BRESCIA | BunkerVik – Il rifugio delle idee | 4 settembre – 4 ottobre 2020
di ALICE VANGELISTI
In due lunghi e bui tunnel sotterranei si vede il cielo. O meglio si aspira a vederlo. In questo senso, l’operazione artistica ospitata da BunkerVik – Il rifugio delle idee a Brescia e messa in atto da Alessio Barchitta (1991), vincitore assoluto del Premio Nocivelli 2019, attraverso la sua personale I can’t see beyond these fucking clouds è perfettamente riuscita e diventa l’ideale nuovo inizio per lo spazio espositivo cittadino dopo il dramma legato all’emergenza sanitaria e in seguito alla sua recente ridenominazione.
Cosa si cela dietro le nubi bresciane, dietro quegli sguardi negati che durante la reclusione forzata dettata dalla pandemia sono diventati parte integrante della nostra quotidianità?
Così l’artista si interroga su questa tematica, creando una visione diversa e insolita del cielo di Brescia e dandone una nuova lettura simbolica, significativa anche e soprattutto in relazione al periodo drammatico che abbiamo appena trascorso. In realtà, però, Barchitta non ci dà una vera e propria risposta all’impossibilità irriverente dettata già dal titolo che diventa il filo rosso che si srotola lungo tutto il percorso espositivo e innesca così in chi guarda ancora più domande.
Già discendendo nell’oscurità imperante del bunker, infatti, ogni certezza crolla e i sensi sono alterati: l’unica ancora di salvezza rimane quella visione luminosa che si ha sul fondo della prima lunga galleria e che guida nel buio, attirando l’osservatore tra le sue braccia. Poi di colpo un rumore sordo nelle tenebre che rimbomba fin nelle viscere e la fioca luce lontana drasticamente scompare per ricomparire lentamente a disvelare nuovamente un pezzo di cielo racchiuso in un grande armadio. Quest’ultimo è in collegamento diretto con il tema della casa e dello scorrere del tempo tipico della ricerca di Barchitta, in cui il dialogo tra passato e presente acquisisce ancora più significato anche e soprattutto in relazione al luogo dove l’installazione è ospitata e all’oggetto domestico scelto.
Si scende, infatti, giù, dentro la terra, abbandonando la vista immensa e infinita del cielo per essere rinchiusi in uno spazio stretto e angusto, protetti però dalle mura del bunker antiaereo che un tempo era utilizzato per salvaguardare la propria vita, ma che simbolicamente può anche richiamare all’idea di reclusione tra le mura domestiche vissuta in questi mesi. Allo stesso tempo, però, non solo il luogo trasmette questo senso di protezione e nascondiglio, ma anche l’armadio richiama in particolare a un rifugio, memore dei giochi d’infanzia, che permette di scollegarsi dalla realtà per entrare in un mondo altro, dischiudendo così le sue invisibili meraviglie davanti agli occhi di chi guarda e diventando in questo modo lo scrigno di un qualcosa impossibile da vedere mentre ci si trova in un bunker sottoterra – la volta celeste.
Quella che, però, potrebbe essere una visione elegante ed evocativa di un classico cielo nuvoloso è invece imbrattata dall’inchiostro blu di una scritta provocatoria, dando vita a una scena alterata della realtà che compare e scompare all’interno dell’armadio meccanizzato.
È così che la fugace apparizione del cielo – idealmente simile ai “velocissimi” contenuti online a cui siamo sempre più abituati e che non ci permettono di soffermarci veramente a guardare qualcosa – viene fulmineamente preclusa allo sguardo attento e indagatore dallo sbattere metodico delle ante di questo mobile antico, recuperato dall’artista in una discarica, riportato a nuova vita e reso eterno tramite l’utilizzo dell’antica tecnica giapponese Yakisugi, che consiste nel bruciare il legno per proteggerlo. In questo modo, un oggetto carico dell’immaginario quotidiano diventa scrigno che racchiude una visione mutata: il cielo che scorre lentamente su un lungo rotolo viene trasformato e porta con sé la scritta insolente I can’t see beyond these fucking clouds, che in maniera sempre diversa si imprime sull’immagine lasciando delle tracce blu, ora labili e impercettibili, ora solide e ben visibili. L’intera installazione è così provocatoriamente in divenire: l’artista è solo l’artefice del gesto iniziale di avvio e l’opera nel corso dei giorni “si fa da sé”. In questo modo, l’intero risultato finale è indefinibile e allo stesso gioca con la straniante e surreale ironia tipica dell’artista siciliano.
Lasciandosi alle spalle l’ammaliante alternarsi della lenta apertura e della veloce chiusura dell’armadio, con il rumore di fondo che rimbalza sulle pareti del bunker, si percorre la buia galleria a ritroso, per accedere in quella parallela. Qui si è avvolti da due ali di cielo che corrono lungo le due pareti e accompagnano il visitatore, illuminandolo attraverso una luce retrostante. Così, si può vedere il processo finale di due scampoli di cielo rielaborati dall’armadio nel suo lento processo di esecuzione che può essere ben indagato e apprezzato anche sfogliando le pagine del libro d’artista, creato appositamente per l’occasione.
Arrivati in fondo ci si volta per essere accompagnati nuovamente da queste nuove “visioni di cielo”, ma le luci ora si trovano puntate verso l’osservatore e improvvisamente i lavori alle pareti svaniscono, celati completamente allo sguardo dalla luminosità imperante. Si ripercorre così a ritroso anche questa galleria, accecati da una luce fisica e reale che metaforicamente entra in forte contrasto con il buio iniziale che ci aveva accolto.
E così uscendo finalmente all’esterno per vedere il cielo di Brescia, lo si può finalmente assaporare, chiedendosi però cosa ci sia oltre quelle fottute nuvole.
Alessio Barchitta. I can’t see beyond these fucking clouds
a cura di Daniele Astrologo Abadal
mostra del vincitore assoluto del Premio Nocivelli 2019
4 settembre – 4 ottobre 2020
Bunkervik – Il rifugio delle idee
via Federico Odorici 6B, Brescia
Orari di apertura: da giovedì a domenica 16.00-20.00
Info: segreteria@premionocivelli.it
+39 030 7776718
www.premionocivelli.it