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VENEZIA | 59. BIENNALE ARTE | Fino al 27 novembre 2022
Padiglioni Serbia | Polonia | Romania | Albania | Slovenia | Lettonia | Lituania | Armenia | Montenegro

 

di ANTONELLO TOLVE

In quest’ultima biennale che un po’ tutti abbiamo avuto modo di visitare con occhio meravigliato perché sempre sollecitato da piacevoli trovate scenografiche (la scenografia ha vinto tanto quanto il collage, l’assemblage e l’artigianato) nel campo della creatività umana intesa come vivace interculturalità, come richiamo arguto al genius loci, come urto tecnologico o anche come coscienza ecosferica, i paesi dell’ex Jugoslavia disegnano, a tutto tondo direi, e con una certa effervescenza metodologica, potenti punti di ricerca, robuste progettualità, eleganti e sofisticati piani di lavoro che si smarcano intelligentemente dallo stereotipo disneyano di paesi quali l’Inghilterra o l’America i cui padiglioni sono davvero cosa imbarazzante.

Walking with Water, Vladimir Nikolić, Padiglione Serbia, courtesy La Biennale di Venezia. Ph. Marco Cappelletti

SERBIA | Walking with Water di Vladimir Nikolic (Belgrade, 1974) è, ad esempio, un discorso tutto giocato sullo stupore (stupore è termine etimologicamente compagno di strada di studio interminabile, di scintilla meditativa), sullo stordimento dello sguardo che accetta la visionarietà della visione per farsi trasportare in un luogo di scoperta e di smarrimento. Quello che percepiamo quando ci troviamo nel padiglione principale dell’ex grande potenza jugoslava, in Serbia più esattamente (la cura è di Biljana Ćirić, la commissione di Marijana Kolarić), è una fluida idea in potenza, modellata con grande maestria su scenari morbidi e inconsistenti, legati alla temperatura di un pensiero aperto ai riflessi della riflessione: ad accoglierci è infatti un percorso narrativo metafisico che taglia ogni tipo di narrazione lineare e che massaggia con affilati messaggi atmosferici – Nikolic, va detto, è una punta di diamante della nuova scena serba (e vale la pena ricordare anche Biljana Đurđević, elegantissima la sua personale curata da Miroslav Karić al Salon of the Museum of Contemporary Art con opere del ciclo Instrument of Activity).

Walking with Water, Vladimir Nikolić, Padiglione Serbia, courtesy La Biennale di Venezia. Ph. Marco Cappelletti

Asciutto, essenziale, poetico, lirico, leggero, avvolgente: il Padiglione della Serbia propone due video, 800m e A Document, confluenti uno nell’altro: un dittico acqueo, immersivo e sovversivo, dove lo spettatore consuma ogni certezza per ritrovarsi via via proiettato da uno stato di cultura a uno di natura, da una condizione di artificio a una di essenza umana. Alla orizzontalità del mare offerta a primo impatto con il video A Document in cui ci perdiamo per cercare quella linea d’orizzonte che rappresenta per tutti un sogno oltre il quale non ci sono più figure ma soltanto desideri d’avvicinamento a terre sconosciute, fa da contraltare, in un secondo momento (dopo aver percepito la metalinguisticità offerta da Nikolic nel porci lo schienale strutturale e la pannellistica che ricorda alcune trovate di João Maria Gusmão e Pedro Paiva), la vivace verticalità di 800m, una video-installazione – la verticalità è determinata dall’ormai radicale lettura dei dispositivi smartphone e, contestualmente, da una misurata organizzazione, nonché da un misurato controllo dello spazio – che ci introduce a una piscina dove un nuotatore ripreso dall’alto (per deformazione ho pensato a Heinrich Böll che va troppo spesso ad Heidelberg), quasi a schiacciare lo sguardo di chi guarda, a spostare di novanta gradi la visuale per darci uno spaccato totale, sposta lo spazio della natura a uno di cultura, addomesticato, circoscritto.

Re-enchanting the World, Małgorzata Mirga-Tas, Padiglione Polonia, Biennale Arte 2022, Venezia. Ph. Daniel Rumiancew. Courtesy Zachęta National Gallery of Art

POLONIA | Con la voce tzigana di Małgorzata Mirga-Tas (Zakopane, 1978) che intona canti in cui il passato si fa presente tanto quanto il presente si fa involucro protettivo e consuntivo del passato, il Padiglione della Polonia, davvero ingiustamente trascurato, mette in campo un’opera d’arte totale da cui siamo letteralmente avvolti, ingabbiati, rapiti, estasiati. Si tratta di una maestosa sala di arazzi (per raccontare Mirga-Tas usa sapere antico, fatto di tessitura, di stoffa) che unisce tradizione e astrologia e mitologia, che stringe insieme figure del quotidiano a simboli provenienti dal mondo dei tarocchi o dai circoli dei dodici segni zodiacali, dagli astri che raccontano la storia dell’umanità. Re-enchanting the World – titolo ispirato «dal libro di Silvia Federici Re-incantare il mondo. Femminismo e politica dei  commons (2019) e dalla sua idea di ricostruire la comunità tra persone, fauna, flora, natura riportando il mondo sotto un nuovo incantesimo» – è un sogno carico di presenze dove quotidianità, tradizione popolare, ritratto o immagini che ricordano la pittura di genere (come non ricordare il Mangiafagioli di Annibale Caracciolo, opera del 1584-1585c. conservata nella Galleria Colonna di Roma), rispondono alle più profonde esigenze di un pressante presente con le armi delicate e morbide delle origini, del sogno, del ritorno a qualcosa di salvifico. «Penso che l’identità e la provenienza siano aspetti molto importanti della vita di chiunque. Sono cresciuta a Czarna Góra, un villaggio dove vivono tre gruppi culturalmente diversi: i montanari di Podhale, i montanari di Spisz e appunto i Rom, che si trovano in una zona residenziale separata all’inizio del villaggio. Vivere tra i Rom, sapere di essere un membro di una minoranza, di parlare una lingua diversa da quella di tutti gli altri, tutto questo forma una persona per tutta la vita. La lingua ti dà forza, e influenza il modo in cui vedi il mondo», avvisa l’artista in un’intervista rilasciata a Niccolò Lucarelli per Artribune. Ispiratasi al ciclo di affreschi del Salone dei Mesi – Palazzo Schifanoia, Ferrara – realizzati dalla scuola ferrarese che gravita nell’ambito dell’irresistibile e impareggiabile Cosmé Tura (Francesco del Cossa e, in parte, Ercole de’ Roberti, ma solo come collaboratore), Mirga-Tas ci porta in un favoloso gioco di piani, in un discorso a fasce, a fregi narrativi, a finestre in cui la scena familiare (ci sono, ritratte, sua madre Grażyna Mirga, sua nonna Józefa e amiche come l’artista Delaine Le Bas, l’attivista Nicoletta Bitu o la curatrice Timea Junghaus) lascia il posto a gloriose figure astrologiche, a sistemi che raccontano di miti e riti che accompagnano da sempre l’uomo.

You are another me – A cathedral of the body, 2022, multi-channel installation, dimensioni variabili. Courtesy l’artista. Ph. Clelia Cadamurro

ROMANIA | Meno magnetico, e a mio parere anche un po’ piatto, risulta essere il disegno presentato da Adina Pintilie (Bucarest, 1980) nel Padiglione della Romania che centra l’attenzione sul corpo, ma con una smielata, trita e ritrita intimità. You are Another Me – A Cathedral of the Body è un gioco cinematografico realizzato in multipiattaforma video che prova a ricalibrare il tiro sulla spietata topia (questo è il corpo, una spietata topia che ci portiamo sempre addosso, e da cui è difficile sfuggire direbbe Torquato Tasso) e su un perimetro riflessivo denso di rimandi all’alterità intesa come idea di quel disorientante je est un autre (Rimbaud) dove il pensiero non è più un’identità cosciente ma decentramento e smarrimento del soggetto: ogni individualità, con Freud, è abitata da un’alterità, da un altro che la perturba e la frammenta, «da un abisso insondabile che assedia e tormenta», tanto da farsi, in un ipotetico armistizio dettato da Nancy, être singulier pluriel. («Les uns avec les autres: ni les uns, ni les autres ne sont premiers, mais seulement l’avec par lequel il y a des uns et des autres. L’avec est une détermination fondamentale de l’être. L’existence est essentiellement co-existence»). Interessante, in una saletta laterale, lasciata quasi in disparte, abbandonata con il famoso aratro nella maggese, un macchinario nel quale troviamo una macchina che ci guarda e in cui guardiamo, quasi a creare un gioco di rimandi percettivi tra la sfera dell’emittente e del ricevente.

From scratch, Lumturi Biloshmi, Padiglione Albania, Ph. Riccardo Tosetto

ALBANIA | Con Lumturi Biloshmi (Tirana, 1944-2020) nel Padiglione dell’Albania le cose cambiano e la pittura si fa ironica visione del mondo, di modelli che scommettono sulla costante resistenza (resilienza) dell’arte per rompere gli argini del potere. Self-portrait (From the dream) del 1968 è un lavoro petroso che delinea (descrive) un viaggio accecante – le opere in mostra vanno dal 1960 al 2010 – nel campo dell’arte, una forma di combattimento silenzioso, di presa di posizione rispetto alle aggressioni dei modelli di turno difficili da cambiare. «Biloshmi was one of the most interesting Albanian artists but due to limitations (deaf from the age of five, oppressed by the communist regime for political reasons, being a women in a male dominated field) her work and life has not yet fully been researched, displayed and contextualized».

Padiglione Slovenia, Marko Jakše, Senza Padrone / Without a Master, 59. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia. Ph. Dejan Habicht, Moderna galerija

SLOVENIA | Popolati da esseri surreali o da persone che sembrano addossarsi tutti i dolori del mondo – alcune opere come Vrnitev na kraj zločina (2010-13), Market Scene (2009) e Artičoke (2014) fanno pensare all’impareggiabile realismo visionario di Hieronymus Bosch – i paesaggi enigmatici e apocalittici di Marko Jakše (Ljubljana, 1959) plasmano con eleganza il Padiglione della Slovenia, illuminato da una luce ben calibrata e sagomata su ogni singolo lavoro, tanto da creare un effetto-monitor. Scelto da Aleš Vaupoti (commissario) e da Robert Simonišek (curatore) per la vicinanza a figure come Leonora Carrington o anche Leonor Fini che in tempi non sospetti sparavano verso il futuro, Jakše plasma Without a Master: un locus accattivante da cui la forza onirica e trasognante viene potentemente fuori per dar sfogo a un grande ingranaggio in cui trovano spazio creature ibride, «entità paradossali e contrastanti» che «stabiliscono complesse relazioni con simboli e reliquie di civiltà sepolte, con la spiritualità, la religione, la mitologia e infine l’eredità artistica».

Selling Water by the River, Skuja Braden, 2022, porcellana e mixed media, dimensioni varie, Padiglione Lettonia, Ph. Ēriks Božis © courtesy Skuja Braden (Ingūna Skuja and Melissa D. Braden)

LETTONIA | Il duo artistico Skuja-Braden, formatosi nel 1999 e composto da Ingūna Skuja (Riga, 1965) e Melissa Braden (Sacramento, 1968) propone per la Lettonia un grande organismo ceramico, una galassia di oggetti fantastici e a tratti kitsch, familiari e inquietanti, decontestualizzati e a volte defunzionalizzati, portati su un piano narrativo che si muove lungo l’asse della divaricazione (della oscillazione) fra logocentrismo e reale ruolo del pensiero visivo.
Selling Water by the River (il titolo riprende quello del libro di Shane Hipps: Selling Water by the River: A Book About the Life Jesus Promised and the Religion That Gets in the Way, 2012) è un ambiente unico, a tratti spiritoso e spigoloso, in cui sono disseminati oltre 300 manufatti realizzati dalle artiste nell’arco degli ultimi vent’anni (ce ne sono alcuni prodotti appositamente per il padiglione e che respirano le temperature ardenti dell’attualità) per ridefinire e rinvigorire una costante riflessione sul tempo. Tagliente e irriverente, carico di allegorie, di storie, di stratificazioni storiche che riguardano il contemporaneo come pure la tradizione, tradotta e tradita per rispondere alle esigenze del presente. Vasi sessualizzati e bottiglie mammellate, occhi che guardano, portafiori dentati, piatti con dentro ritratti (in uno c’è l’immagine di Putin), uova che diventano bocche spalancate, erotiche e affamate (c’è davvero tanto entusiasmante erotismo in questo padiglione), uccelli e gattini, frutta, tazze, i-phone e insetti (meravigliose le due zanzare che succhiano un cervello) si mescolano a figure mitologiche e religiose, a riti e miti del passato o del presente per dar vita a un potente e sfuggente – baeriano – Bildhafte Denken, pensiero per immagini.

Padiglione Lituania, Robertas Narkus, Gut Feeling, 59. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia

LITUANIA | Gut Feeling, dell’artista Robertas Narkus (1983), al Campo de le Gate, è un intelligente programma collaborativo, una scultura sociale, un laboratorio di idee, «una cooperativa surrealista che realizza un misterioso prodotto dalle alghe raccolte dalle acque locali. Questa specie di alga, Undaria pinnatifida, nota anche come Wakame, è una pianta invasiva che si è diffusa dall’Asia al resto del mondo, compresa Venezia, a causa della globalizzazione. È una delle fonti alimentari più nutrienti e rapidamente rinnovabili, con un potenziale apparente di risolvere l’imminente scarsità nutrizionale della popolazione terrestre in rapida crescita». Diviso in due sezioni confluenti tra loro – da una parte un momento di sperimentazione e produzione, dall’altra uno di promozione e distribuzione del prodotto, quasi a seguire gli stessi trucchi del tessuto capitalistico – Gut Feeling unisce l’esattezza del calcolo alla potenza delle scienze immaginarie (Narkus è il fondatore dell’Istituto di Patafisica di Vilnius) in una factory o anche una sorta di negozio dove collage fotografici, sculture e video si intrecciano a materie organiche e a macchine che ripetono sempre la stessa azione. «In qualità di iniziatore di numerose organizzazioni sperimentali di arte, gestione e produzione alimentare, Narkus trae spesso ispirazione dal mondo degli affari e delle start-up. Contrapponendo lo spirito di ottimismo e spinta al sottoprodotto spesso invisibile – l’amarezza del fallimento – crea opere tragicomiche».

Padiglione Armenia, Andrius Arutiunian, Gharīb, 59. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia. Ph. Claudio Fleitas

ARMENIA | A campo della Tana, Andrius Arutiunian (Vilnius, 1991), con Gharīb ci porta in un mondo altro, segnato dallo stridore e da un cortocircuito costruttivo, da una plastica sonora che modifica continuamente le regole della percezione e trasforma il chiuso in aperto, l’esterno in interno, l’attività clandestina furtiva illegale in lecito procedere quotidiano. «La cosmologia del Padiglione Gharīb gioca attraverso le modalità del dissenso sonoro, delle conoscenze vernacolari e dei disordinati sistemi di elusività» suggerisce l’artista. «Canzoni di origine illecita, sistemi di accordatura alternati, estrazione dell’olio e Cher con i suoi trucchi di autotune, l’armoniosa legge del sette di Gurdjieff e sistemi divini di digestione» sono sistemi sonori che si mescolano tra loro per far emergere «una certa partitura musicale, punteggiata dalle voci sommesse degli inascoltati, degli scomparsi e dei radicali».

Montenegro Pavilion at the 59th Venice Biennale 2022, Palazzo Malipiero. The Art Of Holding Hands / as we break through the sedimentary cloud. Artists: Dante Buu, Lidija Delić & Ivan Šuković, Darko Vučković, Jelena Tomašević, Art Collection of Non-Aligned Countries (Zuzana Chalupova, René Portocarrero, anonymous author from Iraq, and Bernard Matemera); Curator: Natalija Vujošević. Photo: Mankica Kranjec © 2022

MONTENEGRO | Nel Padiglione del Montenegro (The Art Of Holding Hands / As We Break Through The Sedimentary Cloud), a Palazzo Malipiero, il meraviglioso lavoro di Jelena Tomašević (Podgorica, 1974) è il padiglione stesso: il suo splendido dispositivo riesce a porsi – rispetto a Dante Buu, a Lidija Delić, a Ivan Šuković, a Darko Vučković, ai «lavori della collezione d’arte del Movimento dei Paesi non allineati, ovvero» alle opere «di Zuzana Chalupová, di René Portocarrero, di un autore anonimo iracheno» e a «un documentario sul lavoro di Bernard Matemera» – come opera dominante, come torre d’avorio solitaria che ha il sapore del futuro. Installata nell’ultima sala del padiglione, a chiusura del percorso espositivo (che poi non è una vera chiusura ma un’apertura verso altre contrade riflessive), Guilty Knowledge è una grandiosa macchina celibe (una prima edizione era stata già concepita nel 2019, un misto di memorie – non dimentichiamo che il titolo della sua ultima personale alla galleria Rita Urso di Milano era proprio Mixed Memories – dove il privato e il pubblico, l’intimo e il collettivo, il personale e il politico si intrecciano tra loro come parti di un unico corpo per dar vita a un organismo socioculturale in cui possiamo leggere non solo sfaccettature umane determinate dall’inserimento su alcuni specchietti retrovisori di occhi ammiccanti o da piacevoli gambe affusolate che spuntano fuori da una cassetta elettrica (su questa è presente l’immagine di un alberello proveniente da un affresco di Giotto e si legge tra l’altro un verso tratto da The Waste Land di T. S. Eliot: «what is that noise? The wind under the door»), ma anche una valenza interculturale restituita con eleganza polimaterica per rispondere (resistere) a un sistema ormai malato, segnato dalla paura e dal controllo totale.

 

Albania
Lumturie Blloshmi. From scratch
Commissario: Ministero della Cultura di Albania
Curatore: Adela Demetja
Artista: Lumturi Blloshmi

Sede: Arsenale

Armenia
Gharib
Commissario: Arayik Khzmalyan, Deputy Minister of Education, Science, Culture and Sport
Curatori: Anne Davidian, Elena Sorokina
Artista: Andrius Arutiunian
Sede: Campo della Tana, Castello 2125

Lettonia
Selling Water by the River
Commissario: Solvita Krese
Curatori: Solvita Krese e Andra Silapētere
Artisti: Skuja Braden (Ingūna Skuja e Melissa D. Braden)
Sede: Arsenale

Lituania
Gut Feeling
Commissario: Kęstutis Kuizinas
Curatore: Neringa Bumblienė

Artista: Robertas Narkus
Sede: Castello 3200 e 3206, Campo de le Gate

Montenegro
The Art Of Holding Hands as we break through the sedimentary cloud
Commissario: Jelena Božović
Curatore: Natalija Vujošević
Artisti: Dante Buu, Lidija Delić & Ivan Šuković, Darko Vučković, Jelena Tomašević, Art Collection of Non-Aligned Countries (Zuzana Chalupova, René Portocarrero, unknown author from Iraq and Bernard Matemera)
Sede: Palazzo Malipiero, San Marco 3078-3079/A, Ramo Malipiero

Polonia
Re-enchanting the World
Commissari: Janusz Janowski (dal 2022), Hanna Wróblewska (sino al 2021) / Zachęta — National Gallery of Art
Curatori: Wojciech Szymański e Joanna Warsza
Artista: Małgorzata Mirga-Tas
Sede: Giardini

Romania
You Are Another Me – A Cathedral of the Body
Commissario: Attila Kim
Curatori: Cosmin Costinas e Viktor Neumann

Artista: Adina Pintilie
Sedi: Giardini e New Gallery of the Romanian Institute for Culture and Humanistic Research (Palazzo Correr, Campo Santa Fosca, Cannaregio 2214)

Serbia
Walking with Water
Commissario: Maja Kolaric
Curatore: Biljana Ciric
Artista: Vladimir Nikolic
Sede: Giardini

Slovenia
Senza Padrone / Without a Master
Commissario: Aleš Vaupotič
Curatore: Robert Simonišek
Artista: Marko Jakše
Sede: Arsenale

59. Esposizione Internazionale d’Arte
La Biennale di Venezia
23 aprile 2022 – 27 novembre 2022
www.labiennale.org/it/arte/2022/partecipazioni-nazionali

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