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VICENZA | FONDAZIONE COPPOLA | Fino al 31 marzo 2020

di FRANCESCO FABRIS

Il Torrione, eretto nel XII secolo all’ingresso ovest del centro storico di Vicenza è oggi un suggestivo contenitore di iniziative contemporanee selezionate e rigorose.
All’interno della rassegna in atto “Le nuove frontiere del contemporaneo” spicca Guglielmo Castelli, torinese, classe 1987, formatosi come scenografo all’Accademia Albertina di Torino ma poi ideatore di un colto lessico estetico intimo ed in bilico – per sua stessa ammissione – tra Balthus e Bruegel, fino a cadere nei pressi di Louise Bourgeois e Berlinde de Bruyckere.

Che sia da più parti individuato come l’enfant prodige della pittura italiana, seriamente proiettato verso palcoscenici internazionali, è ormai dato conosciuto. Quel che sorprende, e continua a farlo, è invece la sua perfetta inclinazione a far dialogare le sue figure umane e la loro interiorità con “l’iposcenio” ossia lo spazio magmatico, generoso o severo che li comprime o li lascia abbandonare ed estendersi.

Guglielmo Castelli, Dorofoco, 2019, olio su tela, cm 40×30, AmC Collezione Coppola

Con l’abbandono dell’acrilico a beneficio dell’olio, materia viva e plasmabile, i suoi corpi sono “agglomerati di materia o rimozione cromatica” che si lasciano andare a movimenti indecifrabili, stranianti, combattuti tra un timido raggomitolarsi ed una sfacciata e liquida presa di possesso dello spazio che li circonda.
Spazio che non sovrastano e che non li soverchia, spazio umanizzato e quasi palpitante di vita autonoma e propria. Da sempre interessato alla dimensione melanconica degli accadimenti, quella di Castelli è una via, riuscita, per dipingere gli spazi ed i momenti in ombra, quelli che secondo lui stanno subito prima o subito dopo che le cose accadano.

È questo momento di illeggibile sospensione che viene reso con una poetica fatta di ritmi, sproporzioni, sfumature e doppie prospettive che straniscono e non consentono di catturare l’attimo in cui accade la scena.
Ambiente e figura si catturano a vicenda, scappano e si inseguono lasciando una scia di colori e tridimensionalità difficile da agguantare visivamente perché magistralmente collocata su più piani.

Qua e là, la presenza fintamente rassicurante di piccole cose riconoscibili ci narra piuttosto di instabilità e vulnerabilità, di metamorfosi ed indefinitezza, fino a condurci in una dimensione enigmatica in cui ci si ritrova con naturalezza, pace e malinconica armonia.

Le opere, anche e soprattutto quelle in mostra, narrano di un “tempo di pittura” che si palesa altro rispetto al rigido cronos perché liquido, avvolgente, magmatico, in cui il dato materiale cede alle sproporzioni, ai disequilibri, ai piani che contengono altri piani in accostamenti, anche cromatici, fatti per indugiare abbandonando volutamente ogni via di fuga. Per rendere massiva l’immersione cercata, le sei opere in mostra nel torrione contengono precisi e colti rimandi alla poetica anche nei loro titoli attentamente scelti.

L’opera di maggiori dimensioni, il dittico Afloat, richiama in inglese la sensazione di galleggiamento che le figure rimandano su piani cromatici che lasciano intravvedere oggetti di uso comune.
Lo stesso può dirsi per il quasi iconico Elefante nella stanza, se non fosse che l’espressione – tipicamente anglosassone – fa riferimento ad una verità evidente ma dolosamente malcelata, con un rimando chiaro al gioco di piani e consistenze di cui si è detto.

La piccola opera dai toni blu, marroni ed azzurri che lascia intuire un corpo drammaticamente stiracchiato ma forse in procinto di risorgere rimanda invece al verso di una canzone d’amore. El amor que se ha pasado no se debe recordar fotografa, alla maniera dell’artista, l’attimo del poi, del passato, dell’andato.

Quel malinconico regalo che si imprime sulla tela con disarmante naturalezza. Completano la mostra opere della newyorkese Hannah Levy, del padovano Christian Manuel Zanon e dell’affermato Haroon Mirza.


Le nuove frontiere del contemporaneo

Da ottobre 2019 a marzo 2020, un ciclo di mostre tra pittura, video e installazioni, per presentare il lavoro di quattro artisti contemporanei: Hannah Levy, Haroon Mirza, Christian Manuel Zanon, Guglielmo Castelli.

Guglielmo Castelli Fino al 31 marzo 2020

Fondazione Coppola
Corso Palladio 1, Vicenza

Orari: da venerdì a lunedì, ore 11.00-18.00

Info: +39 0444 043272
info@fondazionecoppola.org
www.fondazionecoppola.org

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