di Ignazio Gadaleta
In «stato di eccezione», le soluzioni ai problemi non possono che essere eccezionali. La possibilità (o la necessità) di deroga dalla consuetudine di pratiche consolidate può essere occasione per sperimentare nuove metodologie di intervento.
Dal febbraio 2020, con l’insorgere dell’emergenza Covid-19 e il connesso confinamento entro le mura dei nostri domicili privati (lockdown), ogni attività di quelle ordinariamente svolte nelle nostre istituzioni di appartenenza è stata interrotta.
Anche nell’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, in uno dei territori più colpiti dalla pandemia, ci è stato precluso l’accesso e abbiamo dovuto inventarci istantaneamente la didattica “a distanza”, immaginando nuove «possibilità di relazione».
Ci siamo ritrovati quindi, ognuno nella propria casa o nel proprio studio, davanti agli schermi retroilluminati dei nostri computer, a imparare in fretta e furia come usare piattaforme digitali di connessione per incontrare virtualmente i nostri studenti attraverso video-conferenze.
Nell’immediato abbiamo provato sgomento e disagio per diversi motivi.
Il divario digitale (digital divide), un problema mai seriamente posto prima, ha costituito già un primo ostacolo alla comunicazione in rete. Per fortuna questi problemi sono stati ben presto risolti.
Durante i primi collegamenti, ogni tipo di relazione sembrava potersi fondare solo sulle parole: parole da dire, parole da ascoltare. Non erano avvertibili tutti quei segnali infinitesimali non verbali che nella comunicazione diretta possiamo recepire. Si guardavano solo immagini superficiali, spesso a bassa definizione. Grande assente era la materialità del «corpo della pittura», percepibile anche tattilmente con il “toccare con mano”. Anche gli odori non erano più annusabili. La luce dei monitor abbagliante i nostri occhi affaticava la nostra vista. Presto si avvertiva una stanchezza che determinava un calo dei livelli di attenzione, insorgeva quindi una sorta di disequilibrio psichico che ostacolava l’adattamento alla modalità di interazione virtuale indotta dalla didattica da remoto (zoom fatigue).
Inizialmente, equivocando le istruzioni ricevute dalle strutture di coordinamento didattico nonché le potenzialità espansive di connessione mediante conference call, la didattica “a distanza” è stata resa quasi esclusivamente sul piano teorico.
Ben presto mi sono accorto che il programma ordinario doveva evolvere secondo le logiche di una programmazione flessibile in relazione alla nuova situazione operativa e alla diversa condizione psichica di ognuno di noi. Come durante le lezioni in presenza, le comunicazioni teoriche e i dibattiti collettivi dovevano integrarsi invece nella concretezza di azioni finalizzate alle prassi linguistiche caratterizzate da radicalità pigmentarie. Si è incentivato quindi lo sviluppo di una didattica orizzontale finalizzata al vivere la pittura in modo totale.
Nonostante la “distanza”, ogni studente ha potuto sviluppare ulteriormente la propria ricerca artistica nella continuità applicativa, realizzando un’immersività sensibile. Lo studio del maestro, ben oltre il tempo del cosiddetto “orario delle lezioni”, è stato in continua comunicazione virtuale con le stanze-studio di ogni allievo.
Si è realizzato così un Atelier diffuso, sede virtualmente ampia che ha consentito una didattica molto più efficace di quella che avrebbe potuto svolgersi nella ristrettezza di spazi e tempi dell’organizzazione logistica consueta dell’Accademia nel Palazzo di Brera.
La pittura meditata, costantemente presente anche intorno agli occhi e nei pensieri di noi pittori (maestro e giovani allievi), si è rivelata un’azione felice. Praticando processualità aventi decisi caratteri pigmentari, si è potuto lavorare con intensità alla costruzione di nuovo senso di epifanìe luminose attraverso il linguaggio della pittura.
Gioia, luce-colore, ecologia-riciclo sono stati i temi insorti, quasi per naturale conseguente affioramento.
L’operare “a distanza” ha reso ancora più urgente del solito lo sviluppo di capacità di comunicazione dell’opera attraverso la produzione di immagini di documentazione alle più alte risoluzioni e perseguendo la massima corrispondenza cromatica rispetto agli originali. Dalle consapevolezze dei modelli colore a quelle del colorito (memori delle esperienze emozionalmente immersive della Nuova scuola di Colorito di Brera, condotte nei saloni della Pinacoteca) si è mirato indirettamente – ma di fatto – anche all’acquisizione di tutti quei saperi di tecnologie digitali propri della nuova figura professionale del colorist.
Questa modalità didattica potrà essere ancora potenziata nel corso dell’Anno Accademico 2020/2021 e sono certo potrà costituirsi come modello metodologico leader, trainante non solo l’insieme delle attività formative dei laboratori dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ma anche affermarsi come esempio di “buona pratica” nel sistema terziario dell’Alta Formazione Artistica.
Ignazio Gadaleta è Docente di prima fascia di PITTURA e CROMATOLOGIA nell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.