René Moilliet influenzò la produzione di Hesse soprattutto dopo che lo stesso Moilliet si era dedicato esclusivamente alla produzione di acquerelli e allo studio meticoloso del colore. Oltre all’opera dell’amico, anche i forti contrasti e gli sbalzi cromatici di August Macke furono importanti nello sviluppo della concezione pittorica di Hesse.
Quali sono le peculiarità dei suoi lavori? Considerando che si parla di opere “dilettantesche” come le definisce lo stesso Hesse…
La straordinaria passione con la quale l’autore affronta la pittura è sorprendente; nei suoi acquerelli si ritrovano tutta una serie di ricordi e l’attaccamento ai valori fondamentali che l’hanno sempre accompagnato, quel nostos che lo riporta di colpo accanto alla madre e alla terra d’origine, luogo di forti contrapposizioni emotive. Come reazione ai forti localismi svevi e alle imposizioni familiari, nella mente di Hesse si fece strada, sin dall’adolescenza, la concezione della “fuga” dalle rigidità e dalle forzature. Una vita difficile che il suo spirito ferito alimentò di pensieri carichi d’angoscia, una vita costellata da svariati momenti di buio. Nel peggiore di questi, quando lo colse una profonda depressione, tipica anche dei grandi maestri espressionisti tedeschi, trovò una via liberatoria, e appunto di “fuga”, proprio attraverso il percorso pittorico, in cui l’autocoscienza dilettantesca fu determinante nella produzione e nello sviluppo stilistico. L’autodefinirsi dilettante è un modo meraviglioso, e quanto mai umano, di affrontare la pittura come percorso di guarigione.
Hesse affermava anche: “Non sarei giunto così lontano come scrittore senza la pittura”. Cosa intendeva?
Hesse si ritrovava spesso a scrivere di notte, per privilegiare la pittura durante le sue giornate ticinesi, e in più occasioni arrivò a ringraziare la pittura come forma d’arte; questo perché, proprio grazie a lei, poté ritrovare la capacità e soprattutto la voglia di scrivere che erano venute meno, affondate nel periodo oscuro della Grande Guerra in una melma densa di grigiore e di buio. Fu l’uso dei pennelli, con cui si sporcava le dita non più di nero inchiostro ma di rosso, verde, giallo, a levigare i disequilibri della sua anima tormentata.
Nel suo testo introduttivo ci parla di “pittura come rinascita emotiva”, cosa intende? Quale rinascita insegue/ottiene Hesse?
Hesse è una persona che cerca. Non lo dico io, lo dice la storia. Lo dicono i suoi capolavori letterari che hanno accompagnato intere generazioni fino alla piena comprensione di termini come “inquietudine” e “armonia”. Hesse intende la pittura come una forma di riposo in cui riequilibrare se stesso. Immaginatelo ora, instancabile camminatore, intento a passeggiare attraverso le splendide vallate ticinesi respirando la natura di cui si nutre la sua anima. Immaginatelo poi, cappello in testa, sedersi su un panchetto e liberare sull’amica carta dei delicati e semplici acquerelli, questo mentre si inebria dei colori veri e puri che la natura gli offre. Solo così, attraverso questa ricerca, è riuscito a realizzare la propria rinascita emotiva. Per dirla con Hesse: «Gli artisti hanno sempre avuto bisogno di periodi di ozio, in parte per chiarire a se stessi le loro nuove acquisizioni e lasciarle maturare nell’inconscio, in parte per tornare ad avvicinarsi alla natura con devozione priva di scopi, di ritornare bambini, sentirsi ancora amico e fratello della terra, delle piante, delle rocce e delle nuvole».
Cosa significava, allora, per Hesse dipingere?
Era un’attività liberatoria e curativa. Il viaggio, compreso quello terapeutico con cui esplorava le sue montagne, è l’archetipo della fuga e della ricerca. Con gli acquerelli, Hesse ebbe modo di godere di quella miracolosa intuizione che lo portò non solo a guarire lo spirito, bensì anche a contemplare una natura che non poteva sintetizzare unicamente con le parole.
Quali rapporti, connessioni, similitudini possiamo leggere tra le opere pittoriche e i testi letterari del grande scrittore? Quali contrasti?
Prendiamo ad esempio uno dei suoi capolavori letterari, il Demian, composto nel 1917 e pubblicato nel 1919. Ecco: in questo romanzo autobiografico c’è tutto quel riconoscimento carico d’angoscia della situazione in essere, decrescente e spezzata. La presa di coscienza di un possibile fallimento esistenziale traghettò Hesse sulla via della terapia psicanalitica. Nelle pagine del Demian s’indaga sui valori della vita, sulle insidie e sulle difficoltà, ci si interroga sui significati dell’esistenza. Questo romanzo si aggancia fortemente alle prime produzioni pittoriche, cariche di rinascita e di luminosa interiorità, attraverso un tracciato sintetico, infantile e gioioso. Nell’Ultima estate di Klingsor, Hesse palesa la riscoperta cromatica attraverso la prosa, fino a toccare un’illuminata calibratura dell’esistenza attraverso il capolavoro Siddharta del 1922.
Quali temi, energie e sensibilità nuove e differenti si concedono allora allo scrittore e, di riflesso, al suo pubblico?
La cognizione del dolore e della sofferenza come parte integrante della natura umana, con la conseguente possibilità di rinascita emotiva e spirituale, come via madre per un risveglio dell’Io. Hesse è stato e rimarrà sempre un grande maestro.
Cosa possiamo “scoprire” del grande letterato? Cosa celano i suoi colori?
I suoi colori sono intensi e non realistici, specchio di un’accentuata volontà di percezione ambientale. In letteratura, nell’Ultima estate di Klingsor si contano addirittura oltre cinquanta descrizioni di colori, segno evidente della stretta connessione tra pittura e scrittura e dell’importanza attribuita da Hesse all’uso del cromatismo. Quello che possiamo scoprire del grande letterato è un aspetto semplice, a tratti emblematicamente tangibile, ed è questo suo amore per la pittura che trasmetteva agli amici, ai quali donava molti dei suoi lavori, e che sintetizzerei con questa sua affermazione: «Quindi rientro in casa stanco, molto stanco, e quando la sera metto i miei fogli nella cartella, quasi mi dà tristezza vedere quanto poco del tutto ho potuto segnare e fissare per me».
Come avete selezionato le opere esposte? Su quali criteri vi siete basati?
Gli acquerelli appartengono alla collezione della nipote, Eva Hesse, che ringrazio di cuore per la sua disponibilità. Le opere esposte risalgono a epoche differenti della produzione dell’autore, ma molte di esse furono realizzate nell’ultimo periodo in cui la sua malattia peggiorò rapidamente costringendolo a ridurre la dimensione dei suoi lavori e ad aggrapparsi ai suoi sempre vividi ricordi legati alle quotidiane passeggiate nelle valli ticinesi alla riscoperta di sé. Abbiamo anche avuto la fortuna di poter esporre degli inediti, tra i quali – lo voglio sottolineare – uno splendido autoritratto su carta che lo stesso scrittore utilizzava come segnalibro. Un vero e proprio tesoro, e con un tratto davvero eccezionale.
Ammiriamo essenzialmente acquerelli, come spiega questa predilezione?
Come ho detto, l’influenza degli amici artisti Moilliet e Macke fu a mio parere determinante. L’acquerello dona inoltre la possibilità di accentuare gli sbalzi cromatici, rendendo nitidi i contorni; è una tecnica veloce e soprattutto comporta una facile trasportabilità del materiale, e Hesse amava le lunghe passeggiate.
Secondo lei quale aspetto di questa mostra è il più rilevante agli occhi del visitatore sia per la conoscenza dell’Hesse autore sia come scoperta dell’Hesse artista?
Lo scopo della mostra è proprio quello di mostrare al pubblico, esperto o meno di Hesse, come attraverso una prima forma di arte-terapia, realizzata con una pittura appunto dilettantesca, ma carica di significati, anche un grande letterato come lui abbia potuto non solo scoprire e riscoprire se stesso, ma abbia avuto anche la possibilità di proseguire in quel meraviglioso cammino letterario che l’avrebbe portato fino al Nobel per la letteratura, nel 1946. Premio che, tra l’altro, non andò mai a ritirare, non essendo amante della mondanità come lo era ad esempio l’estroverso amico Thomas Mann.
Hermann Hesse. Acquerelli
a cura di Alessandro Schiavetti
con il supporto di Centro Documentazione Amedeo Modigliani
catalogo con contributi di Alessandro Schiavetti (direttore artistico Fondazione Culturale Hermann Geiger), Gregorio Rossi (critico d’arte) e Regina Bucher (direttrice del Museo Hermann Hesse di Montagnola)
26 marzo – 15 maggio 2016
Fondazione Culturale Hermann Geiger
piazza Guerrazzi 32, Cecina (LI)
Orari: tutti i giorni ore 16.00-20.00
Ingresso libero
Info:+39 0586 635011
info@fondazionegeiger.org
www.fondazionegeiger.org