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Intervista a OLIVIERO TOSCANI di Matteo Galbiati

Determinato e political un-correct, lettore irriverente e lucido del proprio tempo, a tal punto schietto da sembrare quasi antipatico, Oliviero Toscani è diventato un’icona del nostro tempo e del modo di usare in maniera poetica, pur impegnata, la fotografia. Le sue fotografie sono, infatti, diventate esempio dell’impegno e della forza che l’immagine sa e deve evocare: dirette e senza filtri, immediate e incisive, velocemente riconoscibili nel loro senso, incidono sul pensiero di chi guarda costringendolo ad analisi e approfondimenti che vanno oltre la fugacità dello spot.

Oliviero Toscani, "Rolling Stones", Beth Ditto, 2009

Oliviero Toscani, “Rolling Stones”, Beth Ditto, 2009

In lui la fotografia torna a far vivere l’esperienza e suscita emozioni vere e profonde, senza scadere nella retorica o nella circostanza, perché il suo linguaggio, spesso tagliente ed affilato, non ha bisogno di orpelli o sovrastrutture, ma si pronuncia nella sua piena verità. La sua “poesia” d’autore ha rivoluzionato un linguaggio, un modo di fare comunicazione, ha rischiato, ha sfidato il sistema, ha smosso coscienze agendo sul sistema contemporaneo, sui suoi riti, manie, vizi e virtù, paure e debolezze, bisogni e necessità. Questo atteggiamento ha reso la fotografia non un fine estetico, ma un potente mezzo di persuasione e mobilitazione cui non si resta immuni dal prendere – giusta o sbagliata, condivisa o avversata – una posizione netta.
Abbiamo intervistato Toscani tra un impegno e l’altro, in un momento che lo vede partecipe di numerosi progetti che portano le sue visioni all’attenzione e all’ammirazione del pubblico di tutto il mondo.

Cos’è la creatività per un maestro dell’immagine come lei?
È una parola di cui non vorrei più sentir parlare, oggi se ne abusa e non ha più senso. Essere creativi è la conseguenza di un lavoro, di un fare che poi trova merito nell’apprezzamento degli altri. Sono loro che stabiliscono che l’esito del tuo lavoro è creativo.

Come si riconosce quella vera?
Non la si riconosce, per me è una sola. Tutto il resto allude, è una finta e appartiene alle mode e alle tenenze. Oggi il vero problema è che questa si dà per ovvia e scontata, un termine con cui riempirsi la bocca. Tutti si sentono, diventano e sono considerati creativi. Dica questo: Toscani odia la creatività!
Un lavoro creativo è semplicemente un lavoro ben fatto, tutti gli altri fanno cose di moda e di cattivo gusto. Oggi la creatività è un puro conformismo, adatta a chi non sa come proporsi o non ha un lavoro ben definito, dai politici a certi artisti, dai modaioli allo star system. Neanche il Padreterno è stato creativo! Parafraserei Carlo Campanini rivolto a Walter Chiari, il suo “Vieni avanti cretino!” lo lo sostituirei con “Vieni avanti creativo!”. È la stessa cosa.

Oliviero Toscani, United Colors of Benetton, 1991

Oliviero Toscani, United Colors of Benetton, 1991

Che ruolo ha il “creativo” oggi? Cosa deve consegnare nelle sue “visioni”?
Parlando oggi di fotografia, se non serve a niente o se non ha altro compito che asservire un fine puramente estetico, è considerata artistica. Ho sempre creduto, invece, che la fotografia, fin dalle sue origini, fosse nata come mezzo di comunicazione di massa e, come tale, ha un ruolo e un compito precisi e determinanti. Il fotografo deve narrare, raccontare, dire qualcosa. Ha il dovere di farsi memoria storica dell’umanità, anche con fini socio-politici.
La fotografia non è nata per stare alle pareti di una galleria e, se ha solo scopi estetici, allora resterà relegata nella mediocrità.

Come ha osservato Toscani i cambiamenti della cultura visiva contemporanea e quale compiti spettano alla fotografia e all’immagine artistica oggi? Cosa descrivono, come si impegnano?
Sono felicissimo che tutti facciano fotografia, è l’arte in assoluto più semplice e facile rispetto all’arte visiva, alla musica, alla poesia, alla letteratura. Basta che sia chiaro che resta un mezzo non un fine. Dobbiamo avere uno scopo, dobbiamo capire cosa vogliamo per raccontare e narrare. La verità è che bisogna essere degli autori.

Siamo sommersi da migliaia di immagini che circolano facilmente attraverso internet o i social… Siamo consumatori avidi, istantanei e veloci. Forse, alla fine, diventiamo superficiali: abbiamo ancora la necessità di vedere “immagini forti”?
Forti? Cosa significa? Noi dobbiamo cercare di guardare, ma non riusciamo a vedere; abbiamo bisogno di tutto e di niente. Bisogna riappropriarsi dell’interesse e, se c’è provocazione, questa deve essere positiva. Se ci guardiamo attorno sono tutti artisti, ma ci sono davvero pochi autori e ancor meno poeti.

Che suggerimenti si sente di dare ai giovani artisti e fotografi per essere incisivi, per osare, per creare dubbi, smuovere mondi e certezze, per dare forza alle loro intuizioni?
Si devono arrangiare, si devono dar da fare da soli. Hanno l’obbligo di impegnarsi a trovare qualcosa di nuovo. Sono io che aspetto che i giovani mi facciano vedere qualcosa. Sono loro che devono far emergere il nuovo e mostrarlo ai vecchi.

Oliviero Toscani, United Colors of Benetton, 1993

Oliviero Toscani, United Colors of Benetton, 1993

Quali grandi progetti l’attendono?
Lavoro tutti i giorni, come sempre non mi fermo mai. Non so stare immobile e quotidianamente affronto un progetto nuovo. Faccio il fotografo, questo è il mio lavoro e mi riempie la vita.

La sua monografia – edita da Electa – si intitola Più di 50 anni di Magnifici fallimenti. Cos’è un “magnifico fallimento”?
È tutto quello che è davvero speciale. Un magnifico fallimento nella storia ha portato grandi cose: Colombo che, convinto di andare in India, scopre l’America è un esempio eclatante di magnifico fallimento. Potremmo anche pensare a Che Guevara o a Cristo… Altri magnifici fallimenti!

Intervista tratta da Espoarte #92.

Eventi in corso:

Magnifici Fallimenti
Sabrina Raffaghello Arte Contemporanea
Via Gorani 7, Milano
11 maggio – 12 giugno 2016

Info:
www.sabrinaraffaghello.com
www.olivierotoscani.com

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