NAPOLI | PAN – Palazzo delle Arti Napoli | 2 dicembre 2021 – 28 febbraio 2022
di ANNALISA FERRARO
Lucio Amelio conosceva bene Napoli, la sua propensione all’accoglienza, la sua vivacità, il suo fascino, quell’intelligenza che le consentiva, e le consente ancora, di rinnovarsi e reinventarsi continuamente. Ne conosceva, ovviamente, anche tutti i difetti e le difficoltà da essi derivanti, ma questi non rappresentarono mai un ostacolo né per lui né per le figure che gli gravitarono attorno. Fu proprio Amelio, insieme ai validi galleristi, mecenati, collezionisti e intellettuali attivi a Napoli tra gli anni ‘60 e ‘80[1], a rendere nuovamente fertile il terreno artistico e culturale napoletano, alimentando uno scambio costante e proficuo con le avanguardie europee e americane. Convinto che l’arte non potesse prescindere dal rapporto con la società e con le comunità che la costituiscono, Amelio concepì sempre lo spazio galleria come un ambiente aperto, al servizio non solo degli addetti ai lavori e del pubblico appassionato ma, più in generale, della città e dei cittadini. Sarebbe impossibile parlare di arte contemporanea a Napoli senza parlare di Lucio Amelio e della storia che fu, che contribuì a rendere la città internazionale, in grado di accogliere artisti come Andy Warhol, Joseph Beuys, Jannis Kounellis, Tony Cragg, stimolando un dialogo con gli artisti italiani, come Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Alberto Burri.
La mostra Dalla Napoli di Keith Haring ai giorni nostri, inaugurata il 2 dicembre presso il PAN – Palazzo delle Arti Napoli, a cura di Andrea Ingenito, muove i suoi passi proprio a partire dal contesto artistico e culturale raccontato, e dall’avanzare a Napoli, a quel tempo e ancora oggi, della pop art, nelle gallerie, nei musei, ma anche lungo le strade cittadine. Nelle sale del settecentesco Palazzo Roccella in via dei Mille, a pochi metri da Piazza dei Martiri che Lucio Amelio scelse come sede della sua seconda galleria a Napoli, le opere degli anni ’80 di Keith Haring, tra cui il celebre Randi 88, la serie completa White Icons, il Radiant Baby, dialogano con i lavori di Roxy in the box, Luciano Ferrara e Trallallà, con una sequenzialità non solo temporale ma anche espressiva e culturale, chiara, sincera e mai forzata.
Sono le testimonianze fotografiche di Luciano Ferrara a stimolare il racconto curato da Ingenito e sono quelle stesse immagini a costruire, pezzo dopo pezzo, nelle sale del Palazzo delle Arti, un legame tra il passato e il presente, tra l’atmosfera che fu e i nostri giorni, rendendo esplicita da un lato l’eredità della cultura pop e dall’altro la grande capacità dei nostri artisti di rapportarsi con la società, senza rimarcare riferimenti artistici e culturali, ma piuttosto servendosi di quella grande spontaneità che la stessa pop art richiedeva, affinché si potesse avviare un dialogo costruttivo con la collettività.
Le immagini di Ferrara non fungono però solo da documentazione visiva ma rappresentano vere e potenti indagini, in grado di cogliere l’intimità dei gesti, l’intensità dei momenti e dei movimenti che ne avevano creato il contesto e i presupposti. In ogni sua fotografia, Ferrara non racconta solo l’attimo immortalato ma porta con sé la storia di un avvenimento, il valore di tutto ciò che l’ha preceduto, il potenziale di tutto ciò che potrà accadere dopo, l’energia di ciò che l’ha circondato. Abituato a collaborare con storici e sociologi, i suoi reportage hanno acquisito la capacità di fermarsi in un punto di equilibrio tra ciò che è stato e l’attualità, delineando spesso le tracce di ciò che ne è seguito o ne seguirà. Andy Warhol, Joseph Beuys, le performance di Keith Haring, la Galleria di Lucio Amelio, il pubblico incuriosito e divertito, le fotografie in mostra offrono uno spaccato della Napoli di quegli anni e del fermento che questi scambi artistici con il resto del mondo generarono, fermento che, insieme alla storia e al patrimonio di Napoli, contribuì a rendere inscindibile il rapporto tra la città e i suoi nuovi ospiti.
La mostra presenta poi una piccola retrospettiva dell’artista social pop Roxy in the box, un viaggio tra i lavori che dagli anni ’90 ad oggi hanno assorbito Napoli, restituendone visioni, scenari, miti e leggende popolari, attraverso linguaggi, media e tecniche differenti. Opere già conosciute dal pubblico, opere inedite e opere nate nel passato e rivisitate oggi, Roxy porta nelle sale del Palazzo delle Arti il risultato di un processo creativo fatto di lunghi momenti di osservazione, di un rapporto sincero con Napoli e con i suoi abitanti, con i luoghi di scambio e di incontro di una città viva, verace e multiculturale. Roxy osserva e poi riporta nei suoi lavori: dipinti, video, fotografie, installazioni, interventi urbani, assumono tutti il valore di testimonianza visiva, mai di polemica, mai di denuncia, ma di presa di coscienza sì, di riflessione critica, di atto di conoscenza. Lo si comprende bene osservando Happy Washing, la riproposizione di un accumulo di rifiuti solidi, che l’artista ha più volte incontrato per caso per le strade della città e in cui ha sempre riconosciuto la forma di un’installazione perfettamente compiuta, in grado di raccontare più storie e vite vissute. Le anime di due lavatrici parlano ai passanti e agli altri oggetti che le circondano, confidano le speranze tradite, il sogno di ritrovarsi a fine vita in un paradiso loro destinato, la delusione di essere abbandonate sul ciglio di una strada, senza rispetto né cura.
In No Air e in A colazione da Pippi la spensieratezza di due scene di vita quotidiana viene interrotta da un accadimento silenzioso, lento e inaspettato: nella prima, il viaggio di una bambina sulla sua altalena è accompagnato dall’allarme lampeggiante “NO AIR”; nella seconda, la ricerca della leggerezza da parte di una travestita che vuole assomigliare a Pippi Calzelunghe è smorzata dalla progressiva caduta al suolo di un gruppo di farfalle colorate, una dopo l’altra muoiono poggiandosi sulla scritta “NO FLOWERS”. In entrambi i casi, l’artista porta all’attenzione del pubblico la mancanza di verde in città e con essa l’impossibilità di immaginare il futuro dei bambini e delle specie che ci circondano. Una testimonianza, appunto, di ciò che Roxy vede nel presente della nostra società, e una riflessione e un presagio su ciò che verrà. Osservatrice inerme di questo spettacolo è la Regina di Napoli che, nell’opera E le regine stanno a guardare, volge il suo sguardo fuori dalla finestra e assiste impassibile al progressivo decadimento del suo regno, ma nulla cambia nella sua routine, tutto procede come se nulla stesse accadendo.
Infine, le opere di Trallallà, conosciuto anche come ORMAI, location manager per le produzioni cine-televisive da un lato, street artist dall’altro, due attività che spesso si incontrano, nella ricerca dei contesti architettonici o naturalistici migliori in cui intervenire e lasciare il segno. La strada ha rappresentato per lui sempre il perfetto campo d’azione, alla ricerca del supporto ideale su cui realizzare le sue opere, nel centro storico di Napoli, su quei muri che portano le tracce dei secoli trascorsi e del sovrapporsi delle innumerevoli vite che li hanno segnati, o in quei luoghi bagnati dal mare, in cui gli elementi conservati, naturali o artificiali che siano, raccontano o sono pronti ad accogliere i racconti della storia di Napoli.
Se il contesto urbano ha sempre rappresentato per Trallallà l’ambiente naturale in cui muoversi, lo spazio in cui i propri lavori potessero essere al servizio del sorriso delle persone, non musealizzati ma effimeri e liberi di consumarsi, nelle sale del Pan l’artista trova ugualmente la sua perfetta collocazione, all’interno di una narrazione che dalle strade di Keith Haring arriva dritta alle sue opere. Senza snaturare la sua produzione, ma anzi mettendola in dialogo con gli interventi di altri artisti, proprio come accade nelle strade di Napoli, l’artista mostra al pubblico le sue Ciacione, un elogio allo spirito di non omologazione che contraddistingue tante ragazze e donne napoletane, abbondanti e sensuali, non curanti degli standard che i media vorrebbero imporre. Diventate velocemente icona, le Ciacione sono proliferate in tutto il centro storico, alcune sono ancora visibili, di tante altre restano solo documentazioni fotografiche. La Ciaciona si fa poi Sirena, in quella Napoli che tutto lega a Partenope. Trallallà la riporta spesso vicino al mare, sugli scogli o sulle barche, perché possa ricongiungersi al suo elemento naturale. Tra le testimonianze fotografiche, le Ciacione e le Sirene, Trallallà riempie un’intera sala del Palazzo delle Arti, portando un pezzo della vita di strada in uno spazio formale, in cui le relazioni e i dialoghi tra i lavori di artisti differenti sono curati ed equilibrati, le pareti pulite, gli sguardi del pubblico possono muoversi indisturbati e senza fretta. Cambia lo scenario e cambiano le condizioni di fruizione, ma i lavori di Trallallà restano spontanei, ironici e senza tempo, e neanche per un momento perdono la loro accezione di opere popolari, al servizio della comunità.
Ad arricchimento e completamento del percorso espositivo, fuori progetto, un’inaspettata e sorprendente opera di Banksy, Choose Your Weapon, in cui l’iconico Barking Dog di Haring è rivisitato secondo la cifra stilistica dell’artista inglese.
Dalla Napoli di Keith Haring ai giorni nostri
Keith Haring, Roxy in the box, Luciano Ferrara, Trallallà
a cura di Andrea Ingenito
2 dicembre 2021 – 28 febbraio 2022
PAN – Palazzo delle Arti Napoli
Orari di apertura: Tutti giorni dalle 10.00 alle 19.00 (ultimo ingresso ore 18.30)
Info ticketing e contatti: +39 081 0490829 / +39 348 6003820 / +39 081 7958601; info@arcadiarte.it
[1] Si ricordano, a titolo di esempio, in un elenco non esaustivo: Renato Bacarelli, Arturo e Armando Carola, Dina Carola, Filiberto Menna, Germano Celant, Achille Bonito Oliva, Vittorio Baratti, Peppino Di Bennardo, Renato e Liliana Esposito, Graziella Lonardi Buontempo, Giuseppe Morra, Pasquale Trisorio, Marcello e Lia Rumma.