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Venezia | Ca’ Del Duca | fino al 24 novembre 2019

di FRANCESCA DI GIORGIO

Perfettamente calato nei temi più dolorosi della contemporaneità Heartbreak è un progetto collettivo, il primo di Ruya Maps a Venezia. In linea con la mission dell’organizzazione con base a Londra, Ruya Maps «sostiene gli artisti in aree di instabilità sociale o politica. Una piattaforma no profit che offre un programma globale e accessibile, favorendo e promuovendo la cultura proveniente da luoghi interessati da conflitti politici o militari».
La sua organizzazione gemella, la Ruya Foundation, istituita nel 2012, lavora in Iraq per costruire ponti culturali con tutto il mondo, sostiene in particolare i giovani artisti ed è l’unica ONG che lavora con artisti contemporanei in Iraq.

Un contesto di partenza molto importante per comprendere a fondo la scelta dei due curatori di Heartbreak, Tamara Chalabi (direttrice di Ruya Maps) e Paolo Colombo, di incentrare il progetto su tematiche interconnesse che toccano gli aspetti del lutto, del dolore, del tradimento… in un ottica dilatata che va dall’individuale al collettivo.
Il mito si fa ancora una volta portavoce ed accompagna in un viaggio che racconta la storia dell’Oriente e dell’Occidente. Lo spunto è il rapporto d’amore tra Enea e Didone (presente nell’Eneide di Virgilio) un amore ingiusto e crudele che si basa su un tradimento su cui si fonderà un impero (quello occidentale).
«La mostra segue la mappa del mondo antico, dalla Persia fino a Roma, per tracciare questo percorso di strazio. Oggi come ieri, in questa estesa area importanti traumi culturali e politici – dovuti alla scomparsa di paesi e alla perdita di vite durante la guerra – contribuiscono alla perdita delle radici e della speranza» racconta Chalabi.

Veduta della mostra Heartbreak (Majd Abdel Hamid). Courtesy: Ruya Maps. Ph. Boris Kirpotin

I nove artisti coinvolti, provenienti da aree con una ricca eredità culturale, si fanno portavoce di storie d’amore dolorose e si fondono in una visione plurale pur mantenendo tutta la loro singolarità. Le figure frammentate dipinte dall’artista iraniana Maryam Hoseini (1988) mostrano “l’incompletezza come condizione dell’essere” e quella sensazione di essere incompleti, “metà” di una persona, quando si parla di esperienze da “cuore spezzato”. Protagonista una coppia ispirata a Layla and Majun, poema del poeta duecentesco persiano Nizami. Il racconto di un amore proibito è contrappunto e ribaltamento di quello tra Enea e Didone: un amore orientale che finisce tragicamente per entrambi.

Majd Abdel Hamid (1988) il più giovane, tra gli artisti invitati, assieme alla Hoseini, traccia una mappatura incentrata sulla violenza perpetrata sotto sguardi indifferenti all’interno di Tadmur Prison, nota prigione del regime siriano. In una serie di lavori Abdel Hamid ha ricamato la pianta del progetto architettonico del carcere su pezzi di stoffa diversi, accompagnati da una registrazione audio di un monologo. Un contorno labirintico che fa riferimento ai modelli che i palestinesi hanno tramandato di generazione in generazione come parte di una famosa tradizione di ricamo, storicamente portata avanti dalle donne. Abdel Hamid utilizza la medesima tecnica sovvertendo il mezzo: veicolo di violenza piuttosto che di familiarità.

La mappa ritorna ma su scala differente nel lavoro di Lana Čmajčanin (1983). Mezzo di comunicazione universale durante i periodi di conflitto, le mappe si rivelano come la manifestazione grafica di concetti politici. Nella sua opera su larga scala 1: 1 625 000 (2019) l’artista bosniaca espone la soggettività di questi strumenti di informazione che sono fatti valere per la loro supposta obiettività. Čmajčanin, invece, in una stanza che ricorda le stanze di guerra utilizzate dai generali dell’esercito per pianificare le loro campagne, dispone su un grande tavolo illuminato dal basso settanta mappe di diverse dimensioni ed invita i visitatori ad interagire per rivelare l’arbitrarietà dei confini e delle delimitazioni che le costruiscono. Una riflessione sulla cartografia come mezzo per estendere ed assicurare l’egemonia di uno stato.

Veduta della mostra Heartbreak (Farah Khelil e Fusun Onur). Courtesy: Ruya Maps. Ph. Boris Kirpotin

L’artista tunisina Farah Khelil (1980) attinge, invece, dall’autobiografico e dalla sfera personale e familiare per condurre, attraverso linguaggi differenti – dalla fotografia, al disegno, l’installazione e il video – una esplorazione sul valore del ricordo, della memoria e della nostalgia legata alla sua città natale, Cartagine, che condivide con la mitica Didone.

RUYA MAPS ha prodotto una serie di cortometraggi con gli artisti coinvolti in Heartbreak: Majd Abdel Hamid, Talar Aghbashian, Lana Čmajčanin, Maryam Hoseini, Imad Issa, Farah Khelil, Randa Maddah, Füsun Onur e Christiana Soulou. I film realizzati da Cultureshock e girati a Venezia, durante la settimana di apertura della Biennale,  sono interviste che portano gli artisti a descrivere le loro opere.
Inoltre, in produzione anche una serie in cinque parti che attraverso il podcast di Heartbreak sviluppa i diversi temi della mostra. Già disponibile il primo episodio che si concentra su Didone ed Enea (ascolta qui), nel secondo, invece, si parla di Layla e Majnun – la cui storia di crepacuore è onnipresente in tutta la cultura araba. L’episodio vedrà la partecipazione di Elisabetta Raffo, direttrice della Fondazione Bruschettini per l’arte islamica e asiatica, Shorsh Saleh, un’artista mussulmano curdo, Mammad Aidani, drammaturgo e ricercatore all’Università di Melbourne, e Amer Hlehel, un attore palestinese.

 

Heartbreak

Artisti: Majd Abdel Hamid, Talar Aghbashian, Lana Čmajčanin, Maryam Hoseini, Imad Issa, Farah Khelil, Randa Maddah, Füsun Onur, Christiana Soulou

a cura di Tamara Chalabi e Paolo Colombo
Promotore: Ruya Maps

11 maggio – 24 novembre 2019

Ca’ Del Duca
Corte del Duca Sforza, San Marco 3052, Venezia

Info: www.ruyamaps.org

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