Non sei registrato? Registrati.

Who want to use my windows? – già titolo di un’opera di Diango Hernández – sembra un gioco di scatole cinesi: lo spazio della galleria come vetrina di esposizione e, a sua volta, finestra/filtro tra gallerie, artisti, poetiche, spettatori, tutti coinvolti – chi più chi meno – in una “struttura” dai confini labili e allo stesso tempo difficili da scardinare. Il progetto nato di concerto tra la curatrice Silvia Conta e Paolo Maria Deanesi ha debuttato in galleria sabato scorso e in virtù dei suoi presupposti fa presagire fruttuosi sviluppi…

Francesca Di Giorgio: Finestre, aperture, incontri e scambi. Rispetto alla tanto dichiarata apertura e accessibilità trasversale del mondo dell’arte si riesce davvero a fare network?
Silvia Conta: È proprio questo l’intento, attivare, esplicitamente, tutti gli elementi che hai citato. Fare rete non è sempre facile, per motivi oggettivi o per dinamiche talvolta non immediatamente evidenti ma forti, tuttavia sono sempre di più gli enti – pubblici e privati – le gallerie, i critici e gli artisti che credono nello scambio reale di idee, di contatti, di opere.
In questo caso sono entrate in gioco soprattutto collaborazioni con gli artisti e con altre gallerie, italiane e straniere – Federico Bianchi Contemporary Art (Lecco e Milano), Federico Luger Gallery (Milano), Galleria Massimo Minini (Brescia), Thomas Rehbein Galerie (Colonia), Tucci Russo – Studio per l’arte contemporanea (Torre Pellice – TO), Galleria 42 Contemporaneo (Modena). C’è stata una sinergia molto positiva tra contatti consolidati nel tempo e aperture a realtà e artisti con cui non vi era mai stata occasione di collaborare in precedenza.

16 gli artisti in mostra e, a proposito di collaborazione, accanto ad artisti della Paolo Maria Deanesi Gallery ne sono stati invitati altri che lavorano con altre gallerie, italiane e straniere e altri ancora indipendenti, come Driant Zeneli e Arianna Vanini. Ci racconti come hai deciso il loro coinvolgimento e da quale esigenza nasce il progetto?
Il progetto nasce dalla volontà di rendere effettivi dei dialoghi tra opere e artisti che già da tempo interessavano me e il gallerista e dalla necessità di riflettere sulla galleria come luogo deputato all’arte. È un dibattito che si presenta con sfumature e accenti mai interamente definiti o decifrati. Abbiamo posto una domanda che apre a tutte queste tematiche: who want to use my windows? implica l’ingresso in dinamiche che vanno ben oltre l’esposizione di qualcosa: quello che sembra l’atto innocente di mettere in mostra, in realtà implica dinamiche su cui c’è la necessità di riflettere. Ci interessava fermarci a pensare sul ruolo della galleria proprio come luogo d’incontro, dal quale oggi non si può prescindere e dal quale essa non può abdicare. Del resto la galleria stessa si “muove” alla ricerca sia di incontri sia di visibilità differenti, al di fuori della propria sede, pensiamo alle fiere. Una galleria è inserita in un gioco di specchi molto complesso, esteso, ricco di componenti e di implicazioni. Poi, è un soggetto deputato a mostrare l’identità e il lavoro degli artisti, ma è proprio attraverso il suo lavoro e la sua immagine che può aiutarli a crescere o, al contrario, agire negativamente sulla loro ricerca.
Trovo molto stimolante che l’apertura a questo tipo di riflessioni sia nata all’interno di una galleria privata.

Il concetto di “apertura” di cui abbiamo appena parlato sottende molti dei lavori in mostra. Puoi fornirci, nello specifico, qualche punto di vista per accostarci alla visione?
L’idea è proprio quella delle scatole cinesi che continuano ad aprirsi una nell’altra.
La riflessione torna al punto di partenza: dagli atti intimamente connessi dell’esprimere, dell’esporre e del vedere. Si riparte dalle radici del sistema dell’arte. Non a caso si pone verso la conclusione di una stagione espositiva italiana ricca, vivace, per certi versi anche polemica, per quanto riguarda il territorio del Trentino – Alto Adige anche molto dinamica. In questa mostra si riflette sui meccanismi e sul ruolo di uno dei principali attori del sistema dell’arte: la galleria. Le opere non dimostrano una tesi, la ampliano continuamente in modo anche dissonante ed è fortemente presente anche l’aspetto della possibilità, della necessità di considerare costantemente l’esistenza di altre vie e altri modelli. Con Paolo Deanesi abbiamo riflettuto a lungo sulla forte e relativa eterogeneità dei lavori proposti e della poetica degli artisti coinvolti, è come se avessimo aperto l’attività della galleria ad una lettura orizzontale: non mostra dopo mostra, ma ponendo una accanto all’altra le diverse anime di cui ogni artista – addirittura ogni opera – è portatore. In mostra ci sono opere che utilizzando il concetto fisico di finestra, parlano dell’atto del guardare e dell’essere guardati, attraverso paesaggi naturali e urbani, ma anche finestre dalla consistenza più concettuale che entrano nel concetto di tempo, ingresso ed uscita, della relatività della percezione, ma sono presenti anche il tema dell’archivio come finestra su un mondo che appare sommerso e quello politico e fortemente identitario che ritroviamo nell’opera di Diango Hernández. Quando si guarda attraverso una finestra – dall’interno verso l’esterno o viceversa – è come se si stesse già accedendo a quel mondo, si stesse quasi per esserne “risucchiati”. Ogni mostra è una finestra al cui interno ci sono altre porte aperte che si attivano mediante vicinanze inedite, opere che sembrano inaccostabili rivelano invece possibilità dialogiche ben funzionanti e non scontate.

Un tempo il campo visivo di una finestra era il punto di partenza da cui rappresentare il reale nella pittura come in fotografia. Oggi un’opera d’arte si presenta nella sua autonomia, senza bisogno di intermediari. Si può ancora pensare, quindi, all’arte contemporanea come finestra sul mondo?
Assolutamente sì. La difficoltà con cui il contemporaneo si confronta quotidianamente è proprio la mancanza intrinseca di scrematura attraverso cui è invece possibile leggere i periodi già storicizzati: è “in diretta”, assorbe entusiasmi, ardori, tematiche, difficoltà, criticità, drammi, domande del presente e li restituisce al mondo, talvolta in modo più personale, intimista, politico, polemico, poetico, ecc… ma l’arte per essere viva deve avere un contatto continuo e diretto con il presente, con il suo sentire. L’arte che è rimasta nella storia è proprio quella che ha saputo rielaborare ed esprimere con maggior acume e sensibilità del proprio tempo, quella che è riuscita a traghettare il sentire e le necessità espressive della propria epoca in quelle successive. Credo che l’importante sia dare la concreta possibilità di libera espressione agli artisti, è necessario favorire una reale pluralità espressiva, se si vuole che l’arte continui ad essere una finestra sul mondo, se tarpiamo le ali agli artisti – e il sistema purtroppo spesso lo fa in modo più subdolo di quanto possa sembrare – ci ritroveremo presto con un’arte sterile e autoreferenziale. C’è la necessità di realtà, enti, istituzioni, curatori, gallerie che lavorino in questo senso, di occasioni di confronto concreto, per fortuna ne esistono e il consolidarsi della rete tra i diversi attori può indubbiamente giovare a tutto ciò.

Il progetto in breve:
Who want to use my windows?
A cura di Silvia Conta
Paolo Maria Deanesi Gallery
Via San Giovanni Bosco 9, Rovereto (TN)
Info: + 39 0464 439834
www.paolomariadeanesi.it
Fino al 29 maggio 2010
Artisti coinvolti nel progetto:
Paola Di Bello, Igor Eškinja, Andreas Gefeller, Diango Hernández, Verena Kastrati, Jacopo Mazzonelli, Sabrina Mezzaqui, Luis Molina-Pantin, Paolo Piscitelli, Luca Pozzi, Jacopo Prina, Moira Ricci, Nikola Uzunovski, Arianna Vanini, Zlatan Vehabovic, Driant Zeneli.

In alto da sinistra:
Paolo Maria Deanesi e Arianna Vanini all’interno degli spazi espositivi: Courtesy Arianna Vanini
Andreas Gefeller, Ohne Titel (Kunstakademie, R 209), 2009. Courtesy Thomas Rehbein Galerie

Condividi su...
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •