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ALESSANDRA BALDONI DA PERUGIA

La tua nuova ritualità quotidiana…
A pochi metri da casa mia c’è un piccolo forno ed ogni mattina esco a comprare il pane. Questo rito quotidiano mi dà sicurezza, mi conforta, mi fa pensare che finché c’è il pane niente può andare davvero male. L’idea di qualcosa che lievita nella notte, che viene impastato e poi messo a cuocere mentre la luce sale e si stende sopra il mondo addormentato ed indifeso per poi diventare nutrimento bianco a tavola mi fa sentire protetta, è un corrimano per tenersi e non cadere a terra. Ed anche se ormai ci si saluta e riconosce solo dagli occhi che spuntano dalle armature di carta la quieta processione al forno è un modo per trovarsi e sentire che ci siamo – nonostante tutto – e che può esserci gioia nel pane come nel dolce e nel profumo di buono che invade la via. Il pane è qualcosa di antico, qualcosa che ci porta ad un origine, ad un inizio raccontato dalle favole. È qualcosa di pagano e sacro insieme. I passi da casa al forno sono il ritmo di una resistenza, dell’insistenza della vita nel mio quotidiano. Mentre li percorro mi viene sempre in mente una poesia. “Resta dove sei, non ti muovere/ Se all’improvviso un angelo si siede alla tua tavola/ Cancella piano le poche grinze/ Della tovaglia sotto il tuo pane./ Offri i tuoi pochi bocconi/ Così che lui possa assaggiarli/ e portare alle sue labbra pure/ un semplice bicchiere di tutti i tuoi giorni.” R.M.Rilke

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Da un certo punto di vista è stato totalmente bloccato. E non parlo solo dei contatti, delle mostre, dei workshop ma proprio nella realizzazione dei progetti. Non potendo uscire né tantomeno spostarmi non mi è dato di cercare quei paesaggi, quei pezzi di mondo e di avventura che costituiscono e vanno a fondare parte del mio lavoro. D’altro canto i miei set con le persone da fotografare, i miei ritratti “costruiti” in interno o in esterno sono qualcosa di impensabile in questo momento. Non fotografo da gennaio, tutto è fermo, immobile. Mi sto concentrando sulla parte della progettazione, dello studio – la parte solitaria del mio mestiere d’artista – raccolgo idee visioni suggestioni come posso. Anche qui – mi preparo, metto via delle cose, le provviste dell’anima per quando potrò tornare a fare foto. Mi manca molto questa parte, quella in cui il mio lavoro diventa condivisione, dove le cose accadono perché ci sono persone con me e per me. La gioia e la pienezza di quei momenti, la deflagrazione meravigliosa di tutto quello che ho in testa e che finalmente prende corpo. Posso solo aspettare e tenere un diario di tutto quello che poi vorrei accadesse. Un breviario d’amore, una raccolta illustrata di desideri.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Soffro la mancanza del contatto. Mi mancano i volti gli abbracci le strette di mano. Mi manca l’energia che ci attraversa quando siamo in prossimità dell’altro. Gli amici i colleghi gli incontri. Le inaugurazioni, le fiere, i progetti. Mi manca la convivialità, il condividere parole attorno ad un tavolo e sancire le promesse alzando i calici. Tutto quello che nasce nello scambio, nell’incendiarsi delle emozioni. Viviamo a distanza di sicurezza e i sentimenti sono incartati, sterilizzati per necessità. L’unica presenza che ci è concessa è quella dei social che ci rende fantasmi, inconsistenti ombre in cerca di un contatto. Le chiamate e le videochiamate sono lettere da una trincea, raccontano ogni volta una solitudine, un essere stati strappati a qualcosa e qualcuno. Sono di certo piccole finestre per sporgersi e guardare fuori, verso l’altro. Ci si saluta con uno “spero di abbracciarti presto”, frase di circostanza diventata una preghiera, il desiderio da esprimere vicino al fuoco. Stelle cadenti a cui leghiamo speranze, nodi fatti al fazzoletto del cuore. Mi mancano anche i paesaggi, sia quelli che scopro viaggiando e cerco per le mie foto sia quelli a me consueti e cari…il lago, la mia città, tutte quelle parti di mondo che sento mie e che mi hanno disegnata, hanno segnato il mio sguardo. Posso per ora solo tenermela questa ferita, questo vuoto cavo-bianco assordante nel suo silenzio- per prepararmi ad accogliere di nuovo tutto il rumore della vita quando sarà possibile. Scrivo, chiedo protezione alle parole. Tengo acceso il fuoco perché mi piace pensare di vegliare l’attesa. Posso solo prepararmi come quando si trattiene il respiro per immergersi. E, se mai ne avessi ulteriore bisogno, ripetere quanto abbiamo bisogno degli altri e di prenderci cura di ogni cosa.

Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Voglio immaginarlo come una marea che sale, voglio pensare che avremo tutti tanto da dare e da dire. So bene che il rischio è che la paura prenda il sopravvento, che ci mangi i pensieri, che ci avveleni con la rabbia che si porta dietro. Ma anche se incontreremo grandi difficoltà sento che c’è davvero bisogno di respirare, di tornare alle cose ma con uno sguardo diverso. Ci siamo scoperti tremendamente fragili, esposti. Svegliati bruscamente da una specie di sonnolenza che ci permetteva il lusso di lamentarci dell’effimero o di discutere del dolore della fame e della disperazione degli altri, adesso tutto è più vero, le parole sono piene nel loro significato e fanno male. Posso solo credere che impareremo ad avere cura, più cura e gentilezza, che sapremo portarci le ferite non come rancore ma come stelle per orientarci nella direzione da seguire e negli errori da non fare. Ci servirà un nuovo atlante del mondo e dei sentimenti. Ma voglio credere che ripartiremo pieni di desiderio, che sarà come l’acqua per l’assetato. Devo immaginarlo così il mondo, pieno di energia, di parole nuove, sane, buone come il pane.

Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Tutto quello che avevo in programma da febbraio a settembre è stato annullato o rinviato a data da destinarsi nell’assoluta incertezza dei tempi. Festival, fiere, mostre, incontri, residenze e workshop. È davvero stato un colpo fortissimo anche perché chi fa questo lavoro sa quanto tempo dedizione e sacrificio occorra per arrivare alla realizzazione delle cose e di come non ci sia nessuna tutela, nessun paraurti… se saltano gli impegni noi restiamo non solo senza lavoro ma anche con il carico di tutto ciò che abbiamo investito per arrivare a quel punto. Le conseguenze potrebbero essere disastrose, potremmo tutti perdere tantissimo. Si chiede tanto all’arte e agli artisti soprattutto in questo momento. Ci si chiede di esporci, di parlare, di raccontare. Di esserci. Voglio sperare che questo sforzo nostro e di tutti quelli che si inventano modi per portare parole immagini sogni, per parlare con studenti e ragazzi, per tenere salda la corda della bellezza alla roccia e non precipitare non verrà dimenticato ma che ci si renda ancora più conto di quanto un mondo senza arte possa solo essere inferno e barbarie.

Alessandra Baldoni è nata 1976 a Perugia dove attualmente vive e lavora. Le sue foto sono il risultato di “piccole sceneggiature scritte per uno scatto”, mette in scena veri e propri set, costruisce un mondo metafisico ed incantato, cerca di raccontare i luoghi dell’anima, le geografie esistenziali in cui ognuno può riconoscersi. I temi centrali della sua ricerca sono la letteratura, la memoria, il sogno, la favola. Scrittrice, lavora sulla narrazione convinta che esistere sia raccontare ed essere raccontati. Salvare piccole storie attraverso l’arte, recuperare ciò che altrimenti andrebbe perduto, ascoltare le voci di solito non udite, proteggere ciò che fragile rischia di svanire. Alessandra Baldoni è un’archivista sentimentale. Il suo ultimo lavoro Atlas indaga il luogo visivo dove il mondo “fa rima”, cerca una specie di ritornello tra le cose – volti animali, natura, statue – come a trovare un senso, una catalogazione per somiglianza di forma, di colore, di significato. Sequenze che cercano un’assonanza, immagini che si richiamano come se condividessero lo stesso segreto. L’Atlas racconta una storia fatta di legami e corde, di significati che si nascondono e si svelano.Le sue gallerie di riferimento sono Add-art Gallery, Spoleto; Red Lab Gallery, Milano; ZeitGallery, Lucca. www.alessandra.baldoni.it.

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