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MILANO | Studio d’Arte Cannaviello | 5 marzo 31 luglio 2020

di PIETRO BAZZOLI

Si tratta di un esordio senza dubbio interessante, perché, quando alla freschezza di uno sguardo giovane si aggiunge mezzo secolo d’esperienza, il risultato non può che essere appagante. Le premesse per una mostra di livello ci sono, e non sono state disattese: la prima personale italiana di Marion Fink (1987) anima gli spazi della galleria Studio d’Arte Cannaviello in maniera decisa e travolgente.

Marion Fink, The seedlings she had nurtured would turn entire worlds upside down, 2020, monotipo, olio e pastello a cera su carta, 210×153 cm

Unica, involontaria imperfezione: la battuta d’arresto causata dalla chiusura forzosa, ferita aperta in un’esposizione che altrimenti avrebbe raccontato un’altra storia, reale e virtuale. Un dramma espositivo contro cui moltissime gallerie hanno dovuto cimentarsi e che, sfortunatamente, ancora decide le sorti di ogni evento culturale. Nonostante ciò la presenza delle opere di grandi dimensioni in totale, una ventina rende concreta e palpabile la visione di cui Marion Fink si fa protagonista.
È una realtà dai contorni che sfociano nell’immaginario, nel surreale esasperato, dove fisionomia e finzione calcano i medesimi palcoscenici. Il ritmo della composizione, scandito da palette di toni brillanti in contrapposizione a sfumature scure, creano i contorni di un dualismo tra verosimile e incerto: mondi sospesi e difficilmente navigabili ipnotizzano anche grazie alla complessa composizione l’osservatore.

Marion Fink. Another level of assumption, veduta della mostra, Studio d’Arte Cannaviello, Milano

Un interrogarsi sull’esistenza in cui la figura umana fa da contraltare alla suggestione, incrementando il senso di curiosa fascinazione che suscitano le opere. Individui comuni sono immortalati in pose plastiche e innaturali, più vicine a contesti quali le fotografie che si scorgono sui social media o nelle riviste di moda. Marion Fink si appropria di tali figure, gettate in pasto agli occhi inermi di uno spettatore qualsiasi, per estrapolarle dal contesto d’origine: è proprio l’alternanza tra il noto e l’inconoscibile paesaggio in cui sono immerse a renderle così impattanti. Al punto da chiedersi se i protagonisti dell’opera non si siano persi, interrogandosi sul “qui e ora” che giornalmente si sta vivendo.
Le opere su carta di Fink sono create attraverso un processo di stampa a monotipo, che caratterizza in maniera unica il suo modo di approcciarsi al lavoro. L’artista utilizza pittura a olio e pastello, dipingendo le immagini prima su grandi lastre di plexiglass, che poi trasferisce sulla carta attraverso la pressione del proprio corpo. Aggiunge pezzo per pezzo ogni tassello di una matrice in evoluzione, che produce collage sempre misurati e, appunto, inimitabili: la suggestione compositiva è caricata da questo uso inedito del corpo, come se fosse un torchio.

Marion Fink, They themselves had shaped the character of their shared experience, 2019, monotipo, olio e pastello a cera su carta, 153×120 cm

Una pittura “fisica”, capace di esternare connotazioni dai tratti spettrali, che raffigurano scenari idiosincratici e astratti, creando la totalità dell’opera. Sono frangenti composti da testi, figure e oggetti che, secondo l’artista, “danno forma alle considerazioni filosofiche quotidiane sulla costruzione individuale di realtà e identità”.
Per ciò l’uso autonomo della parola, che vive esternamente e in modo didascalico rispetto al resto dell’opera: un elemento ulteriore, che conferisce un nuovo livello di significato per mezzo di un flusso di coscienza poetico, poiché “ogni conclusione può solo essere un altro livello di supposizione”.

Marion Fink. Another level of assumption

5 marzo 31 luglio 2020

Studio d’Arte Cannaviello
Piazzetta Maurilio Bossi 4, Milano

Orari: da martedì a sabato 11.00-19.00

Info: +39 02 84148818
info@cannaviello.net
www.cannaviello.net

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