BOLOGNA | Museo Civico Medievale | Fino al 22 marzo 2020
Intervista a MARINA DACCI di Irene Biolchini
Traces, a cura di Marina Dacci, inaugurata nella settimana dell’Art Week bolognese, è una mostra che coinvolge sette artisti contemporanei – Kaarina Kaikkonen, Ibrahim Ahmed, Silvia Camporesi, Evgeny Antufiev, Beatrice Pediconi, Giovanni Kronenberg, Nazzarena Poli Maramotti – in aperto dialogo con le collezioni del Museo Civico Medievale di Bologna. Un percorso in cui le tracce del passato si rispecchiano nell’indagine di questo oggi, in cerca di una reinterpretazione del quotidiano. Nel corso dell’intervista la curatrice ci parla del nostro tempo, dell’importanza della comunanza con gli artisti e dell’immediato presente del mercato.
La mostra si sviluppa all’interno di uno spazio fortemente caratterizzato, avvicinandosi così ad una tua certa pratica, penso ad esempio alla mostra a tua cura all’interno del museo Salinas di Palermo e l’intervento all’interno della Chiesa delle Scalze. Come affronti ogni volta la relazione con gli spazi e le collezioni?
Come per ogni curatela credo che i luoghi e le sensibilità personali si chiamino. Da molti anni sono interessata ad alcuni temi: riscoprire e ridefinire la propria identità in relazione a quello che sta accadendo, ma anche a quello che l’ha preceduto, una sorta di corto circuito nello sviluppo temporale della storia collettiva e personale; il potere e il mistero che porta con sé l’opera o il manufatto (sia antico sia contemporaneo ) che ci danno un nuovo sguardo sulle cose e i luoghi arricchendo la nostra esperienza. Per questo amo i luoghi ricchi di memoria; la stratificazione conduce inevitabilmente a qualcosa di nuovo, di visionario e mi affascina enormemente. Un approccio congeniale è quello di inserirsi a volte con discrezione, giocando a una sorta di caccia al tesoro (una buona ginnastica per lo sguardo), a volte con provocazioni nello spazio e nelle collezioni esistenti per contrappunto e contrappasso se vogliamo dire…
L’idea è distogliere lo sguardo da una certa idea di ordine classificatorio lineare lavorando per salti e scarti che a volte creano voli pindarici meravigliosi, prima di tutto per me… Credo che questo sia anche il modo in cui un artista venga sollecitato e condotto a produrre un lavoro. Dunque la mise en place in qualche modo risulta coerente col processo creativo.
Molti degli artisti in mostra hanno lavorato con te in diverse occasioni, quanto conta il legame umano nella costruzione di un progetto così personale?
Il legame umano conta tantissimo per me. Oggi sono nella condizione di poter scegliere e fare ciò che mi arricchisce personalmente e negli ultimi due anni (da quando ho lasciato la direzione della Collezione Maramotti) ho operato quasi sempre con artisti che seguo da tempo e di cui posso dire di conoscere e apprezzare la poetica e la loro qualità umana: questo mi aiuta tanto perché un lavoro curatoriale per me non può essere mai algido e tecnico, ma deve essere soprattutto empatico. Per vivere appieno nel processo di un progetto e di una mostra dall’interno penso sia necessario camminare, prima di tutto, a fianco di una persona…
Certo la strada è sempre aperta a nuovi incontri e sintonie purché sussistano queste caratteristiche.
La mostra è frutto di una collaborazione con la galleria z20 Sara Zanin Gallery, presso la quale hai curato e seguito diversi progetti nel tempo. Un’esperienza che si affianca al grande lavoro portato avanti all’interno di un’importante collezione. A fronte di questa tua conoscenza posso chiederti come vedi l’immediato futuro del mercato in Italia?
Male devo dire: così come nella dimensione sociale si aprono sempre più profonde divaricazioni lo stesso avviene per le gallerie d’arte: fino a qualche tempo fa l’ossatura del sistema commerciale artistico italiano era costituito dalle cosiddette “gallerie “intermedie” che lavoravano anche sulla ricerca e sul sostegno ad artisti giovani o mid -career; oggi molti galleristi si trasformano in semplici advisor o sono costretti a inventarsi nuove forme organizzative.
Questa crisi rispecchia anche un nuovo asset del collezionismo che si sposta su grandi investimenti per nomi di artisti importanti (in asta o con grandi gallerie internazionali ) per arrivare a un collezionismo nascente molto giovane che compra online a prezzi basi e praticamente a rischio zero. Mi domando: dove sono finite le nostre cellule specchio che si attivano solo in contatto con un oggetto reale? Forse sarò provocatoria ma lo penso veramente… La situazione è davvero liquida.
Nascono così nuove costellazioni: gli artisti tornano a riorganizzarsi in forme associazionistiche per mostrare il loro lavoro e per mantenere un margine di pensiero indipendente, i collezionisti creano cordate o aprono spazi autonomi che spesso supportano le nuove produzioni con mostre e acquisizioni… I musei tacciono quasi sempre e, si sa bene che se i musei non sono i primi a supportare gli artisti, la loro carriera all’estero e il loro valore commerciale sono fortemente compromessi e non decollano. Alla fine di tutta questa riflessione, fatta assolutamente per sommi capi, chi ci rimette di più sono gli artisti e, diciamolo chiaramente, senza di loro il sistema arte non esisterebbe…
Traces. Kaarina Kaikkonen, Ibrahim Ahmed, Silvia Camporesi, Evgeny Antufiev, Beatrice Pediconi, Giovanni Kronenberg , Nazzarena Poli Maramotti
a cura di Marina Dacci
in collaborazione con z2o Sara Zanin Gallery, Roma
Museo Civico Medievale
Via Manzoni 4, Bologna
23 gennaio – 22 marzo 2020
Orari: da martedì a domenica: 10.00 -18.30
chiuso: lunedì non festivi
Info: www.museibologna.it