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4 giugno – 30 agosto 2011

Titolo: Padiglione Tibet
Artisti: Dario Ballantini, Piergiorgio Baroldi, Donatella Baruzzi, Luisa Bergamini, Rosaspina B. Canosburi, Nirvana Bussadori, Capiluppi Silvia, Angela Maria Capozzi , Tamding Choephel , F. Romana Corradini, Marzia Corteggiani, G. Luca Cupisti, Teo De Palma, Anna Maria Di Ciommo, Laura Di Fazio, Marcello Diotallevi, Luigi Filograno, Roberto Franzoni, Fernando Garbellotto, Ferruccio Gard, Annamaria Gelmi, Luciano G. Gerini, Isa Gorini, Franca Lanni – Renata Petti, Bruno Larini, Pino Lia – Celina Spelta, Oronzo Liuzzi, Ruggero Maggi, Fabrizio Martinelli, Gianni Marussi – Alessandra Finzi, Renato Mertens, Simona Morani, Paolo Nutarelli, Clara Paci, Marisa Pezzoli, Benedetto Predazzi, Tiziana Priori, Antonella P. Giurleo, Dorjee Sangpo, Sergio Sansevrino, Roberto Scala, Gianni Sedda, Roberto Testori, topylabrys, Micaela Tornaghi, Monika Wolf.
Curatore ed ideatore: Ruggero Maggi
Organizzazione: Ruggero Maggi, Milan Art Center, Tibet Culture House, Cà Zanardi, Art&fortE LAB
Luogo: Art&fortE LAB – Palazzo Cà Zanardi, Cannaregio 4132, Venezia
Orari: 10.00 – 18.00 (escluso il lunedì)
Info: camera312@fastwebnet.it
www.padiglionetibet.com / www.padiglionetibet.it

Padiglione Tibet: il padiglione del paese che non c’è!

INTERVISTA DI FRANCESCA DI GIORGIO A RUGGERO MAGGI

Padiglione Tibet si inserisce volutamente parallelo all’appuntamento veneziano “adeguandosi”, solo formalmente, al concetto di Padiglione nazionale ma, allo stesso tempo, auto-escludendosene per rimarcare una forte separazione e singolarità. Capiamo “i perché” di questa operazione…

Francesca Di Giorgio: Un Padiglione “non-Padiglione” o meglio un luogo – quello del suggestivo spazio industriale di Art&fortE LAB a Palazzo Cà Zanardi – tra realtà e utopia, volutamente parallelo alla miriade di eventi collaterali della kermesse veneziana. Perché?
Ruggero Maggi:
Da sempre la Biennale veneziana offre l’opportunità ad ogni Paese di presentare le proprie realtà artistiche più rappresentative con i Padiglioni Nazionali.
Il Padiglione Tibet, un’idea che nella propria semplicità racchiude una forte carica emozionale, è un sogno, una chimera. Mi piace definire questo progetto come un evento parallelo alla Biennale stessa in quanto entrambe le iniziative (scusate per questo abbinamento alla Davide e Golia!) viaggiano appunto su binari paralleli. Il punto di incontro per ora è lontano; l’auto-esclusione dall’ufficialità vuole rimarcare la quasi totale indifferenza che da sempre l’opinione pubblica ha mostrato verso l’occupazione forzata di questo paese oltremodo ferito. Il distacco dal “sistema Biennale” non va inteso come un atto provocatorio in antitesi alla manifestazione, bensì come una forte presa di posizione di fronte a questo conflitto tra due culture e civiltà millenarie.

Qual è la sua conoscenza del Tibet sia da un punto di vista politico-sociale sia da quello artistico e in che modo è entrato in contatto con la cultura tibetana?
Tibet: una nazione che evoca da sempre un sentimento religioso, mistico, di pace, una vitale “centralina” spirituale per tutti gli esseri umani in contrapposizione con un paese confinante (ora non più, visto che lo ha occupato da decenni) dal devastante materialismo consumistico. Il Tibet è l’emblema di un’espressione di vita ai più alti livelli religiosi e spirituali ed il fatto di essere stato aggredito da uno stato come la Cina dove il materialismo sia capitalistico che statalista trova la sua più alta concretizzazione è da condannare con la maggior forza possibile. Ancora una volta il materialismo vuole prevalere su tutto ciò che invece, fortunatamente per l’Uomo, sopravvive seppur a stento: la spiritualità.
Desidero comunque chiarire che non odio la Cina, ma … amo il Tibet!
Spiritualità e misticismo di paesi situati sulle alte vette dalle nevi perenni che mi hanno da sempre affascinato ed accompagnato e la cui essenza percepii già in gioventù con la lettura (ripetuta più volte nella mia vita) de Il terzo occhio di T. Lobsang Rampa, lama tibetano che, attraverso questa sua biografia, racconta la storia della propria iniziazione ai misteri religiosi e spirituali.
Un paese oppresso, la cui stessa cultura, la propria lingua rischiano di essere perdute per sempre. Un paese schiacciato da un altro popolo vicino, anch’esso ricco di fascino e mistero. Ora qualcuno desidera annichilirli entrambi, gettandone uno nel baratro della distruzione, sia fisica che culturale e psicologica, abbruttendo l’altro con lo spettro della consapevolezza di stare per compiere un terribile atto di sopraffazione condannato (non abbastanza) dalle altre Nazioni.

La premessa al progetto ha un tono polemico, considerata, prima di tutto, l’immagine stereotipata che arriva all’Occidente…
La liberazione nel palmo della tua mano
(titolo del libro del lama Pabonka Rimpoche) ben rappresenta ciò che l’arte può fare in certe situazioni: ognuno di noi ha sempre nelle proprie mani e con le proprie azioni la possibilità di cambiare le cose o quantomeno di provarci. La libertà va richiesta a gran voce e la voce dell’arte a volte è potente. Non mi illudo: so benissimo che questo mio progetto sarà solo una piccola goccia che però spero possa contribuire a far traboccare il vaso colmo di indifferenza che, per ragioni inesplicabili, si è creato intorno alla tragedia di questo meraviglioso paese dalle metafisiche vette. Ogni Padiglione nazionale è per sua stessa natura un grande contenitore d’arte, mentre Padiglione Tibet già nella sua concezione è Arte. Il progetto non vuole costituire una banale e scontata rappresentazione di usi e costumi tibetani, ma ideologicamente e concettualmente presentare una realtà culturale a così alto rischio di estinzione.

Molte delle opere esposte intervengono direttamente su Khata, la sciarpa che indossano i monaci tibetani e segno di buon auspicio… Di che tipo di lavori si tratta? Può raccontarci l’installazione negli spazi di Ca’ Zanardi a Venezia?
Sono presentate installazioni multimediali site-specific dedicate al Tibet ed una grande rassegna di opere realizzate su Khata da alcuni artisti invitati a riflettere sulle problematiche sociali e culturali del Tibet, sulla molteplicità dei suoi simboli e sulle sue rarefatte atmosfere. Padiglione Tibet: il padiglione del paese che non c’è! Un sito in perenne costruzione sia su web che nella realtà. Durante i tre mesi della rassegna si alterneranno performance di teatro e di danza contemporanea ad interventi di monaci tibetani con la speranza di potervi celebrare il compleanno del Dalai Lama!

Padiglione Tibet

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