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MODENA | Fondazione Modena Arti Visive

Intervista a DIANA BALDON di Lucia Longhi*

Ad Reinhardt, Particolare di How to Look Out, Pubblicato in PM, 23 giugno 1946 © Estate of Ad Reinhardt / Artists Rights Society (ARS), New York. Courtesy David Zwirner, New York/Londra/Hong Kong

Ad Reinhardt, Particolare di How to Look Out, Pubblicato in PM, 23 giugno 1946
© Estate of Ad Reinhardt / Artists Rights Society (ARS), New York. Courtesy David Zwirner, New York/Londra/Hong Kong

Ad Reinhardt. Arte + Satira, alla Galleria Civica di Modena è la prima esposizione della nuova Fondazione Modena Arti Visive. Istituzione, nata nell’ottobre scorso, diretta da Diana Baldon e di cui fanno parte anche Museo della Figurina e Fondazione Fotografia Modena.
Del celebre artista americano Ad Reinhardt (Buffalo, 1913 – New York, 1967), conosciuto per i suoi dipinti astratti, viene presentato un aspetto poco noto del suo lavoro: i disegni, le vignette di satira politica, le illustrazioni ironiche e didattiche sull’arte moderna. Una mostra con un doppio intento, mostrare un aspetto inesplorato della sua produzione artistica, dal carattere fortemente didattico, e in questo modo trasmettere uno degli obiettivi principali della Fondazione: la rieducazione visiva, l’acquisizione di uno sguardo consapevole verso l’arte e la sua storia. Il nuovo corso, ideato e coordinato dalla direttrice Diana Baldon, infatti, si distingue per la presenza di mostre dedicate ad artisti di generazioni distanti tra loro che si esprimono utilizzando molteplici mezzi espressivi.

Nell’ambito della mostra Ad Reinhardt. Arte + Satira (in corso fino al 20 maggio) il curatore e storico dell’arte Robert Storr, docente di pittura alla Yale University School of Art di New York, giovedì 17 maggio incontra il pubblico per approfondire un aspetto ancora poco conosciuto del celebre artista americano: il ricco insieme di fumetti, How to look, che furono utilizzati da Ad Reinhardt come piattaforma per difendere in modo appassionato lo sviluppo e la comprensione dell’arte astratta in America e per insegnare a superarne le difficoltà di approccio…

Ad Reinhardt, Arte + Satira, 2018, Galleria Civica di Modena. Foto: Dario Lasagni

Ad Reinhardt, Arte + Satira, 2018, Galleria Civica di Modena. Foto: Dario Lasagni

La Fondazione Modena Arti Visive ha aperto il suo programma con una mostra dedicata a uno dei più importanti artisti americani, un’icona dell’arte, appartenente al secolo scorso. Come si relaziona questa scelta con il programma e gli obiettivi della fondazione?
Uno degli obiettivi principali della Fondazione è puntare sull’educazione visiva. Ad Reinhardt, oltre alla sua pratica artistica come pittore astratto, ha svolto il ruolo di docente di Storia dell’Arte e Religioni Asiatiche. Era convinto che l’arte si dovesse accompagnare all’educazione dell’occhio, per fare in modo che lo spettatore avesse uno sguardo consapevole nei confronti di ciò che è l’arte e la sua storia. Approccio che si ritrova in tutta la sua attività.

Ad Reinhardt Untitled, 1942 Pubblicato in New Masses, 3 marzo 1942 Inchiostro e collage su carta 
 13.7 x 9.5 cm © Estate of Ad Reinhardt / Artists Rights Society (ARS), New York Courtesy David Zwirner, New York/London/Hong Kong

Ad Reinhardt, Untitled, 1942
Pubblicato in New Masses, 3 marzo 1942
Inchiostro e collage su carta 
, 13.7 x 9.5 cm
© Estate of Ad Reinhardt / Artists Rights Society, (ARS), New York. Courtesy David Zwirner, New York/London/Hong Kong

Ad Reinhardt è conosciuto per i suoi dipinti astratti, e sembrerebbe non esserci connessione tra la sua produzione pittorica e quella grafica. In realtà, quest’ultima pare fortemente legata alle stesse cause, gli stessi ideali feriti, le stesse battaglie che sottendono i famosi dipinti. L’astrazione era per Reinhardt una zona franca, liberata dall’isolazionismo di una cultura americana chiusa alle contaminazioni cosmopolite e votata all’ossessione del progresso e del mercato. Le sue vignette canzonavano quel sistema, quel mondo dell’arte, e al tempo stesso volevano essere strumento per capirlo. Può illustrarci quali sono i nessi profondi tra queste due pratiche di Ad Reinhardt?
Reinhardt era molto coinvolto politicamente come individuo ma l’arte moderna era da lui intesa in maniera sconnessa dalla realtà. Tuttavia si è dedicato a portare avanti un discorso sull’arte anche attraverso la serie di fumetti denominata How to look. Ciò si inserisce in una didattica dell’arte vicina e allo stesso tempo dissacrante nei confronti della nascita di un approccio pedagogico così come fu concepito dal primo direttore del MoMA di New York, Alfred Barr, il quale riteneva fosse necessario posizionare accanto alle opere dei diagrammi che ne spiegassero l’origine. Analogamente, gli How to look, apparsi a pagina intera nell’edizione domenicale del quotidiano PM nel corso del 1946 e del 1947, rappresentavano un modo per l’artista di difendere l’arte moderna in America e aiutare il vasto pubblico ad apprezzarla.
Successivamente però divenne lui stesso oggetto di vignette dissacranti, ad esempio dei suoi black paintings vennero fatte varie caricature, che irridevano quella che in realtà era una pittura che richiede la disposizione a capire, la volontà di dedicare tempi lunghi di riflessione verso un’immagine. Com’era questo suo rapporto duale con la satira? Come la gestiva quando ne era “vittima”?
Reinhardt era un uomo dal grande senso dell’ironia, come si deduce sia dai suoi fumetti che dai suoi testi critici sull’arte, molto imperniati su una satira a tratti cinica. Sebbene gestisse molto bene la satira, si è tuttavia anche lui trovato in spiacevoli situazioni, fino a doversi difendere in un tribunale.

Sharon Lockhart Nine Sticks in Nine Movements: Movement Six 2018 Stampa cromogenica incorniciata 128,8 x 103,8 cm © Sharon Lockhart, 2018 Courtesy l’artista, neugerriemschneider, Berlino e Gladstone Gallery, New York e Bruxelles

Sharon Lockhart, Nine Sticks in Nine Movements: Movement Six, 2018. Stampa cromogenica incorniciata, 128,8 x 103,8 cm, © Sharon Lockhart, 2018. Courtesy l’artista, neugerriemschneider, Berlino e Gladstone Gallery, New York e Bruxelles

In mostra è possibile vedere anche le diapositive dei suoi viaggi, immagini da tutto il mondo raggruppate non per date ma per forme, allo scopo di illustrare quella “storia mondiale dell’arte moderna” che egli auspicava. Quelle forme astratte, cerchi, piramidi, curve, accostate in infinite variazioni, associate alle forme del mondo reale, erano per Ad Reinhardt l’essenza dell’arte.
Qual è il contributo più grande che egli ha effettivamente dato alla Storia dell’Arte mondiale?
La serie di diapositive nasce quando Reinhardt decide di intraprendere un viaggio in Europa, Medio Oriente, Giappone e Sud-est asiatico per osservare dal vivo le opere che fino a quel momento aveva visto solo riprodotte sui manuali di Storia dell’Arte che utilizzava come docente. Scattò oltre 12.000 fotografie a colori che poi raggruppò in sequenze insolite e molto ironiche in occasione di quelli che chiamava “Non-Happenings”. Seppur si tratti di foto, le loro composizioni, molto formali, seguono principi vicini a quelli dell’arte astratta modernista, con l’aggiunta di ripetizione e serialità. Dal mio punto di vista il suo maggiore contributo alla Storia dell’Arte mondiale risiede nei suoi testi critici che hanno molto influenzato artisti che negli anni Sessanta sono poi divenuti celebri, come Robert Smithson o Sol LeWitt.

Questa mostra presenta i lavori di un solo artista, ma i contenuti degli stessi la trasformano in un manifesto dell’arte contemporanea. Qual è il senso e il valore di portare oggi, in Italia, una mostra che approfondisce il percorso, si potrebbe dire la battaglia di un artista che ha cercato di comunicare in tutti i modi il valore, il linguaggio, il significato dell’arte moderna? Qual è oggi in Italia, secondo lei, la profondità con cui si legge l’arte contemporanea?
Credo che questa mostra sia importante per l’idea di educazione visiva insita in tutte le pratiche espressive utilizzate da Reinhardt, ovvero la nozione che l’arte non si deve rivelare velocemente ma che per avvicinarsi ad essa e ai suoi significati sia necessario assorbirla lentamente, in una modalità quasi contemplativa. È una concezione controcorrente rispetto alla cultura dell’immagine contemporanea che è molto veloce e iper-stimolante. Questa mostra è importante perché rappresenta una “pausa di riflessione”.

Daido Moriyama, Oct. 21, 1969 1969/2008 Stampa alla gelatina d’argento, 25 x 30 cm © l’autore, courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

Daido Moriyama, Oct. 21, 1969, 1969/2008. Stampa alla gelatina d’argento, 25 x 30 cm
© l’autore, courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

Ha dichiarato che tra gli obiettivi c’è la promozione delle più innovative pratiche artistiche e le loro contaminazioni con le nuove tecnologie. È previsto un focus particolare su una tematica?
Dopo Reinhardt abbiamo inaugurato il 7 aprile una personale della statunitense Sharon Lockhart (fino al 3 giugn0) ed è in programma la personale della giovane italiana Adelita Husni-Bey (dal 9 giugno al 26 agosto) due artiste che, a distanza di una generazione, condividono l’indagine su temi sociali. La collettiva A cosa serve l’utopia, inaugurata da poco e in corso fino al 22 luglio,  invece, dà visibilità ai patrimoni collezionistici gestiti da Fondazione Modena Arti Visive provenienti dalle collezioni di Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e del Comune di Modena/Galleria Civica. Le nuove tecnologie sono sicuramente molto rilevanti nel contesto dell’immagine contemporanea in quanto hanno apportato una rivoluzione sia dal punto di vista della produzione artistica attuale che della fruizione e diffusione dell’arte contemporanea. È inevitabile quindi che un discorso intorno a questo tema sia affrontato da un’istituzione che si occupa d’arte e di cultura visiva. Un comune denominatore della programmazione, fino alla fine di agosto, è che tutti gli artisti trascendono quello che è uno specifico mezzo espressivo, e le loro metodologie di produzione si affidano alle nuove tecnologie, anche se queste non sono soggetti prediletti.

Mladen Stilinović, Sale of Dictatorship, 1977-2000 Stampa a getto d’inchiostro, 18 x 28 cm © l’artista. Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

Mladen Stilinović, Sale of Dictatorship, 1977-2000. Stampa a getto d’inchiostro, 18 x 28 cm,  © l’artista. Courtesy Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

Diana Baldon (1974, Padova) è curatrice e critica d’arte. Già alla guida di Fondazione Fotografia Modena, dal 1 giugno 2017 è stata la Direttrice di due centri d’arte contemporanea svedesi, quali la Malmö Konsthall e Index – The Swedish Contemporary Art Foundation, dove ha curato mostre personali di artisti internazionali quali Nina Beier, Cornelius Cardew, Joan Jonas, Goshka Macuga, Ad Reinhardt, Lili Reynaud-Dewar e Heimo Zobernig. Tra il 2007 e il 2011 ha lavorato come curatrice e docente dell’Accademia di Belle Arti di Vienna. Tra le mostre curate in musei ed istituzioni internazionali d’arte ci sono MIT List Visual Art Center (Cambridge, MA 2017), il Mudam – Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean (Luxembourg, 2017) e la seconda Biennale di Atene (Grecia, 2009).

* Intervista tratta da “Focus Neo Direttori” pubblicata su Espoarte #101

GALLERIA CIVICA DI MODENA:

Ad Reinhardt. Arte + Satira
a cura di Diana Baldon

Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita (sala grande), corso Canalgrande 103 – Modena
Palazzina dei Giardini, corso Canalgrande – Modena

Appuntamento:
Giovedì 17 maggio 2018, ore 18.00
How to look: l’arte spiegata da Ad Reinhardt
Incontro con Robert Storr

Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita
Ingresso gratuito
In inglese con traduzione in italiano

10 marzo – 20 maggio 2018

A cosa serve l’utopia
a cura di Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi

28 aprile – 22 luglio 2018

www.galleriacivicadimodena.it

FONDAZIONE FOTOGRAFIA MODENA:

Sharon Lockhart
a cura di Adam Budak, curatore capo della National Gallery di Praga

7 aprile – 3 giugno 2018

MATA ex Manifattura Tabacchi
via Manifattura Tabacchi 83, Modena

www.fondazionefotografia.org

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