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TORRE PALLAVICINA (BG) | Palazzo Oldofredi Tadini Botti | Prorogata a fine agosto 2022

di MATTEO GALBIATI

Ritorniamo a Torre Pallavicina (BG), piccolo comune all’estremo confine della provincia bergamasca che ha fatto della promozione culturale, soprattutto nell’ambito dell’arte contemporanea, il suo fiore all’occhiello, per visitare un nuovo progetto ospitato in un suo luogo d’eccezione: Palazzo Oldofredi Tadini Botti.
Protagonista della personale Pochi Riti Utili Salvano è l’artista Serj (1985), bergamasco d’origine, ma da anni attivo a Berlino, che ha scelto di intervenire in questo luogo senza eccessi, senza contrastare in modo ridondante – come spesso avviene quando l’esercizio della contemporaneità si fa prepotente – un luogo carico di storia e di “presenze”, ma anzi, pur senza snaturare la propria ricerca, ha saputo stabilire la “misura” giusta per far corrispondere il proprio pensiero alle “indicazioni” dettate dal luogo (il Palazzo, ma anche il paese). Come un regista sapiente, l’artista ha coordinato l’ambiente e quei rilevanti connotati espressivi con la diversa tipologia di opere che caratterizzano la sua ricerca individuando, di volta in volta, di sala in sala, nel Palazzo, un “dispositivo” visivo il cui medium sa incalzare, con le più utili e interessanti sollecitazioni di cui è capace, lo sguardo dello spettatore.

Serj, Scena di caccia, 2022, cera, neon (argon), dimensioni ambientali Photo Michele Alberto Sereni

Le decorazioni ad affresco riconnettono interno ed esterno e raccontano di un paese, il cui territorio oggi è incuneato tra le province di Cremona e Brescia, ma che, anche nel passato, è stato sempre terra di confine, allora tra la Serenissima e il Ducato di Milano: terra così lontana dai centri principali, da far diventare la dimora gentilizia prima avamposto difensivo, vera e propria fortezza armata, poi residenza con più tranquille attività come la caccia, diletti e svaghi bucolici. In questo contesto Serj ci presenta un percorso di compenetrazioni vicendevoli e sollecitazioni di opposte letture tra interno ed esterno, così come tra presente e passato, tra finalità e ritualità, tra descrizione e immaginazione, tra azione e narrazione, tra obbligo e libertà.
Fin dalla prima opera del percorso si percepisce come sia stata assimilata la “densità” di stimoli che un luogo come questo, periferico sì, ma altrettanto libero nei suoi modelli e nelle sue iconografie contaminate, riesca a suggerire: Scena di caccia è una scultura assottigliata quasi alla bidimensionalità con cui Serj invade lo spazio della prima stanza, limitando lo spostamento dell’osservatore, costretto ad una osservazione zenitale dell’opera e a percorrerla solo al margine, compiendo, così, un periplo liminale. È una mappa scura che, dispiegata nel silenzio della sua superficie nera, illuminata con una “X” e un piccolo tratto di neon azzurro – ipotesi di luoghi e punti specifici che rimangono, però, sconosciuti – definisce il concetto di spazio, razionalizza e condensa una vastità altrimenti riassumibile e assimilabile per uno sguardo unico.

Serj, Untitled, 2022, alluminio, ottone, cera, fibra di vetro, pvc, 420x150x220 cm Photo Michele Alberto Sereni

Il passo successivo, in una sala adorna di grottesche e immagini di chiaro riferimento classico, Untitled (oggetto di un’azione performativa che ne ha sottolineato il rimando iconografico, se non il suo vero e proprio utilizzo) è disposta in un angolo come vessillo abbandonato o decaduto. È una presenza nuovamente ingombrante, pur nella sua pertinente presenza silente, che ammaina i simboli e le glorie trascorse e stabilisce l’aleatorietà di una potenza ostentata, di azioni gloriose compiute sul campo, di ritualità ormai spente e cadute. Ancora Serj riesce a conquistare con la sua narrativa la fiducia dell’osservatore che, intuito il suo codice, ha ormai, fin da queste prime battute, stabilito le chiavi di lettura con cui proseguire il proprio cammino. A ridosso di una finestra TENET (six) è un’installazione di sei elementi che fa da contraltare all’opera precedente rimanendo pertinente per tema e contesto araldico-militare: sei aste deformate sono armi spuntate e inoffensive, deposte e abbandonate per la loro incapacità a pugnare, ma pure potrebbero essere aste di titolo confinario che marcano il limen di un territorio che, ormai stravolto dagli eventi e dalla storia, non necessita più di linee di demarcazione così strette e assolute da dover essere evidenziate e difese.
La seguente Untitled, grande e potente installazione ambientale – in dialogo con l’omonimo Untitled, dipinto che ci ricorda, in un gioco di rimandi tautologici, la ricerca pittorica dell’artista – mutua nuovamente la lettura di oggetti rituali (in questo caso una porzione di campana e un vessillo, o uno stendardo, un’icona, che rimane avvolto, ammainato in un mutismo carico di interrogativi). La logica del frammento, del pezzo, del racconto interrotto-recuperato-riattivato aiutano a solidificare la consapevolezza di mutate condizioni dell’esistere che, dal luogo-contesto, si rivolgono ora all’individuo e alle sue convinzioni e conoscenze.

Serj, Campana, 2022, silicone, 140x140x45 cm Photo Michele Alberto Sereni

Dal chiuso delle stanze lo sguardo si apre adesso su un loggiato riccamente affrescato che, se da una parte ci apre su un giardino reale, sulla campagna circostante, dall’altro lato il paesaggio è fittizio ed evocativo, riportato trompe-l’oeil dalla pittura ad affresco. Qui Serj depone la sua Campana, altra scultura che, incapace di trattenere la forma dell’oggetto che le dà il nome, è implosa informe su se stessa. Una campana senza voce, una campana incapace di comunicare, avvisare, celebrare la comunità che attorno a lei abitualmente si stringe. Bisogna ora spostarsi, attraversare il giardino (porzione del territorio più ampio citato dalle mappe) per arrivare in quella che, un tempo, è stata una chiesa – vediamo come Serj sappia cogliere le dinamiche della sua riflessione intagliandole nell’ambiente e negli spazi, nei simboli e nei rimandi che qui si possono toccare e visualizzare – un ex luogo di culto abitato dall’opera Pochi Riti Utili Salvano.
Quest’opera, che dà il titolo anche alla mostra, a sottolineare l’importanza della ritualità simbolica che ogni mostra mette in evidenza attraverso l’esibizione di opere-simbolo, è un’audio-installazione che si diffonde per lo spazio, cassa di risonanza del messaggio lanciato da Serj: quattro parole che si inseguono ripetute e ritmate, cadenzate come un’orazione, una prece che spezza il ritmo canonico del dialogo con la formula della ritualità. È una “formula” (come la definisce Roberto Lacarbonara, eccellente curatore della mostra) che disperde la propria ragione nella ripetizione continua del proprio enunciato caotico che, spezzando la regola, apre a nuove ipotesi e a nuove affermazioni, svincolate dalla rigidità di ogni dogmatismo.

Serj, Pochi Riti Utili Salvano, 2022, diffusori, cavi, amplificatore, lettore multimediale, audio (122 min, 28 sec), dimensione variabile Photo Michele Alberto Sereni

Serj ci dimostra come la certezza e la costanza del rito possano essere alterate e frante, rotte dal disequilibro che ristabilisce principi e fondamenti dati per certi e assoluti; ci rimodula costantemente la verità che mette in discussione l’ovvio, non per regredire, ma per acquisire il senso vero e profondo di nuove libertà ancora da affermare, con la speranza di un ulteriore progresso del nostro essere-esistere.
Palazzo Oldofredi Tadini Botti, la dimora cinquecentesca di Torre Pallavicina, che ha conosciuto quelle storie che essa stessa conserva e testimonia, nelle mani di Serj e con i suoi interventi diventa incubatrice per quelle libertà che qui, grazie al suo lavoro, paiono essere appena germinate.
Un plauso per la sobrietà con cui è stata concepita la mostra, oltre all’artista, va anche riconosciuto a chi ne firma la curatela, il già citato Roberto Lacarbonara (autore anche del saggio critico e del dialogo con Serj pubblicati in catalogo), e a chi ne ha sostenuto e incoraggiato il lavoro, Antonio Marchetti Lamera, il sindaco-artista di questo borgo della bassa, il cui lodevole dinamismo e intraprendente attivismo ci ricorda come la cultura, l’arte, anche nella loro espressione più contemporanea, non hanno confini e possano trovare dimora anche in luoghi al “confine”, “lontani”, come Torre Pallavicina. Dove, però, grazie a loro, la cultura contemporanea pare aver egregiamente e saldamente messo radici.

Serj. Pochi Riti Utili Salvano
a cura di Roberto Lacarbonara
con il patrocinio di Comune di Torre Pallavicina
con il contributo di Cava di Barco, Farcoderma, Metal Carp, B&B s.r.l. e Lavinia Immobiliare

Prorogata a fine agosto 2022

Palazzo Oldofredi Tadini Botti
Torre Pallavicina (BG)

Orari: ingresso libero su appuntamento

Info e prenotazioni: +39 339 5629715
antoniomarchetti64@gmail.com

Serj è nato a Bergamo nel 1985; vive e opera a Berlino. Il suo lavoro prende forma attraverso una progressiva analisi metodologica, sia formale che linguistica, legata al concetto di opera d’arte come “macchina”, organismo composto da elementi in grado di generare uno spazio di possibilità e di produrre senso, conoscenza, orientamento. Tra le mostre recenti: Abstine substine, Blueproject Foundation, Barcellona (2021); Passages / Paysages, Palazzo Barbò, Torre Pallavicina (BG); K60, Wilhem Hallen, Berlino (2021); Flat Fold Floats, Spazio KN, Trento (2020); Polyptoton, Biennale del Cairo (2018); G, Funkhaus Berlin, Berlino (2018); Una Vetrina, The Indipendent project – MAXXI, Roma (2016); The Hawt Show, outdoor project di Galerie Rolando Anselmi (Berlino), Frosinone (2016); Lunghezze d’Onda, Palazzo Sforza Cesarini, Genzano di Roma (2015).

Palazzo Oldofredi Tadini Botti, già nella seconda parte del XV secolo, è la dimora estiva segreta degli Sforza, situata nello stato della Calciana, sul tratto medio del fiume Oglio, linea di confine con la Serenissima. Di particolare interesse sono le stanze del Piano Nobile con pareti a grottesche, un interessante ciclo pittorico dedicato alla favola di Cupido e la stanza militare con paesaggi e insediamenti militari riferiti alla zona dell’Oglio. Di grande rilievo anche la loggia, anticamente chiusa con ampie vetrate tra i cinque archi, affrescata con figurazioni riferite a Busseto, la Calciana e Castel Sant’Angelo (tributo a Caterina Sforza). Alla fine del ‘500, gli Oldofredi di Iseo acquisiscono il Palazzo da cui governano controllando i dazi sui porti, i guadi del fiume e il commercio del sale.

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