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Intervista a PAOLO PALMIERI di Leonardo Regano 

Ritorna #CloseUP l’approfondimento sul collezionismo italiano promosso da Espoarte in collaborazione con Art Defender. In questo nuovo appuntamento incontriamo Paolo Palmieri, imprenditore di origini liguri, che dal 1998 ad oggi ha dato vita a una collezione d’arte contemporanea che conta circa 150 opere e che vanta nomi di rilevanza nazionale e internazionale tra cui Georgina Starr, Susan Philipsz, Jonathan Monk, David Shrigley, Jeppe Hein, Ryan Gander, Tomas Saraceno, Paul Chan, Takashi Murakami. È un importante focus sulle ricerche più innovative degli ultimi vent’anni, quello messo a punto da Palmieri, collezionista che oggi ha scelto di aprire gli spazi della sua dimora privata di Celle Ligure, in provincia di Savona, ad artisti e pubblico per un programma di residenze curato in collaborazione con sua moglie, Maria Antonietta Collu, e intitolato “Appuntamento con l’Artista” (ne abbiamo parlato qui).

Paolo Palmieri e Maria Antonietta Collu davanti a Ritratto Analitico dei Gelitin, realizzato a Milano durante la performance Ritratto Analitico Teatro Arsenale Milano Liberi Tutti Fondazione Trussardi, 2013. Foto Marcello Campora

Partiamo dal principio. Cosa ti ha spinto, alla fine degli anni Novanta, all’acquisto della tua prima opera d’arte e a dare avvio a una vera e propria collezione?
Alla fine degli anni Novanta inizio a frequentare con maggiore assiduità e interesse le gallerie locali e le fiere d’arte: Basilea e Torino in particolare, ma anche Milano e Bologna. Il mio primo acquisto è stato un multiplo di Amedeo Martegani, dal titolo ONDE, un multiplo in tiratura di 60 copie. Sono tre grandi fotografie del mare riprese dell’alto con una tecnica che mette in risalto la brillantezza della schiuma delle onde. Un lavoro di grande impatto visivo che ho ancora oggi esposto e che guardo sempre con piacere.
Nella mia collezione c’è una prevalenza di opere su carta e di installazioni. Posso citare tra i vari nomi Peter Land, Charles Avery, oppure la parte grafica di Scott King. Ho anche acquistato un appuntamento, un’opera di Jonathan Monk in cui nel 2003 mi dava appuntamento il 24 aprile del 2014 a mezzogiorno a Torino, sotto la Mole Antonelliana. Un incontro che è poi davvero avvenuto.

Paolo Palmieri e Jonathan Monk a Torino all’appuntamento “Mole Antonelliana Torino 24 aprile 2014 a mezzogiorno“

E tra le gallerie locali, hai dichiarato in più occasioni il tuo legame con una tra tutte, ovvero la New Sant’Andrea divenuta poi Pinksummer Contemporary Art. Com’è nato questo incontro?
Il mio primo riferimento è stato in realtà la Galleria Sant’Andrea, fondata e diretta da Caterina Mamberto a cui è poi succeduta la figlia Francesca Pennone che ha, a sua volta, fondato la New Sant’Andrea, sempre a Savona. Francesca si è subito rivelata brava e capace; ogni visita in galleria era per me un motivo di approfondimento dell’arte contemporanea. Nei suoi spazi ho imparato a conoscere l’opera di maestri come Wolfgang Tillmans o i coniugi Becher. Dopo aver lasciato Savona per Genova, nel 2000 Francesca ha fondato assieme ad Antonella Berruti la Pinksummer Contemporary Art, galleria che resta per me ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile. Io e lei ci sentiamo spesso e, nel tempo, abbiamo costruito un rapporto di fiducia e amicizia.

Veduta interna della casa di Paolo Palmieri. Da sx Stefania Galegati, in alto Wolfgang Tilmans, sotto Xavier Veillan, Annika Ström.

E oltre loro, quali altre gallerie sono state o sono per te dei riferimenti?
Ho molto apprezzato il lavoro di Sonia Rosso, a Torino, che però nel 2010 ha purtroppo chiuso la sua attività. Lei lavorava con artisti molto interessanti, che continuo a seguire tra cui Jonathan Monk, Jim Lambie, Pierre Bismuth. A Milano, invece, ho conosciuto Jennifer Chert quando ancora era assistente da Zero. Lei ha avuto una straordinaria carriera, lavorando anche con Johann König a Berlino, città in cui ha aperto poi la sua galleria che gestisce in collaborazione con il socio, Florian Lüdde. Su consiglio di Jennifer, quando ancora lavorava per König, ho comprato per esempio una bella installazione di Jeppe Hein o un’opera di Michael Sailstorfer e di Tue Greenfort, artisti che dopo anni si sono rivelati come dei veri buoni acquisti.

Possiamo parlare di uno sguardo attendo anche alle giovani promesse?
Anche in questo caso credo che sia fondamentale il rapporto di fiducia con la galleria. Ovviamente c’è sempre un fattore di rischio che non si può eliminare, ma se il gallerista sa fare bene il proprio lavoro credo che questo sia davvero minimo. Per esempio, sempre Jennifer Chert qualche anno fa mi consigliò l’acquisto di Petrit Halilaj, allora appena diplomato a Brera. Oggi l’opera che ho comprato di Petrit mi è stata chiesta in prestito per la Biennale di Berlino.

Hai invece mai acquistato delle opere in asta?
No, guardo le aste con estrema curiosità ma non mi sono mai approcciato a questo mondo. Mi è sempre piaciuto avere lavori di prima mano, diciamo così, “freschi”. Da un punto economico questa mia scelta è forse un errore, me ne rendo conto ma non ho pentimenti. Ti faccio un esempio ancora più calzante. Ricordo quando in fiera, a Bologna, per gli stand c’erano esposte ovunque opere di Alighiero Boetti, così come quelle di Lucio Fontana. Entrambi mi piacevano molto ma avevo appena iniziato a collezionare arte contemporanea ed ero deciso – come lo sono tutt’oggi – a non focalizzarmi su artisti troppo affermati o già storicizzati. Così ho perso l’occasione di comprare le loro opere quando ancora avevano un prezzo ragionevole.

E a proposito di fiere, come è stato il ritorno tra gli stand dopo questi due anni di blocco?
Negli ultimi anni il mio interesse è sempre più rivolto al programma di residenze, e visito molto meno gallerie e fiere. A novembre scorso sono stato ad Artissima e a giugno sono tornato anche a Basilea, dopo anni di assenza. La mia impressione è che, in generale, ci sia una stasi nel “sistema fiera” che non credo dipenda dalla pandemia, o solo da essa. Agli inizi degli anni Duemila c’era un grande fermento, c’erano tante giovani gallerie che si stavano affermando, anche italiane come quella di Massimo De Carlo, Franco Noero, Isabella Bortolozzi, Raffaella Cortese o la Galleria Continua. Negli ultimi dieci anni non si registra più questa energia innovatrice, c’è più una spiccata tendenza al consolidamento della scena. Forse anche i vari comitati di selezione, solitamente in mano agli stessi galleristi, funzionano poco e portano avanti sempre i soliti nomi. Ho letto – ma ammetto di non essermene accorto durante la mia visita – che Art Basel sta sperimentando l’opportunità di allargare l’offerta accogliendo anche gallerie che hanno meno di tre anni di attività e che non hanno una sede fisica, requisiti che in effetti credo che oggi sia giusto rivedere.

Quali impressioni hai avuto sulle tendenze del mercato?
Mi ha molto colpito la notizia della vendita da parte di Hauser & Wirth di uno Spider del 1996 di Louise Bourgeios a 40 milioni di euro.

Il segno evidente che c’è una ripresa economica dopo le incertezze degli ultimi due anni?
Dal mio punto di vista i grandi collezionisti non si sono in realtà mai posti dei veri problemi. Sono i piccoli collezionisti che invece hanno fatto e credo facciano ancora fatica in questo momento storico. Anche solo acquistare un giovane, oggi, è un investimento importante con delle cifre impegnative e – spesso – ingiustificate. Capisco poi che una galleria debba rientrare dell’investimento sostenuto per partecipare alle fiere, che sappiamo le impegna per circa 20 o 30 mila euro.

Maria Antonietta Collu e Paolo Palmieri davanti alla tela di Sebastiano Sofia “New house”, 2021

Nel 2019 hai presentato “Appuntamento con l’artista”, un programma di residenze che ospiti negli spazi della tua dimora privata. Possiamo dire che il tuo modo di collezionare arte è cambiato?
“Appuntamento con l’artista” è un progetto che è nato come spontanea evoluzione di un approccio diretto all’arte. Durante uno studio visit da Nicola Filia io e mia moglie Maria Antonietta abbiamo preso questa decisione, sperimentando un rapporto più diretto con l’artista, seguendo la sua produzione in ogni aspetto e ospitandolo per una mostra finale nei nostri spazi di vita quotidiana. La prima vera residenza è però stata con Sebastiano Sofia, l’anno dopo, che ha trascorso con me e la mia famiglia circa due mesi, vivendo con noi e diventando quasi un terzo figlio. L’ultimo progetto ha avuto come protagonisti Paul Noble e John Pettenuzzo.

Veduta delle opere di John Pettenuzzo e Paul Noble, nell’ambito di “Appuntamento con l’artista #3”, 25 marzo – 31 maggio 2022, Palmieri Contemporary, Celle Ligure (SV).

Come scegliete gli artisti in residenza, per bando o per chiamata diretta?
Sempre per chiamata diretta, seguendo il nostro gusto. Mi piace avere voce attiva, senza vincolarmi alle scelte di curatori o galleristi. Per esempio, la nostra prossima ospite, Monika Romstein, l’abbiamo invitata dopo averla a lungo seguita sui social e via web.

Un altro episodio che ti ha visto direttamente impegnato nella produzione di un’opera è quello promosso da Gelitin ad Artesina. Com’è andata in quell’occasione?
I Gelitin avevano presentato il progetto Pink Rabbit per Genova 2004, non venendo però scelti da Germano Celant che aveva la direzione artistica di Genova Città della Cultura. Dato i miei rapporti con Pinksummer, la loro galleria di riferimento, ho proposto loro di realizzarlo ad Artesina, dove avevo spazio a sufficienza per ospitarlo. Abbiamo istituito una vera e propria cordata di collezionisti che hanno coperto la produzione dell’opera in cambio di un multiplo. E sono stato molto contento perché ha avuto modo di lavorare con dei veri e propri professionisti che hanno rispettato i tempi e gli accordi presi.

Quindi possiamo parlare quasi di un collezionismo che punta al mecenatismo?
Tra virgolette. Io non posso permettermi di destinare grandi cifre per l’arte contemporanea, come ci si attende da un vero mecenate. Mi sono innamorato di questo modo di lavorare e ho dato il mio contributo. Però fondamentalmente io sono un collezionista, sostengo il loro lavoro sempre però comprando opere.

In conclusione, ti faccio una domanda secca: hai mai avuto dei pentimenti ripensando ai tuoi acquisti?
Assolutamente no, sono contento di tutto quello che ho acquistato. Ti confesso che non ho ancora mai venduto nulla della mia collezione. C’è stato un periodo in cui di ogni artista compravo sempre due lavori. Mi dicevo così, se voglio, uno lo posso vendere per finanziare nuovi acquisti. E invece no. Oggi, con il senno del poi e avendo due figlie, ho capito questa poteva essere anche una scelta vincente ma più che altro per evitare problemi in futuro di divisioni tra loro.

CloseUp è un appuntamento mensile con il collezionismo, a cura di Leonardo Regano, realizzato in collaborazione con Art Defender.

Leggi gli altri episodi di #CloseUp: www.espoarte.net/tag/closeup/

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