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Intervista a Tamara Kostianovsky di Ginevra Bria

I suoi corpi hanno cessato d’essere oggetti tradizionali della ritrattistica dell’arte per diventare presenza formale attiva. I suoi corpi sono superfici sensibili, sono lo stato vigile dei suoi improvvisi viaggi; sono il riflesso rappresentativo/allusivo delle forme umane e delle forme interpretative dedicate alla conoscenza umana. La ricerca di questa artista (oggi newyorkese, sebbene nata nel 1974 a Gerusalemme) risiede nella continua registrazione di qualsiasi natura costitutiva dell’identità. Per lei il corpo è consistenza umana del  vuoto ad essere. Nella sua pratica assemblativa questo concetto non si traduce in pura denuncia contenutistica, di mancanza o di latenza di significato, ma segue e fa emergere, su diverse serie di lavori, una vocazione esplicita. Una netta adesione dell’artista ad un processo ritmico di trasformazione della materia vissuta in sostanza solida nuovamente vitale.

Ginevra Bria: Quanto la tua città d’origine, e cioè Gerusalemme, influenza i tuoi lavori e il processo di formulazione di nuove idee?
Tamara Kostianovsky:
In verità non credo che la città di Gerusalemme abbia condizionato il mio lavoro così tanto. Più che altro, è stato decisivo il fatto di aver cambiato residenza in varie occasioni della mia vita. Essendo una sorta di nomade, il mio modo di vivere ha influenzato i materiali che scelgo e alcuni temi di mio interesse. Se devo scegliere una città che ha cambiato molti miei modi di vedere, indico Buenos Aires. È sicuramente quella che ha lasciato un segno in me, soprattutto a causa della storia cruenta del Paese, a causa delle carcasse che io vedevo periodicamente scaricare dai camion ogni mattina e soprattutto a causa della sensibilità argentina che è molto vicina a quella europea, per la particolare storia delle diverse ondate di immigrazioni all’interno del paese.

Giusto per introdurre il tuo lavoro attuale, è possibile dire che tu stia interrogando il corpo come un fattore che può essere rappresentato e simbolizzato secondo varie combinazioni?
Assolutamente sì. Questo concetto è visibile sia attraverso il mio lavoro attuale sia quello passato, sono sempre stata incuriosita nel pensare al corpo come una fonte di materiali ri-utilizzabili per comporre opere d’arte. Alcuni dei miei progetti precedenti includevano lavori costituiti primariamente da trucchi per il viso, peli e capelli. La serie di lavori in mostra a Milano da Magrorocca è, invece, modulata su diverse tipologie di corpi, realizzati con vestiti che considero essere una sorta di seconda pelle.

Nel tuo lavoro, quanto e come i corpi di animali, impegnati nella loro messa-in-scena, testimoniano in realtà l’esistenza umana?
L’interesse per gli animali smembrati mi è venuto a proposito di una riflessione sulla storia particolarmente violenta dell’Argentina, che ha incluso una campagna di genocidio contro gli aborigeni, colpi di stato dei militari e guerre civili, includendo anche la cosiddetta Sporca guerra, con centinaia di persone scomparse, come risultato del regime militare. Ho inziato a guardare ai corpi scarnificati e smembrati del bestiame che giornalmente circolano nei mercati della carne, non come prodotto simbolo dell’orgoglio nazionale o dell’identità collettiva, ma di più pensando a come la gente li vede, semplicemente per quel che sono: fantasmi, agnelli sacrificali, specchio di una violenza, diretta o indiretta, che regna nel Paese. Continuando a lavorare su queste immagini mentali – che grazie all’utilizzo di vestiti si trasformano, diventando in parte mondo animale e in parte mondo umano – i corpi smembrati hanno finito di essere argentini.

Alcune volte utilizzi materiali deperibili per dare vita ad entità, a rappresentazioni che implicano una durata più lunga (Hair maps). Altre volte tu sembri aderire esattamente al processo inverso (Actus Reus). Quale ruolo gioca il Tempo in entrambe le pratiche?
Il tempo che realmente mi interessa, alla fine, credo sia quello che trattiene il visitatore di fronte all’opera. Quando lo spettatore sta contemplando un pezzo temporaneo o un lavoro che è stato composto “per l’eternità”, tutto viene ricondotto e catturato nel momento del vedere, che tende ad essere lo stesso per entrambe le tipologie di lavori. Tutti i miei sforzi si concentrano nell’adescare l’attenzione di chi osserva in quel momento che è sempre troppo breve e sfuggente.

Mentre la gente partecipa fisicamente, percettivamente ad una tua mostra, possono i colori accesi e i materiali che tu utilizzi esprimere un significato immediato che supera determinati limiti culturali?
Spero che tutto l’audience riconosca l’uso che io faccio dei vestiti, elementi che cambiano di stato all’interno del mio lavoro. Il senso di tutto questo è creare una sorta di ponte tra le forme animali e alcune specificità che sono solo umane. A me interessa particolarmente far emergere il modo in-umano con il quale, nelle fattorie, vengono trattati gli animali (soprattutto negli Stati Uniti). Più di ogni altra cosa sto cercando di parlare di una vittoria schiacciante della violenza contro le persone, questo penso dovrebbe oltrepassare, e prevalere su qualsiasi barriera culturale.

Potresti darci alcuni dettagli in più sulla tua personale in corso da Magrorocca a Milano?
Presento una serie recente di sculture naturalistiche di bestiame da macello, tutte fatte da vestiti rossi, bianchi e color crema appartenenti al mio guardaroba. Questo gruppo di lavori investiga e rende esplicito un atto colpevole, mentre aspetterà a chi guarda negoziare la relazione tra il proprio corpo e i corpi decorticati, resi sculture. Questa mostra è “la prima volta” del mio lavoro in Europa.

La mostra in breve:
Tamara Kostianovsky. Seeing Red
Magrorocca
Largo Frà Paolo Bellintani 2, Milano
Info: +39 02 29534903
www.magrorocca.com
Inaugurazione mercoledì 23 marzo dalle ore 18.00 alle ore 21.00
23 marzo – 30 aprile 2011

In alto, da sinistra:
“Abacus”, 2008, articles of clothing belonging to the artist, ink, shellac, polyester batting and meet hook, in 96x36x45 (each), photocredit Sol Aramendi
“Abnegation”, 2007, articles of clothing belonging to the artist, embroidery floss, batting, armature wire, meat hook, in 53½ x49x27
In basso:
“Mast”, 2008, recycled clothing and wood, in 13x68x10, photocredit, Sol Aramendi

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