MILANO | Banca Sistema | 24 febbraio – 27 maggio 2016
Intervista a THOMAS SCALCO di Antonio D’Amico
«Nella pittura di Thomas Scalco si legge un peculiare equilibrio tra i due poli di questo linguaggio: un’astrazione logico geometrica, e uno spunto di figurazione latente. L’esito di questo legame porta ad acquisire immaginari onirici e ambientazioni metafisiche in cui l’osservazione affina il grado più forte della sua percezione sensibile. I punti di contatto tra le due sospese tendenze riportano attenzione sul lato più inconscio e sepolto dell’essenza della personalità e dell’anima di cui l’artista diventa il primo interprete ad esporsi in quest’analisi immaginifica».
Con questa motivazione, la giuria del premio Arteam Cup 2015 ha decretato Thomas Scalco vincitore della categoria Under 30, aggiudicandosi la mostra personale allestita presso la sede di Banca Sistema a Milano.
La mostra è un crescendo di fascino e misteri che si svelano in un silenzio assordante, consentendo al visitatore di entrare in sintonia con la propria interiorità e di riscoprire la chiave degli ossimori, racchiusi dietro le immagini che Thomas esterna sulla tela. Il percorso prende l’avvio da un segno lineare e rigido, disegnato su pane azimo, per arrivare successivamente a scenari surreali entro i quali sono sospese forme e strutture che assomigliano a pensieri della mente in costante evoluzione.
In occasione della pubblicazione del catalogo del premio, avevo incontrato Thomas – in qualità di giurato – per rivolgergli qualche domanda sulla sua pittura e conoscere meglio il suo mondo, costellato da ossimori, specchio della sua personalità, in costante mutamento e sempre alla ricerca di sé stesso.
Le tue opere sembrano orientate verso una poetica surrealista, in cui vige la sospensione di forme geometriche entro spazi a metà tra il reale e l’onirico. Si tratta di opere la cui consistenza è affidata ad una visionarietà latente. Che significato ha per te collegare e trovare equilibrio fra elementi con consistenze opposte?
Da sempre mi interessa un certo eclettismo unito all’interesse per le contrapposizioni e i rapporti tra gli opposti. Ho approfondito questa oscillazione grazie alla lettura dei saggi di Florenskij, specialmente Le porte regali, in cui, analizzando l’arte ortodossa, il filosofo affronta il limite tra veglia e sogno, descrivendone tutta la complessità.
Florenskij parla di due tipologie di immagini che si generano quando l’anima è al confine tra i due stati. Le prime, in salita, sono legate alla quotidianità e ai sensi, le seconde, in discesa, sono ancorate all’onirico ed evocative di realtà superiori. Rapportate all’arte, richiamano la distinzione tra figurazione e astrazione. Il mio lavoro si situa a metà e avvicinandomi a questo limes, le differenze tra i due poli diminuiscono e si generano numerosi punti di contatto. La mia speranza è che questa contaminazione venga vissuta come un invito a pensare in modo diverso la realtà frammentata che percepiamo coi nostri sensi, in modo da evidenziarne le infinite connessioni.
Hai dichiarato che nella tua formazione ti sei dedicato ad esprimere l’ambito pubblico, inteso come “intimità esposta, in relazione al lato comunicativo” dell’opera d’arte. Nel tuo lavoro possiamo quindi trovare il tuo io?
È proprio così. La mia personalità e il mio io influenzano notevolmente il mio lavoro, sia nell’esecuzione sia nel contenuto. In ogni opera si possono ritrovare i miei dubbi, le mie certezze, il mio carattere e miei interessi. Le conclusioni a cui approdo nel mio lavoro mi spronano verso nuove riflessioni sul chi sono io e sulla realtà che mi circonda. La mia arte nutre la mia crescita personale e mi consente di mettermi a nudo.
Guardando il tuo lavoro, si ha l’impressione che tu viva su un filo di sospensione tra la figurazione e l’astrazione. Da quale dei due linguaggi ti senti più attratto?
Li considero entrambi linguaggi intriganti. In realtà, sono fortemente attratto dal confine che li divide e dal sottile cortocircuito che si genera dalla loro interazione. Evitando una superficiale catalogazione, mi auguro di suscitare una riflessione nell’osservatore.
Nelle tue opere le forme geometriche costruiscono architetture in divenire, invece in quella presentata al concorso c’è quasi il desiderio di mostrare un gioco magico e ritmico. Come nasce quest’opera?
Appartiene all’ultimo ciclo di lavori, in cui la forma architettonica scompare, lasciando spazio a moduli semplici. Ero alla ricerca di qualcosa di più puro rispetto ai solidi geometrici e alle architetture, per eliminare possibili fraintendimenti, così ho ridotto la forma al minimo per renderla più efficace ed evocativa.
Spostando l’attenzione su una dimensione più liminale, lo spazio tende a disfarsi in favore di un’atmosfera più avvolgente, onirica e meno terrena. In questa direzione, c’è anche un richiamo alla Genesi, dove vengono descritte le prime drastiche separazioni, la contrapposizione tra luce e buio e tra cielo e terra, in una visione ritmica.
Thomas Scalco. Ossimori
a cura di Antonio D’Amico
24 febbraio – 27 maggio 2016
Banca Sistema
Corso Monforte 20, Milano
Info: www.bancasistema.it