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Incontriamo di nuovo Ugo La Pietra, protagonista di un monografico a lui dedicato su Esporate #62 (dicembre 2009 – gennaio 2010). Lo troviamo come sempre in viaggio sul percorso delle arti che lo portano, oggi, ad esporre, una selezione della sua produzione ceramica ad Albissola Marina, allo Spazio Civico di Arte Contemporanea. La parola percorso riguardo al suo lavoro assume la responsabilità di una pratica artistica fatta di attraversamenti, soste e ritorni, di scelte consequenziali ma non allineate, integrate e contaminate come solo l’animo di un progettista sincero può attuare. Il suo approccio rigoroso e “indisciplinato” all’arte l’ha condotto ad una ricognizione dei luoghi dell’abitare ricostruendone i tessuti connettivi che sono costituiti – per usare un’immagine organica – da cellule che non si accalcano le une sulle altre ma, pur disperse, compongo, tengono insieme e costruiscono.
 Osservare un’opera di Ugo La Pietra significa riconnettersi ad una rete del saper fare (ad arte) dall’artigiano, al progettista, al designer…

Francesca Di Giorgio: Ha mai individuato il punto di partenza del suo viaggio?

Ugo La Pietra: Credo che il mio punto di partenza, vale a dire le motivazioni che mi hanno spinto nella mia ricerca artistica, nasca dal desiderio di indagare i rapporti tra l’individuo e l’ambiente, alla ricerca di un nuovo equilibrio rispetto alla crescita della città.
Ho sempre pensato che un essere umano garantisce la propria sopravvivenza attraverso la modificazione dell’ambiente in cui vive ed opera, non solo ma ho sempre creduto che abitare un luogo vuol dire poterlo capire, amare, odiare, esplorare ecc… Non ho mai avuto un territorio in cui riconoscermi e riconoscere il mio passato, sono nato in un paesino del meridione e ho sempre vissuto in città. La città è quindi il luogo in cui ho cercato di espandere la mia personalità, è il luogo che ho cercato di amare, di coinvolgere nei miei itinerari di vita e di lavoro, nel quale mi sono mosso spesso come l’esploratore si muove  su un territorio da conquistare. Per questa operazione, che non ritengo ancora finita, ho messo a frutto tutta una serie di capacità, di strumenti, di interessi, ho coinvolto persone, strutture e mezzi, e quasi senza volerlo, ho condizionato il mio lavoro che ha avuto quasi sempre come minimo comune denominatore: l’ambiente urbano.

Ceramiche Mediterranee connota immediatamente un’area geografica dai caratteri conosciuti ma certo non definitivi. Quali tratti emergono dai lavori esposti e quali crede siano ancora in (ri)evoluzione?
Le ceramiche mediterranee tracciano una possibile strada per ritrovare l’unità del Mediterraneo. Le varie nazioni bagnate dal Mediterraneo oggi (al contrario del passato) sono diverse tra loro per religione, economia, lingua, società! Il processo che potrebbe essere intrapreso per l’unità delle varie regioni mediterranee quindi può partire solo attraverso il loro minimo comune denominatore: la cultura materiale. Cultura materiale che la ceramica rappresenta molto bene!
Le opere esposte accennano a questa possibilità, ma di fatto ho sempre cercato di sensibilizzare le amministrazioni di varie città affinché sviluppassero, attraverso le mostre, un processo culturale ma anche tecnico e commerciale di scambio tra le varie aree produttive della lavorazione della ceramica, delle pietre, del mosaico, ecc…

Il suo modo di lavorare la porta naturalmente a confrontarsi con le “maestranze” locali. Non è la sua prima volta ad Albissola Marina: con chi ha collaborato nella realizzazione di questa personale?
Ho lavorato ad Albissola in passato con il Laboratorio Ernan e con la Fornace Mazzotti, le ultime opere le ho realizzate nel laboratorio Ceramiche Pierluca con la partecipazione di Dario Bevilacqua.

Ricorda il suo primo “oggetto fatto ad arte” in ceramica?
Il mio primo oggetto in ceramica è stato realizzato all’inizio degli anni ’80 ed è la Brocca culona, un oggetto domestico in cui cercai di reintrodurre l’elemento antropomorfo un tempo presente nell’oggetto d’uso, componente che da diversi decenni il design aveva dimenticato.

La mostra è in corso in un periodo di grande affluenza turistica della cittadina ligure. La cultura balneare di cui parla nel saggio in catalogo trova immediato riscontro in alcune delle sue opere e la accompagna da sempre…
La cultura balneare è stato uno dei miei temi di ricerca ed esplorazione preferiti tra gli anni ’80 e ’90. Primo perché dimostrava l’esistenza di un'”altra cultura” rispetto a quella urbana, contadina, ecc…
La scoperta di una vera e propria cultura (con i suoi rituali, la sua architettura, le sue arti applicate, ecc…) poteva essere una fonte di grande ispirazione e applicazione. Poi perché era (ed è ancora) una tematica capace di coinvolgere tutto il Mediterraneo. Ed infine rappresenta (proprio come espressione genuina di “altra cultura”) una ragionevole occasione per sperimentare il “design territoriale” contro il così detto “design internazionalista”. Design territoriale già annunciato e teorizzato dalle mie proposte negli anni ’60 e ’70 (vedi Architettura radicale: le altre culture, mostra presso il Centro Internazionale di Brera, a cura di Vittorio Fagone, 1973)

Si parla molto di installazioni, site specific, architettura sostenibile… ma sembra che molta parte dell’animo contemporaneo, in arte come in architettura, oggi, sia affetto da una amnesia cronica che porta a considerare solo superficialmente le urgenze ambientali relegandole a fenomeni alla moda…
Per verificare con mano lo scollamento che esiste tra gli aspetti solo superficiali, di moda, legati soprattutto alla “comunicazione commerciale” basterebbe vedere la quantità di energie economico-creative-dimostrative impiegate durante il Salone del Mobile di Milano.
Milano viene invasa da una valanga di “creatività”: più di 450 mostre-installazioni nella città per il “Fuori Salone”. Finiti i quattro giorni di festa “si smontano le giostre, si spengono le luminarie e in paese tutto torna come prima”. Così accade a Milano, città che “subisce” queste esperienze creative che però non lasciano una traccia, portando all’ambiente urbano un po’ di qualità per poterlo vivere ed abitare.

Nel momento in cui si arriva a rivalutare aspetti del “fare” significa che qualcosa si è perso per strada. Forse ci si prende troppo sul serio, progettare è una necessità ma anche un divertimento…

Da troppo tempo la cultura del progetto aveva dimenticato la cultura del fare. L’artista-architetto e il designer non frequentavano più la bottega artigiana. All’inizio degli anni ’80 ho cercato in tutti i modi (mostre, convegni, collezioni…) di riportare questi due territori a dialogare tra di loro. Oggi, è vero, sembra che finalmente venga ritrovato questo dialogo. Peccato che nel frattempo le migliori strutture artigiane abbiano chiuso, Istituti d’Arte legati alle produzioni specifiche dei vari territori siano stati smantellati, le Accademie e le Università siano sprovviste di laboratori, ecc…

Tornando al suo essere nomade sulla strada della ceramica è in corso un’antologica a lei dedicata dalla Fornace Hoffmann di Caltagirone che, come Albissola Marina, è un noto centro di antica tradizione ceramica…

Forse non tutti sanno che la ceramica in Italia vive piccoli e grandi drammi, piccole e grandi contraddizioni. Nell’area di Nove c’erano decine e decine di strutture produttive che oggi non esistono quasi più. A Caltagirone ci sono 250 strutture produttive (sarebbe riduttivo chiamarle botteghe artigiane) che lavorano tutte a buon livello e che vendono con una notevole capacità d’impresa (fenomeno raro nelle nostre aree artigiane).
A Caltagirone c’è un Istituto d’Arte da poco restaurato ed ampliato anche nei laboratori (che naturalmente sta cercando di capire come sopravvivere dopo l’ultima riforma che riduce gli Istituti d’Arte a semplici Licei) ma c’è anche un Museo storico, un nuovo Museo – la Fornace Hoffmann – dove ho collocato (in uno spazio molto suggestivo) 250 ceramiche; ma Caltagirone è anche l’unica città, tra le tante città legate alla produzione della ceramica, in cui la ceramica è presente ovunque, nell’ambiente e nell’architettura storica e recente (vedi Il muro delle meraviglie che ho realizzato con una serie di ceramisti, da Nino Caruso a Ugo Marano, lungo la recinzione del giardino cittadino).
Due esempi, Nove e Caltagirone, estremamente diversi tra di loro che solo pochi anni fa erano invece molto vicini.
Come accade oggi anche ad Albissola Marina, che pur nella sua grande tradizione ceramica, nella presenza della ceramica nell’ambiente, negli importanti sforzi da parte dell’amministrazione di riportare l’attenzione verso questa arte, sta perdendo la sua capacità artigianale ma soprattutto non riesce a sviluppare un percorso che porti dalla tradizione alla contemporaneità.

Quando torna ciclicamente in questi luoghi dove rivolge il suo sguardo?
Quando torno in queste aree il mio sguardo si posa con amore e passione sugli oggetti del passato, sulle mani che ancora sanno lavorare la ceramica con il desiderio di guidarle verso il rinnovamento della tradizione, dando così alla ceramica quel primato che nei secoli ha sempre avuto: «la capacità di raccontare la storia di una società che si evolve anche attraverso i segni della cultura materiale».

La mostra in breve:
Ugo La Pietra. Ceramiche Mediterranee
a cura di Riccardo Zelatore
Spazio Civico di Arte Contemporanea
Via dell’Oratorio, Albissola Marina (SV)
Info: +39 019 40029280
Fino al 27 giugno 2010

In alto da sinistra:> Dalla serie Le tuffatrici, piatto souvenir realizzato da Bertozzi & Casoni, Imola, 1990
> Dalla serie Salvadanai liguri, oggetto souvenir dedicato agli abitanti della regione Liguria, realizzato presso il laboratorio Ernan, Albisola, 2006
> Dalla serie Vasetti, oggetto in ceramica smaltata e decorata a mano dall’autore in blu antico Savona, realizzato nel laboratorio Ceramiche Pierluca, 2010

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