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MILANO | Galleria Giovanni Bonelli | Fino al 29 ottobre 2016

Intervista ad ANGELO FILOMENO di Roberto Lacarbonara*

L’immaginario elaborato nelle icone e nei simboli dell’arte di Angelo Filomeno ha una solennità preziosa e religiosa e pure tormentata e lirica: una ricerca che si aggira nei territori del mito sfiorando i sedimenti silenziosi della memoria collettiva. È un’opera al confine con la ritualità teatrale e con l’ossessione popolare per la superstizione, in grado di intrecciare immagini ed archetipi medievali con la narrazione universale della paura, della morte, dell’esoterismo. E al contempo produce i suoi elegantissimi vessilli, senza espellere il macabro e l’osceno ma conducendoli al centro della scena, esorcizzando le tenebre per mezzo della radiosa bellezza della seta e del colore. Dopo la mostra mostra personale alla Fondazione Pino Pascali (Polignano a Mare), quella in corso da Galleria Giovanni Bonelli (Milano) e la presenta tra gli artisti di galleria ad ArtVerona appena conclusa, Filomeno ridiscute la storia delle immagini, ripercorrendo la vicenda biografica con la piena immersione nella matrice storico-antropologica del suo lavoro.

Angelo Filomeno, Still Life with Shell (dettaglio), 2013, ricamo e cristalli su seta applicata su lino, cm198x99.Courtesy: Angelo Filomeno / Galerie Lelong, New York / Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Angelo Filomeno, Still Life with Shell (dettaglio), 2013, ricamo e cristalli su seta applicata su lino, cm198x99.Courtesy: Angelo Filomeno / Galerie Lelong, New York / Galleria Giovanni Bonelli, Milano

C’è un’umanità globale e complessa a cui fai riferimento nella tua produzione, attraversando la sommità mediterranea dell’Africa – così manifesta e dichiarata nell’ultima mostra-omaggio a Pino Pascali – per giungere alla matrice nordica della pittura gotica e medievale. Quale civiltà si nasconde dietro la tenda?
Molti degli aspetti e delle scelte visive presenti nel mio lavoro sono innanzitutto legati alla mia storia, alla mia esperienza. A volte mi sembra di volteggiare attorno a quella infanzia nel sud Italia, così segnata dalla perdita dei miei genitori quando ero ancora un bambino. Credo di aver sempre convissuto con una condizione, o una consapevolezza, della profonda commistione, quasi complicità, tra la vita e la morte. A questo però si aggiunge la mia curiosità e la ricerca orientata da anni verso quanto di misterioso e nascosto vi è nella nostra cultura e, forse, nell’uomo stesso. Nel caso della mostra alla Fondazione Pascali, come in tutti i lavori di questi ultimi anni, non si tratta però di una ispirazione legata all’Africa, sebbene io sia un collezionista di arte africana da oltre 10 anni, bensì di una fascinazione subita più in generale dalle maschere, dai rituali del travestimento e della cosmesi, da quelle meravigliose forme di primitivismo che ricorrono nei manufatti e negli amuleti e che abbiamo voluto addirittura esporre al centro della sala espositiva di Polignano.

La terra di origine resta dunque protagonista, soprattutto nell’eco della cultura immateriale: la superstizione, la magia, il rito…
Assolutamente sì. La superstizione, la stregoneria, gli amuleti sono sempre protagonisti del mio fare artistico soprattutto con un frequente ricorso alle forme della cultura orientale, alla Turchia, all’Anatolia o, più in generale, alla cultura gipsy.

Eppure il mistero arcaico spesso convive con la felicità radiosa della festa. L’eleganza dei tuoi tessuti ed il colore sono un inno alla rinascita della comunità.
Sì, c’è sempre nel mio lavoro un doppio, una polarità opposta all’altra: il bene e il male, resi attraverso l’immagine, ad esempio accostando la brutalità di uno scorpione alla leggerezza di una farfalla, oppure tramite materiali di valenza oppositiva, ad esempio intrecciando la seta con il lino grezzo o con il sacco di juta.
Il lavoro complessivo risulta assolutamente prezioso ed elegante al primo impatto ma poi esige un avvicinamento, una scoperta, un accesso alle parti più minuziose dove man mano l’occhio coglie le piccole deformazioni e le mostruosità, gli scarafaggi, le zampe, i fiori morenti, il contrasto tra i colori delle tenebre ed i fiori, o i limoni.

Angelo Filomeno, Untitled, 2013, ricamo e cristalli su seta applicata su lino, cm 198x99. Courtesy: Courtesy: Angelo Filomeno / Galerie Lelong, New York / Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Angelo Filomeno, Untitled, 2013, ricamo e cristalli su seta applicata su lino, cm 198×99. Courtesy: Courtesy: Angelo Filomeno / Galerie Lelong, New York / Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Questa tecnica di rammendo ti consente di lavorare su grandi superfici ma anche su elementi minimi trattati alla stregua di orpelli da oreficeria. Un esercizio che inizia in che modo, e quando?
Questa esperienza ha una data di nascita precisa: gennaio 2001. È una vera e propria visione, un’intuizione. Io lavoravo in una sartoria teatrale a New York e manipolavo una enormità di tessuti, materiali preziosi, ricami. Ero circondato dalla magia dei costumi e del teatro e mi affascinava soprattutto il segreto del ricamo, il suo recto e verso, la forma armoniosa offerta alla vista e quella caotica ed intrecciata che resta sul fondo invisibile. O, meglio, invisibile a tutti tranne che ai tecnici e agli artigiani.

Il tuo lavoro è quindi concepibile anche in senso teatrale, quasi come se le tele fossero quinte dall’ampio sviluppo verticale.
Questi lavori recenti sono molto teatrali, anche per l’esigenza della luce spotlight. A volte il colore ha una profondità di campo assolutamente protagonista che occorre esaltare con la luce giusta, proprio come a teatro. Inoltre io ricerco sempre il contrasto, anzi la danza delle superfici trasparenti, di quelle riflettenti e luccicanti rispetto a quelle opache.

Nei nuovi lavori esposti da Giovanni Bonelli presenti una ricerca molto interessante sulla scelta del tessuto. Di che si tratta?
Si tratta di una serie di amuleti ispirati ai kilim dell’Anatolia, drappi pregiatissimi realizzati sui chuval, ovvero sui sacchi abitualmente usati come sacche per i cammelli. La struttura stessa del chuval sembra impaginare magnificamente l’immagine in quanto presenta una serie di strisce superiori ed inferiori che ho lasciato in evidenza.
È stupendo il modo in cui subisci il fascino dei materiali, fondamentale nella genesi del tuo lavoro. Forse solo ad un secondo livello subentra la citazione esotica o magari il riferimento antropologico e sociale.
Onestamente, non ho mai preso in considerazione gli aspetti politici e sociali o, come dire, “boettiani”. Piuttosto mi interessa la relazione tra le categorie povero e ricco, nudo e vestito, ma non da un punto di vista sociale bensì da un punto di osservazione materico e sostanziale.

Angelo Filomeno, Amulet (White Chandelier), 2013, ricamo e cristalli su seta applicata su lino, cm 198x99. Courtesy: Courtesy: Angelo Filomeno / Galerie Lelong, New York / Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Angelo Filomeno, Amulet (White Chandelier), 2013, ricamo e cristalli su seta applicata su lino, cm 198×99. Courtesy: Courtesy: Angelo Filomeno / Galerie Lelong, New York / Galleria Giovanni Bonelli, Milano

Queste due mostre italiane implicano un’idea di ritorno dopo oltre vent’anni trascorsi a New York?
In realtà sono molti anni che discuto, anche con Giovanni Bonelli, di questa ipotesi. Tuttavia ho sempre procrastinato a causa di operazioni internazionali molto impegnative come la mostra di Kanazawa o di Louisville, o quelle alla Galleria Lelong [New York] e Anne de Villepoix [Parigi]. Ogni volta che sto per prendere una decisione i lavori si avviano per una strada propria e io non faccio altro che inseguirli. Tra l’altro, io non lavoro con assistenti e la produzione di ogni singolo pezzo può comportare moltissimo tempo per cui le cose evolvono sempre lentamente.

E il futuro prossimo?
Dipende davvero dalla vita delle opere e delle mostre. Ora mi concentro sull’allestimento di questa nuova esposizione milanese, poi vedrò quello che accade e in che direzione accade!

*Intervista tratta da Espoarte #94

Angelo Filomeno

22 settembre – 29 ottobre 2016

Galleria Giovanni Bonelli
via Luigi Porro Lambertenghi 6, 
Milano

Info: +39 02 87246945
info@galleriagiovannibonelli.it
www.galleriagiovannibonelli.it

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