LUBIANA (SLOVENIA) | Galerija Vžigalica | 23 giugno – 28 agosto 2016
Intervista a JOŽE SUHADOLNIK di Matteo Galbiati
Continua il nostro viaggio in terra slovena, e dopo il focus su Lubiana Green Capital 2016 e le interviste a Blaž Peršin e Marija Skočir, diamo voce al fotografo Jože Suhadolnik di cui la Galerija Vžigalica propone un’ampia antologica in cui si raccolgono una selezione di intensi scatti degli ultimi 35 anni della sua attività.
La sua fotografia scova piccole storie che raccontano la verità di storie semplici, di luoghi ordinari, spesso ormai lontani dall’attenzione mediatica dell’informazione globalizzata; Suhadolnik qui attinge con scupolosa sensibilità dal profondo dei sentimenti, restituendo immagini forti nella loro ingenuità apparente, ma capaci di dare cuore ed anima alla dignità silenziosa di altre storie umane. Ci racconta un altro mondo, la cui realtà e sincerità sono slancio per lo sguardo, uno stimolo per uscire dalle logiche del sistema mass-mediatico e comunicativo attuale.
Ecco il nostro dilogo con il fotografo sloveno:
La mostra alla Galerija Vžigalica si compone di diverse serie di lavori. Come sono state scelte? A che periodi si riferiscono?
Quattordici storie, più i ritratti, rappresentano il mio lavoro dal 1979, quando ho iniziato ad usare la mia macchina fotografica tutti i giorni per registrare il movimento punk nella discoteca FV di Lubiana. Ho iniziato a lavorare quando avevo 16 anni per l’agenzia di stampa jugoslava Tanjug. È stata come una rivelazione, perché avevo solamente una macchina fotografica con due obiettivi in quel momento e nessuna camera oscura. All’improvviso ci furono a sufficienza pellicola chimica, carta fotografica e addirittura il teleobiettivo da aggiungere alla macchina fotografica per trasmettere le foto tutto intorno.
Questi scatti rappresentano, quindi, 35 anni della mia vita.
Che cosa raccontano?
Le storie che seguo rappresentano il mio interesse per quelle comunità, più o meno chiuse, che devono essere seguite per un periodo più lungo con l’intenzione di conoscere persone di cui, diventate amiche, si riesce a scavare nella loro vita il più possibile.
Cosa ci raccontano, invece, del tuo lavoro e della tua ricerca? Del tuo modo di intendere la fotografia?
Voglio solamente spiegare che c’è un mondo sporadico che vive accanto a noi lontano dalla celebrità o dalla politica, lontano dall’epicentro di storie giornalistiche dure come la guerra, la crisi e così via. C’è ancora un mondo e le persone che lo popolano sono fortemente appassionate ad una comunicazione di base e ti accettano con mente e cuore aperti, senza chiederti quale sia la tua opinione o il tuo schieramento politico.
Quale compito deve avere la fotografia? E il fotografo?
La fotografia come media narrativo non esiste più. Il tempo romantico di viaggiare in giro per il mondo e raccontare storie è finito più di 20 anni fa. La stampa e i media digitali hanno bloccato le storie profonde di copertina molto tempo fa. Per anni ci sono stati solamente i libri d’autore e le mostre a dare valore alle storie. Il fotografo contemporaneo è troppo concentrato sul proprio ego, mostrando le proprie paure e ossessioni invece di cercare di mostrare storie ed emozioni di altre persone. Un esempio perfetto era la copertura della crisi dei rifugiati siriani di qualche mese fa.
Cosa pensi, quindi, sul valore della fotografia oggi, nella società delle immagini e del digitale?
In questo momento ci sono troppe foto spazzatura per poter parlare di fotografia professionale. Mi sto riferendo all’auto editing e alla post-produzione nell’era della fotografia digitale. Mi congratulo con me stesso, come raro esempio di fotografo che lavora a tempo pieno per un giornale, nell’era del digitale perché pensiamo ingenuamente di poter competere di nuovo con i media TV. Una notizia stampata è ormai una notizia vecchia. I proprietari dei media stampati dovrebbero rendersi conto ora che questo è il tempo perfetto per pubblicare molto di più storie sottili e delicate invece di rigorose notizie.
Quali sono stati i tuoi maestri e i tuoi punti di riferimento?
Sono un fotografo autodidatta. Le mie rivelazioni sono state le fotografie, tra gli altri, di Robert Frank, Alberto Giacometti, Eugene Smith, Diane Arbus, Daido Moriyama e Klavdij Sluban.
Quale percorso formativo hai seguito?
Nessuno. Ho solo battuto la strada e cercato di fare buone storie.
Cosa cerchi nell’immagine?
Cerco solamente di convincere lo spettatore a rendersi conto che esistono ancora normali relazioni umane.
Usi solo il bianco e nero?
No. Le fotografie in bianco e nero rappresentano il mio lavoro personale. Per il giornale scatto tutto a colori.
Di tutte le serie esposte a quale ti senti maggiormente legato? Perchè?
Ci sarebbero state centinaia di altre storie che avrei voluto esporre, ma lo spazio della galleria mi ha limitato nella scelta.
Futuri progetti? Su cosa stai lavorando?
Sto lavorando sulla storia di bambini e ragazzi sloveni tra 1 e 21 anni di età colpiti dalla crisi economica dal 2007. Alcuni dei miei sentimenti sono solo troppo dolorosi per spiegare quello che sto passando. Semplicemente non si può essere obiettivi.
Jože Suhadolnik. Pregledna fotografska razstava. Fotozgobde 35
a cura di Marija Skočir e Jani Pirnat
23 giugno – 28 agosto 2016
Galerija Vžigalica
Trg Francoske Revolucije 7, Lubiana (Slovenia)
Orari: da martedì a domenica 10.00-18.00; chiuso lunedì
Info: www.mgml.si/galerija-vzigalica
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